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  • Immagine del redattoreMario Saccomanno

Nota di lettura a "La terza geografia" di Carmine Valentino Mosesso

La silloge La terza geografia (Neo Edizioni, 2021) di Carmine Valentino Mosesso è impregnata dell’odore del fieno e della terra, trasuda di impulsi popolari e prende corpo a partire dalla costruzione dello sguardo con cui indagare il proprio orizzonte.

Così, i componimenti, suddivisi in diverse sezioni, danno vita a una raccolta che mira a presentare i contorni di un vero e proprio cosmo percepito sempre più come altro, distante dalle regole precipue della contemporaneità.

Tutti gli slanci poetici presenti nel testo hanno una limpida origine percettiva. li combina tra loro aggiungendo non di rado un forte peso valoriale. Da questa commistione, l’autore arriva a formulare giudizi sul presente, soprattutto sul modo di occupare gli spazi e il tempo. Così, le conclusioni, presentate sotto forma di versi, diventano in primo luogo inviti ad agire.

In La terza geografia, Mosesso mostra come nei paesi non ci sia soltanto l’inclinazione dell’uomo, ma la sua stessa necessità. Perentoriamente, volendo riportare un esempio di quanto appena affermato, nella raccolta si legge: «Se si guardassero i paesi con gli occhi dell’amore / tutte le strade porterebbero a restare».

Dunque, l’agire poetico di Mosesso è segnato in maniera irreversibile da un moto immenso che diventa a tutti gli effetti obbligo morale. Una delle conseguenze di questo vincolo a cui l’autore si sente intimamente avvolto è dichiarare la sua condizione dinanzi all’oggi tramite il linguaggio poetico, l’unico in grado di soddisfare appieno i fondamentali obiettivi preposti.

Per quanto passato in rassegna fino a questo momento, nel leggere i componimenti che danno forma a La terza geografia ci si rende conto che la contemplazione di Mosesso non è in alcun modo disinteressata. Tutt’altro: ogni sguardo poetico sottende sempre un progetto, in molteplici tratti già ben rappresentato, che si annoda a stretto giro con «un altro modo di abitare il tempo», per dirla proprio con un verso dell’autore.

È chiaro che nella silloge seguono numerose dimostrazioni di questa urgenza di invertire la rotta. Da qui, nelle composizioni si incontrano sovente aspre critiche, a volte mosse anche in maniera velata. Come esempio basta riportare questi versi in cui Mosesso presenta il modo feroce di abbrancare la vita di campagna e trapiantarla in un contesto altro che si incontra abitualmente nella società contemporanea, dominata dall’uso, spesso spietato, della tecnica: «La rivoluzione digitale / ha stravolto il vivere delle campagna, dei contadini e degli animali: / le vacche sono finalmente libere di pascolare: / su degli appositi scaffali».

Dunque, con La terza geografia l’autore sposta alcune nebbie che ricoprono il presente e mostra come la trama del reale venga a tutti gli effetti spezzata dal sopraggiungere di un’esistenza artificiale che, in quanto tale, si carica di falsità.

Per Mosesso, la strada da imboccare presuppone che si dia il giusto peso al tema della cura, trave portante dell’intera raccolta. Il significato del termine è da intendere, con Heidegger, sempre intimamente combinato alla preoccupazione.

Soprattutto, la cura coincide col bisogno di cercare e ritrovare l’immediatezza e la volontarietà dei gesti, la naturalezza del vivere.



Non mi basta mai il companatico di parole sgualcite

e nemmeno l’aria che ristagna nel fiato.

Voglio l’aria che proviene dalla terra, dalla gente

comune.

Esco di casa per stanare il rifugio degli idiomi,

la banca dei dialetti,

esco a dar la caccia all’ossigeno che ingrassa i campi.

Per parlare non è sufficiente seminare parole già

dette:

parlare è impastare la lingua di Dante con il volgare

di un quartiere,

l’oratoria contadina con la schiuma di un arcipelago

di case.

La semente va rinnovata spesso per non stancare il

campo

e lo stesso vale per la lingua.

L’universo ha scelto la nostra bocca per parlare

non si può dire a un novizio ciò che si dice a un

anziano.

Sulla lingua ci vuole una biodiversità diffusa,

luce e acqua di sorgente.


*


Il giorno dopo la mia morte

accadranno cose bellissime:

la luce serena del primo mattino,

i vecchi a fare compagnia alla terra e all’aria.

Sarà puntuale anche il cane del rione,

passerà una donna,

porterà il suo fiore.


*


Nessuna politica è più vera,

nessun amore, nessuna lotta:

se si guardassero i paesi con gli occhi dell’amore

tutte le strade porterebbero a restare.


*


Passa in te lo stesso fiume

che ascoltavo da bambino.


Carmine Valentino Mosesso (1994), vive a Castel del Giudice, piccolo borgo dell’Alto Molise, dove ha fatto ritorno. Laureato in Agraria, è socio fondatore di un’azienda agricola gestita insieme alla sua famiglia. Alla cura dei campi e degli animali, affianca un forte impegno civile e politico per il riscatto dei paesi dell’Italia interna e dei territori cosiddetti marginali, e sempre centralissimi nella sua poesia. È attivissimo nel suo territorio e sui social per dare voce e mettere in rete le tante realtà rurali che perseguono lo stesso obiettivo.

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