Nota di lettura a "Tutte le ossa cantano la canzone d’amore" di Pietro Russo
Nella sua raccolta poetica Tutte le ossa cantano la canzone d’amore (Italic peQuod, 2024) Pietro Russo indaga le esigenze indispensabili dell’esistere, si interroga sul principio e cerca sovente il fondamento. Ecco perché nella lettura delle composizioni che conformano la silloge, più e più volte – sia in modo esplicito, sia, ancor di più, sotto forma di larga risonanza – ci si imbatte direttamente in una domanda o se ne sente comunque sopraggiungere forte l’eco. Si tratta dell’interrogativo posto come chiusa della poesia 1.5 (aveva delle ragioni): «Dirai finalmente cosa rende l’uomo / un uomo?».
Intanto, la necessità di definizioni per far ramificare l’indagine (e poter rispondere al quesito) si possono manifestare attraverso un distico che si incontra nelle prime pagine della raccolta: «C’è un uomo prima di tutto / e io lo chiamo padre». Dopodiché, acquisita la consapevolezza esistenziale (ancor prima che religiosa) per cantare in maniera accurata la canzone d’amore richiamata dal titolo, all’autore è indispensabile ultimare un percorso che fa intimamente i conti con la caverna, a cui la titolazione della prima sezione del testo rimanda.
In merito, per dare uno sguardo d’insieme più compiuto, occorre riferire che le poesie racchiuse in Tutte le ossa cantano la canzone d’amore sono disposte in sette sezioni: Dentro e fuori la caverna dell’Adàm, Quando spegnevi l’abat-jour, RV 8:08, Disarmi (Prove di primavera in passivo), Migrazioni e altri salmi, Amare interi e poi l’ultima sezione, Tutte le ossa cantano la canzone d’amore che riprende proprio il titolo dell’intera silloge.
Dunque, tornado al tema della caverna, appare proficuo riferire che si tratta pure di un concetto preminentemente filosofico: è il sapersi muovere nella materia con un piglio differente, consapevole degli inganni che possono connaturare specifici orizzonti logico-deduttivi. Da qui, rientrare in se stessi è l’elemento imprescindibile, quel principio atto a cogliere il vero del proprio sostare. Anche in questo caso, il titolo della silloge corre in soccorso per cercare di presentare al meglio quest’altro elemento poiché le ossa sono da leggere pure come la parte più interna del proprio corpo, al pari della dimora del proprio io.
Pertanto, Russo ripiega su di sé (e invita i lettori a compiere la stessa operazione) per indagare specifici contenuti. Non solo, li presenta tramite i versi, che diventano mezzo e approdo: mezzo per ripercorrere il vissuto, approdo di quanto visto intimamente. Di più: persiste un terzo significato (che racchiude e supera gli altri due) che rende l’alfabeto poetico una vera e propria comunione d’intenti, una canzone, un coro, così come si dirà in seguito.
Va da sé che questo modo d’agire implica una coscienza morale che non è soltanto posta a monte di quel ripiegarsi su se stesso di cui poc’anzi si è detto (che è il fulcro della parte più consistente dell’agire poetico di Russo) ma è anche la chiave di volta per apprezzare i propri atti, per essere in grado di poterli dire buoni o cattivi. Tramite la poesia, questo agire diventa unità senza che l’io narrante si sia comunque in alcun modo sottratto da impegni esistenziali o si sia nascosto dietro meri formalismi.
Difatti, è questo scavare in un contesto quotidiano, in singole occasioni – per dirla usando un termine montaliano – date dal proprio peregrinare sulla terra l’elemento dal quale fuoriesce la cifra stilistica di Russo. Per cogliere l’urgenza di soffermarsi poeticamente su tali episodi elementari, si veda, giusto come esempio, Oltre il nastro trasportatore, dove si palpano gli umori e le tensioni scaturite da una semplice fila alla casa di un negozio.
Per avvalorare un piglio compositivo siffatto, l’autore indaga a fondo gli impulsi contrastanti, le dissonanze cognitive che risiedono negli orizzonti spazio-temporali del proprio presente. Lo fa avendo ben chiara la forza di ogni orizzonte, in vista sempre di un equilibrio, di una equivalenza tale che nessuna parte prevalga sulle altre. Sono tutte le ossa a cantare la canzone d’amore; dunque, si tratta di un complesso di voci che, come si diceva, forma un coro, che si armonizzano. In questo, non è da disdegnare in alcun modo la complessità: ogni persona, ogni canto ha un fine in sé, ha un valore assoluto che non può essere in alcun modo misurato dall’uso che si può compiere, al pari di una cosa.
Negli elementi minimi (cercati e proposti) si modifica in modo irreversibile il concetto stesso di limite che sovrasta determinate vedute, cioè quelle occasioni che implicano comunque un tempo e uno spazio ben definiti. Dunque, la poetica di Russo mostra come questo concetto di limite possa approdare in una sorta di opposto, in un illimitato fatto pur sempre di una totalità compiuta, ben definita. Da qui, la necessità del tutti, il formarsi di un coro capace di reggere le differenze di ogni singola voce, terreno che rende tale un uomo.

1.5
(aveva delle ragioni)
Un popolo intero torna alla polvere
un uomo cammina con il suo tradimento
allacciato alle spalle.
Il RV delle 8:08 in partenza al binario uno.
La storia olia i binari della polvere
e tradizione è divergere
dalla polvere.
Ma il mondo è diverso dai tempi della polvere
il sangue erompe dalle cateratte di madonne
inchiodate a un paese che si affaccia sul mare.
In un paese che si affaccia sul mare
ma sprovvisto di capitaneria di porto
come di navi e diritto sulle acque
che pure lo toccano,
in questo paese
viveva un uomo il cui nome non importa
e quest’uomo aveva delle ragioni
ma dal cielo preferirono bombardarle.
Hagalaz che prende il nome dalla grandine
trova il torace di quest’uomo
avvezzo ai rivolgimenti del cielo
il torace di quest’uomo una gabbia
da cui niente, proprio niente
esce
di ciò che va preservato.
A una luce assai rara
luce crepata sui muri della gabbia
luce venuta a trovare le sue ragioni
l’uomo domanda:
dirai finalmente cosa rende l’uomo
un uomo?
3.5
(madri)
A Guardia-Mangano
dove a Natale sua madre portava vestiti e giocattoli
a bambini troppo in soggezione per dire grazie
non scende quasi nessuno.
I pochi che saltano su –
si potrebbe chiedere a loro
cosa rende l’uomo un uomo.
Il sangue erompe dalle cateratte di madonne ivoriane
o maghrebine
che aspettano dietro un cancello l’ora di italiano.
5.5
(superstite della luce)
Viveva in un paese sul mare
ma senza sbocchi sul mare
in un paese dove gli aerei del vicino
radevano i palazzi in segno di forza
e prevaricazione, viveva
un uomo il cui nome non importa
uno che non mischiava le sue ragioni
con le macerie
così chiedeva
alla luce superstite cosa fa di un uomo
un uomo –
ma il treno arrivò, in orario, a Giarre-Riposto
dove un altro scese al posto suo
allacciandosi la domanda alla vita
che viveva al suo posto

Pietro Russo vive a Catania. Si occupa di poesia collaborando con riviste, siti e piattaforme digitali. Ha pubblicato il saggio "La memoria e lo specchio. Parole del Petrarca nella poesia di Vittorio Sereni (2013)". Nel 2016 ha pubblicato A questa vertigine (Italic Editore), che ha vinto il Premio Violani Landi per la sezione opera prima. È socio fondatore del Centro di Poesia Contemporanea di Catania e responsabile delle attività culturali del comitato catanese della Società Dante Alighieri.
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