Nota di lettura a "Gli spostamenti del desiderio" di Raffaela Fazio
Senza desiderio non si vive: questo il monito che la lettura complessa e intensa dei versi de Gli spostamenti del desiderio di Raffaella Fazio (Moretti&Vitali Editori, 2023) sembra suggerire a chiunque si appresti a esplorare l’architettura solida e multiforme della raccolta. Se da un lato difatti i testi de Gli spostamenti del desiderio abbracciano una pluralità di temi che vanno da vicende personali e private (in particolar modo viene affrontata la perdita di una persona amata nella sezione «Black-out» e l’esperienza della violenza nella sezione «Materia oscura») a input, impulsi e stimoli che provengono dalla scienza, dalla storia, dall’arte, dal cinema, dalla letteratura e dal mito; dall’altro invece è possibile chiaramente intuire e osservare nel libro una sostanziale unità e coerenza tanto nello stile quanto nella presenza di un elemento che tiene tutto insieme, che amalgama tutto e a tutto conferisce un orizzonte di senso. Questo elemento è il desiderio che Fazio stessa definisce in una piccola nota in apertura al libro come quella componente in grado di ridefinire di continuo «il senso del reale», come il congegno capace di «accorciare la distanza tra due punti lontani di una superficie o tra due oggetti nello spaziotempo», di ridurre «la lontananza tra due stati della coscienza o tra due vissuti differenti», di mitigare il distacco «tra due differenti momenti di una vicenda individuale o di una storia collettiva». Il desiderio influenza il nostro modo di guardare il mondo e al mondo, si presenta come un centro gravitazionale in grado di attrarre e accorciare le distanze; è lui che ci fornisce un significato, che orienta le nostre azioni, lui che plasma la nostra percezione di ciò che è, che costruisce il nostro senso di realtà. E al contempo il nostro sguardo sul reale è a sua volta influenzato da lui, tanto che all’interno della raccolta mi sembra essere forte la dialettica tra sogno e realtà. Un desiderio che è a volte alleato prezioso e talvolta nemico pericoloso da cui guardarsi, che a volte è ingannevole e ci dona indietro un’immagine falsata del nostro specchio; ma il più delle volte, se siamo in grado di guardarlo con onestà, spinge e tende il nostro pensiero e il nostro agire quanto più possibile vicino a una nozione di verità, una verità che ci parla di ciò che di autentico abita nel nostro vissuto. Grazie al desiderio non solo siamo in grado di stabilire un orizzonte di significato all’interno di quello che di nuovo (e talvolta sconvolgente come un lutto) prende forma nelle nostre esistenze, ma diveniamo altresì capaci di rileggere quello che c’è stato. Noi ci muoviamo con lui: seguiamo i suoi oscillamenti, spostamenti, movimenti e nel seguirli anche noi ci trasliamo con lui altrove, un po’ più in là nella nostra vita. Il desiderio è un elemento dinamico, fluido, passibile di cambiamenti. Una fluidità e un dinamismo testimoniato anche dal flebile confine tra sogno e realtà che divengono spesso un tutt’uno denso di valore («Il sogno / è identico alla vita»). Un libro dunque, che attraverso continue immersioni ed emersioni e sin dal titolo, si pone quale occasione per declinare e sondare la natura del desiderio e il nostro modo umanamente imperfetto di starvi dentro.
Ad essere centrale nella raccolta è, poi, un altro elemento come nota puntualmente Alfredo Rienzi nella accurata prefazione al libro emblematicamente titolata Rimanere al posto di guardia, ovvero l’atto della visione e «della sua deformazione, manipolazione, occlusione, come del suo emergere più cristallino, in maniera progressiva o improvvisa». Una visione che sfama il nostro desiderio e al contempo da esso viene sfamata e che si configura tanto come visione esterna che interna: «il vedere esteriore è un mezzocielo, che si completa con l’osservazione interiore». Non è casuale che i titoli delle 6 sezioni della raccolta alludano tutte proprio alla visione: I. Black-out; II. Proiettivo; III. Match Cuts; IV. Materia oscura; V. Retina inversa; VI. Tra occhio e parola. Questa visione tuttavia non si accontenta di rimanere immagine ma si sforza di diventare parola, una parola che vuole chiarificare, fare luce, rendere conto del vero. La parola di Fazio è vigile e vigilata proprio perché vuole muoversi e porsi a conferma e ricerca del vero, spinta dal desiderio di parresia. Parresia assieme al nodo immagine-parola che si fanno particolarmente evidenti nell’ultima sezione della raccolta, nella quale la ricerca di «materna chiarezza» è affidata alle voci di personaggi storici: Sophie Scholl, Ortensia, César Chavez, Diogene, Amos, Lizzie Velasquez e Etty Hillesum. La raccolta di Fazio è un lungo, doloroso e speranzoso scandaglio del senso dell’esistere e dello stare al mondo che partendo dal desiderio arriva a definirsi, nota acutamente Giancarlo Pontiggia nel risvolto di copertina, come «quaderno morale», immergendosi nella propria coscienza personale ed emergendo nel confronto con il mondo, la storia, l’arte. Un viaggio che si conclude con un augurio che commuove e che Fazio affida alla voce di Etty Hillesum, ebrea olandese morta ad Auschwitz:
Mi raccomando, amici:
rimanete
al posto di guardia
se in voi, nel profondo,
ne avete già uno.
Per me non siate infelici.
*
Non la cerco
per lasciare il bosco
(se è nel bosco
indicibile la vita)
o come chi si arresta
a un cerchio di radura
la cerco per vederla
dentro la foresta
anche nel folto dei fantasmi amati
declinati
a seconda del dolore
qualcosa di vivo
personale, che resta
parziale ma non mente
(comune la sorgiva)
onnipresente seppure discontinuo
persino in ciò che tace
o dice
sia il vuoto sia l’eterno
oltre il confine
e nel fitto dei racconti umani
luce che filtra
come sogno ripetuto
pare si spezzi
e invece si rivela
(a unire i tempi
a renderli reali)
filo abissale
materna chiarezza.
*
Il sogno
è identico alla vita:
mi prende tutta intera
da me nasce
è solo ciò che sono
perché non mi prescinde
e insieme
mi sfugge, mi stupisce.
Ma poi è anche il suo opposto:
non mi impedisce
di averti con i sensi
con il corpo
sapendo
(per strano sovrapporsi
di stati di coscienza)
– amore che non muori –
che sei morto.
*
Lizzie Velasquez
Cosa ci definisce?
Lo scoglio, l’urto
la lingua che ferisce?
Oppure è il sorpasso
il successo?
È il modo
in cui li si converte.
(La luce si fa spillo
anzi scandaglio).
È come
la parte prende parte
al sogno dell’insieme.
Il corpo che mi spetta
non lo nego:
imparo a dargli voce.
Ma la parola vera
scaturisce
da una più fonda vena
che è già altrove.
Ogni caduta è nuova
e se si vince
non sarà mai su tutto.
Cosa ci definisce?
La luce in cui la lotta
pian piano ricomincia.
Non quella in cui finisce.
Raffaela Fazio è nata ad Arezzo nel 1971 e vive a Roma, dopo aver vissuto in vari paesi europei dal 1990 al 1999 (Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Belgio). Le sue raccolte di versi: Corolle (1987, Premio Giuseppe Dessì), Per ogni cosa incompiuta (2008), A un filo più lento (2010), Ogni onda è il mare. Rime da regalare (2011), A garante il mistero (2012), La boîte (2013), L’arte di cadere (2015, prefazione di Paolo Ruffilli), L’ultimo quarto del giorno (2018, prefazione di Francesco Dalessandro), Midbar (2019, prefazione di Massimo Morasso), A grandezza naturale (Arcipelago Itaca 2020), Meccanica dei solidi (Puntoacapo, traduzione inglese di P. Williamson, prefazione di P. Ruffilli, postfazione di G. Pontiggia). Laureata in lingue e politiche europee (Grenoble) e specializzata in interpretariato (Ginevra), ha poi conseguito un diploma in scienze religiose ed un master in beni culturali della Chiesa, interessandosi in particolare all’iconografia cristiana.
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