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  • Immagine del redattoreValentina Demuro

Nota di lettura a "L’occhio verde dei prati" di Donatella Nardin

Con L’occhio verde dei prati (FaraEditore 2023) di Donatella Nardin, entriamo in una lettura che amplia il nostro modo di percepire: è come trovarsi in un mondo in cui tutto parla e riesce a dire anche l’osmosi tra le cose, tra il sensibile e il concreto, un passaggio continuo dall’interno all’esterno, dove il confine è una porta di veli, non chiusa, non aperta, creata per lo scambio di segni, luce, percezioni, paura, dolore.

Come per Propp ci sono componenti che reggono la struttura della fiaba per garantirne l’efficacia e la fruizione, così qui troviamo elementi che, in questa dimensione radicata e sospesa – quasi fiabesca, appunto – si rendono evidenti e ci conducono in una realtà più profonda; tutte le parole, gli oggetti, gli esseri viventi e le onomatopee giocano il ruolo del simbolo e raccontano. Particolare attenzione bisogna dare ai neologismi che sanno intensificare un concetto o creare immagini inedite, come «sassopietra» o «nuvolafiore». Inevitabilmente, non mancano le ombre, l’oscurità e il male. Ed ecco che con un rovescio di significati, intuiamo verità terribili («Chi può affermare che non fossero / grida – o piccoli indizi / senza memoria – i suoi ripetuti silenzi?») che murano le creature ferite in un intimo inarrivabile altrove.

Inoltre, questo porgere l’orecchio all’ascolto del mondo ci permette di sentire ciò che del mondo stiamo perdendo come vittime e causa ( «Nello stupore, nell’indolenza, / sono finite le acque più pure / abitate da miti e da nostalgie / – tali in ogni pensiero vivente / le terre lussureggianti / ai giardini – / e per questo decorre da oggi / la pena che è un vuoto /d’anima e di umanità.») o di cui siamo minuscola parte destinata ad accogliere e a subire la bellezza di qualcosa di troppo grande («Per un attimo ancora far risalire / il / cuore alla bocca tanto da percepire / la schiva bellezza del creato come / del dolore innocente il pianto»).

Ogni cosa può essere buona e cattiva, sono esistenza, natura e destino che non si addomesticano. La salvezza, pertanto, non è una meta scontata («Ma abbiamo perduto l’occhio / svettante nel giusto e nel vero / quel candore che buca le tempie / cercando ricongiunzione») ma per lo stesso principio, è possibile sempre la speranza, una luce che arrivi contraria persino al più cupo degli orrori: «ché dimenticare e riamare / è l’unico, possibile perdono».

Una delle figure principali che condensa molti di questi significati, è quella della madre: intorno ad essa l’autrice si muove con delicatezza, quasi raccogliendo volta per volta delle suggestioni, dei ricordi, la mancanza, nonché il limite che è proprio di ogni essere umano, disegnandone ora una forma archetipica, ora un’immagine personalissima: «Senza dirlo a nessuno, / le madri hanno raccolto in sé / i figli e sono fuggite», «per tutte le madri / in me raffigurate appena / incrociate a pezzi dentro /il respiro», «E non bastò, non bastò la madre / che, ardendo nel soffio, / tentò di eradicare / paure e tremori / dall’inermità».

Ma così si muove anche lo sguardo della poetessa che da accenni alla propria vita, tra dentro e fuori, altrove, nel nero e nella luce, ci parla di sé e di tutti noi, portandoci dove la complessità dell’esistenza umana si rivela, «qui, proprio qui, nei luoghi / amati dei molti, irrisolti / perché».


Donatella Nardin, Alma Poesia, Copertina

Inermità


Chi può affermare che non fossero

grida – o piccoli indizi

senza memoria – i suoi ripetuti silenzi?

Non è al sicuro la bimba ferma

all’allora, alle parole

sprigionate dalla perfidia

delle cose.

Migrata in te come un astro

oscuro nel corpo,

è quell’arsura annodata alla gola

colma di reticenze e pudori.

E non bastò, non bastò la madre

che, ardendo nel soffio,

tentò di eradicare paure e tremori

dall’inermità.


*


La bambola nera

Tornare a dire. Mai dimenticare

l’amaro veleno che ha spellato

le mani e le tenere piume.

Dall’oblio disseppellire

la bimba dagli occhi di pietra

che all’asprezza del lavoro

infantile rimanda.

Far uscire infine da quella

sua labile casa di nebbie

e sgomenti – odorosa di sogni

e di attese tradite – il suo splendore

inespresso che chiedeva un gioco,

una grazia, un futuro, ai voli

mancati, vestita da sposa,

una piccola bambola nera,

profondissimo un suono miniato

a dirla verbena.


*


La ragazza del mondo accanto

La ragazza del mondo accanto

impasta parole per l’occhio interiore

quel tanto che basta a sollevare

le nuvole e appalesare

il mistero.

Poi, andando oltre il linguaggio,

a fuoco lento cuoce colline

e foreste, indistinguibili naufragi

e rancori assieme a fragili momenti

di felicità.

Senza più nulla in bocca, si prende

per mano e si stende al sole

ad ammirare il vuoto tacitato

da capricciose vocali

carnali,

nel punto più denso innumerevoli

gli occhi di chi è già altrove, anime

vive talmente vicine

da percepirne – verdissimo

e numinoso – il respiro.


Donatella Nardin, Alma Poesia

Donatella Nardin è nata e risiede a Cavallino Treporti-Venezia. Dopo gli studi classici, ha lavorato nel settore turistico con incarichi dirigenziali. Sue poesie e racconti, pluripremiati in numerosissimi Concorsi Letterari, sono stati inseriti in raccolte collettanee di diverse Case editrici, in Antologie di Concorsi Letterari, in alcune riviste di settore anche straniere, in siti web e in lit-blog dedicati. Alcune sue liriche sono state tradotte in inglese, in francese in spagnolo e in giapponese. In poesia ha pubblicato: per le Ed. Il Fiorino la silloge In attesa di cielo e la raccolta di haiku Le ragioni dell’oro, per Fara Editore Terre d’acqua, Rosa del battito e L’occhio verde dei prati e per Aletti Editore Il dono e la cura con la traduzione in arabo a cura dell’Accademico Emerito Professor Hafez Haidar. Sue sillogi brevi sono inoltre risultate vincitrici di selezioni per i recenti volumi antologici L’altra metà del cielo Ibiskos Ulivieri Ed. per Distanze obliterate Puntoacapo Ed. e per il Premio di Poesia Città di Mestre Mazzanti Libri.


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