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«Valgono le soglie»: recensione a "Frammenti di inesistenza ed allegrie" di Giansalvo Pio Fortunato

  • Immagine del redattore: Davide Toffoli
    Davide Toffoli
  • 27 ott
  • Tempo di lettura: 5 min

In-esistente come il culto dello stare nel verso”, quindi nel cuore stesso della parola poetica. Questo nuovo lavoro del giovanissimo Giansalvo Pio Fortunato si propone come una riuscitissima testimonianza di come sia possibile fare poesia oggi guardando bene al presente e al futuro senza dimenticare o trascurare la tradizione. Un modernissimo guardare allo strappo in atto tra realtà deflagranti e scisse, con l’ambizione costante di provare a ricucirne lo strappo.

Si parte da Orfeo, il cui riferimento apre la prima sezione, Iniziazioni, un prezioso e mirato lavoro sugli archetipi che ci accoglie immediatamente nel clima portante dell’intero libro. Scrive Pasquale Vitagliano nella prefazione: “Più che un’iniziazione, la scrittura di Fortunato ha la radicalità di un’ordalia”. Siamo infatti al cospetto di una ricerca paziente e determinata di un linguaggio che possa, voglia e sappia riunificare Babele, partendo probabilmente proprio da quei “frammenti” menzionati nel titolo. Il terreno è enigmatico e scivoloso (“Valgono le soglie / un conto lunghissimo, gratuità / di chi si racconta / col segno incolume dell’essere stati / nel confino della terra, / alla materia / che vale una sola terra. / Ed è infinito il piano della fuga”).

A muovere il tutto sembrerebbe il principio “Ex pluribus unum” di virgiliana memoria. Attraverso il filtro sapiente del misticismo neoplatonico (Marsilio Ficino, ma non solo) cerca di leggere la natura come manifestazione sensibile di qualcosa di più elevato, come un insieme di tracce, simboli, emozioni della vera, ed unica, realtà. Tutte le cose, essendo illuminate dal Creatore, “Sono tra loro collegate e contengono in loro la presenza del divino”. Il percorso iniziatico è quindi simultaneamente verso l’Unità e verso l’Unicità, in una operazione sintetica che opera sia a livello spaziale sia a livello temporale.

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Una visione d’insieme che riesce ad unire e a tenere saldi tra loro presente, passato e futuro e “Tutto / si vedrà nell’immobile / del già visto, nella furia / del già fatto. Tutto sarà palese / il ciclo. E voi urlerete”; potrebbe persino apparire come una sorta di prigione, anche se “La prigionia ha / il suo grado di liberazione, / il vincolo che sappia schernire / anche la fine”. Ed è proprio negli archetipi che si possono scorgere gli ornamenti visionari, le prospettive, le strade da percorrere, pur sempre nel rispetto delle rovine che si attraversano. Alcuni passaggi, magari di pochi acutissimi versi, riescono a suonare come vere e proprie dichiarazioni di poetica: “Sul tiglio amaro della poesia / resta lo studio della rovina. // Visioni”; “E’ l’incubo. / L’arte del verso / è già malamente tranciata - /gridò Orfeo / innanzi all’inesorabile. // L’inno alla morte / diviene / il prefazio del piacere: / una sola volta si ode / il sorso della separazione”.

Nella seconda sezione, Mogano, in apertura il riferimento è a Gea, nata dal Caos e origine di tutto per partenogenesi e, successivamente, congiungendosi con Urano, genitrice dei Titani, dei Ciclopi e degli Ecatonchiri. E dal caos prende forma una storia enigmatica ed esemplare, quella di Mogano, come legno compatto ed elegante, ma anche come pietra ossidiana legata alle sue origini vulcaniche e alla sua capacità di assorbire e riflettere la luce. “E’ la parola spezzata / che ci lega nei clamori della distanza, / nelle stanze vissute dall’impossibile”. Ben consapevoli che “Sostare nell’incrocio / è la sorte mai iniziata, / il seno che ti rimanda all’ossessione”. Mogano è soprattutto simbolo di stabilità e di trasformazione, di vitalità e passione, “eppure il verticale resta, la luce / sa ammaestrare la sua danza, / - noi, manichini della fretta - / la corsa sentita con le ombre / a prestare il letto alla sua vena”. Si punta ancora una volta dritti all’unità, sempre partendo dal molteplice: “Ora Babele aleggia in lontananza / e mai l’aridità a ferire le anime, / l’inesplicabile sollievo di sussurrare / i giardini aperti al vento, alla fanghiglia / retta nella purificazione. Tutto è mortale, / tutto ridiviene; sorte amara / nel fiato che traspira granuli fino al cuore. / Ed è calligrafia: apertura protratta al volto. // In te amo il non scisso, il contorto / che ti tramonta malgrado il rosa / della luce del pesco”. Approdare ad una ritrovata unità è scoprire la resurrezione come passaggio quotidiano alla nuova vita, mentre si muove il mito della nostalgia: “amando Mogano, / si ama la furia; amando Mogano, / amo l’altro da me // che scappa dai flessi dello specchio”, perché “Siamo la mano al cielo / ricongiunto con la furia della nuvola. // Siamo unico Mogano”.

La terza ed ultima sezione, Resilienze, si apre con il riferimento a Satiro, essere primitivo e simbolo di fertilità e vitalismo della Natura. E siamo di nuovo nel cuore della frammentazione e della divisone, perché è diabolica ogni attività che ci mantiene divisi, ma “Il verso ha altre strade, / liturgie di un mercante relitto / a cui va guastata la faglia dello scambio”. Forse l’unità è raggiungibile proprio nell’unicità, perché “Quei lunghi cammini sorridevano / fino alla furia nell’ordine: chiamavi / caos la benedizione alla genealogia; // tutto sovrastava l’ordine, l’amorfo / coglieva un sorriso. Dio era paziente / eppure intuiva la fine. // Adamo era solo: / sapeva il manico di una roccia in carne / a tratti – forse”. Tornano puntualissime le parole di Vitagliano: “Giansalvo Pio Fortunato cerca con la poesia un luogo finale di pace e di armonia. Ma la sua ricerac è omeopatica. Combatte il caos con il caos. Lascia una nitida voce umana dentro una inestricabile foresta di parole”. Difatti la sua risposta al caos è proprio la poesia, come tangibile approccio escatologico e quindi ben lontano da ogni minimalismo. Dolore, dubbio, vuoto, fuoco, sintesi, sono tutti passi di un linguaggio nuovo, di un Fuoco di stella, perché “Costa cara la saturazione: / sono finiti i vocaboli / che ti incidono all’ora e al qui”, ma ogni ricerca è soprattutto importante proprio in quanto tale e mai se si percepisce come definitiva: “Ora – solo, stavolta – la legge / ama tremare, scatta a basso profilo / concorre per segnare l’assoluto, / non riuscendoci”. In fondo “Il fuoco di una stella riduce il passivo: / alla luce non si guarda, / si può ammettere la cecità / almeno una volta”.

In questo caos e in questa consapevole cecità si avventura con coraggio l’originale voce poetica di Fortunato, che ci propone un percorso salvifico, a patto che sappiamo accettare umanissimi scivoloni e cadute. Ci porta al cospetto delle soglie. Ci fornisce gli strumenti per scavalcarle, spingendoci oltre. “Il verso radica le soglie: // gestisce con mano di terra / i semi e le siepi da trampolino”.

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Giansalvo Pio Fortunato è nato a Santa Maria Capua Vetere nel 2002. Attualmente risiede a San Marcellino (CE) e frequenta la Facoltà di Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. In poesia ha pubblicato Ulivi nascenti (Albatros il Filo 2022), Civiltà di Sodoma (RP Libri 2023), e il presente Frammenti di inesistenza ed allegrie (puntoacapo 2025). Ha ottenuto alcuni riconoscimenti letterari; suoi versi sono stati tradotti in spagnolo dal Centro Cultural Tina Modotti e inseriti nell’antologia Parole Giovani dall’Italia edita in America Latina per la Casa della Poesia di Cuba. È stato tradotto in inglese, albanese, polacco (nell’antologia italo-polacca Panta rei), in arabo (per la rivista internazionale FormaFluens), in russo ed inglese (per l’antologia italo-russa Oliver Branch of Poetry). È redattore del blog «Le Parole di Fedro». Collabora col mensile culturale «Agorà Giovani» (Ed. Scuderi), con la rivista internazionale di poesia «FormaFluens – International Literature Magazine» e con le riviste nazionali di poesia «Metaphorica» e «Il Mangiaparole». Ha partecipato alla quarantesima edizione del festival poetico «Confluenze» indetto dal Comune di Arezzo.

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