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Immagine del redattoreSara Vergari

Nota di lettura a "Di fuoco e fiato" di Tommaso Meozzi

In Di fuoco e fiato (Delta 3 Edizioni, 2021) di Tommaso Meozzi c’è l’uomo nel suo essere disorientato in mezzo alle cose, nel suo sdoppiarsi in tante identità, nell’ invocare pensieri e preghiere al cielo e al vento. Fin da subito vediamo come l’Io si trovi diviso tra più realtà linguistiche, culturali e geografiche. Ma anche tra l’essere italiano ed europeo, tra il vivere come “immigrato di lusso” e la ricerca di radici dove potersi ritrovare. Sono condizioni tipiche del nostro tempo, della cultura europea e degli spostamenti, insieme allo spaesamento e alla perdita di riferimenti. In questa condizione il poeta non manca di farsi più voci contemporaneamente, sempre in dialogo così come in relazione stanno tutte le cose del mondo. Meozzi cerca infatti di inserirsi nei risvolti di queste sottili relazioni per provare a capire e accogliere, anche là dove è il dolore a dominare: «questa cosa che si chiama dolore / che prende le ossa o la mente / dà una strana forza agli occhi, / mette a fuoco paesaggi nascosti». Profonda attenzione è data poi alle relazioni umane e all’altro, di cui si osservano le pieghe del volto per capirne le emozioni e con cui si cerca di instaurare legami salvifici («ti guardo con lo sguardo affranto / dalla nevrosi», «a volte guardando la tua piccola bocca / che disperata si stende e deforma il viso»). E tutto sembra passare attraverso la scelta di gesti, come sorridere all’altro, accogliere, prometterete stando vicini e scegliere il bene. La materialità dei corpi che regola queste azioni si affianca invece a un discorso più spirituale, collocando l’Io stesso in una dimensione aeriforme e allegorica. L’ultima sezione, “Nel vento”, vede protagonista Sofia e il suo punto di vista sul mondo da bambina di pochi mesi. Sofia «manipola il mondo che cambia forma» e non ha ancora coscienza di ciò che è realtà; il padre la guarda e sa quanto possa imparare da lei, distaccandosi dalla concretezza attraverso i suoi occhi bambini. Il testo con cui si chiude la raccolta è una dichiarazione che conferma l’intento del percorso poetico di Meozzi, aprirsi al mistero, stare sempre in ascolto delle cose e del cielo.



non ho votato per l’Europa quella volta,

il seggio era troppo lontano

anche per un immigrato di lusso come me,

non per questo meno precario,


con la mente sconvolta dalle voci

d’un triste medioevo in madrelingua


insegnavo a tre studenti come si dice “casa”,

[ “vela”, “amore”

diviso tra almeno due paesi,


tra il binario del futuro,

quello delle origini,

quello della morte poi,

come una sosta dimenticata

che capita nel viaggio,


seduto nella sala d’attesa

davanti alla macchinetta che parla tedesco

ho cercato il biglietto troppo a lungo

prima di rinunciare,


avrei voluto scrivere un elogio dell’Europa,

del mio viaggio per mettere una croce


e invece la sentivo nelle ossa

tra promesse di carriera e trolley mangiati

dai chilometri,

tra inchini sbagliati

e assenza di radici,


eppure è qui che mi sono ritrovato:


in uno studentato dove il mondo s’incontra,

nella parlata ibrida di colleghi d’altre lingue

e nella tua carezza,

compagna mia che dice

“una soluzione si trova”,


forse dovevo davvero cercarti

pulire con te le ferite

di fallite simbiosi,

smettere di rimuginare preghiere

in un ritmo troppo conosciuto


per potermi davvero raccogliere

tra le mura di una chiesa o sulle rive del Reno,


in un viso incosciente che succhia

e presto parlerà due lingue,


le seminerà nel mondo,

continuando il viaggio


*


ti ricordo con lo sguardo affranto

dalla nevrosi – forse un viso scorto sopra il libro

o il mancato prestigio degli studi letterari –

che inneggiavi al comunismo,

e io, che cercavo in comune con te

una piccola cosa, fosse anche solo un dubbio,

difendevo i talk show del capitale

forse con la speranza di ridere insieme

di quelle grottesche mascherate,

ci siamo persi, amico,

il prestigio ora l’hai ottenuto

ma io ancora non so come ti senti

cosa speri, sogni, comprendi

nel profondo. A me hai insegnato la lotta

di lavorare ai margini,

e di lasciarti andare

quando le ondate della vita ci dividono


Tommaso Meozzi (1984). Nato a Firenze, è ricercatore all’Università di Graz, dove tiene corsi di lingua, cultura e letteratura italiana. I suoi ambiti di interesse riguardano il genere dell’utopia/distopia, la rappresentazione letteraria del lavoro, la poesia dagli inizi del Novecento a oggi e l’ apprendimento linguistico. Con la raccolta di poesie La superficie del giorno (Le Cáriti, 2010), ha vinto, nel 2013, il premio Contini Bonacossi-opera prima. Nel 2017 ha ricevuto il premio della giuria nell'ambito del Premio Rimini per la poesia con la raccolta Inquieta alleanza, pubblicata nello stesso anno per Transeuropa. Sul numero 92 di «Atelier» (dicembre 2018) è uscita la silloge inedita Dove sei. Del 2020 è la sua ultima raccolta, Di fuoco e fiato (collana Aeclanum, Delta 3 Edizioni). In prosa ha pubblicato i raccontiLa badante («Nuovi Argomenti», n. 78, aprile 2017), Il pavimento («Risme», n. 3, settembre 2019), Per sempre? (Fiorentini per sempre, Edizioni della Sera, 2020), Abisso e Nenni («Bollettino ‘900», n. 1-2, 2020) e Far west («Carte nel vento», n. 50, marzo 2021). È autore di un volume sulla distopia letteraria (Visioni dell’alienazione, Pacini, 2017) e, tra gli altri, di articoli su Dino Campana e Paolo Volponi.

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