Nota di lettura a "Concerto per l’inizio del secolo" di Roberto Minardi
Il concerto di Roberto Minardi, parola che sembra la più adatta a definire il suo Concerto per l’inizio del secolo (Arcipelago Itaca, 2020), esonda di generosità per quanto arricchisce il lettore, è un cantiere aperto del pensiero, bulimico di esperienza masticata, lavorata e restituita sotto forma di una scultura che potrebbe essere allegoria della Poesia. Sì, perché in un concerto è l’accordo dei singoli elementi che produce l’effetto finale, unico e armonioso come il macrotesto di questo libro, non scandito in sezioni a differenza della maggior parte delle raccolte poetiche contemporanee. Nonostante il flusso continuo del testo, l’eterogeneità dei temi presenti potrebbe minare la resa narrativa, se non che l’autore è riuscito in una meticolosa coerenza frutto di un lavoro stilistico, linguistico e musicale. Come ha sottolineato Davide Castiglione nella sua ineccepibile prefazione, risulta impossibile racchiudere tutti i testi in un’unica caratterizzazione e bisogna piuttosto lasciarsi andare all’ascolto delle voci presenti. La prima è proprio l’epigrafe di Luzi, che indica il cammino futuro e giustamente pretenzioso del libro: «di padre in figlio fino a che sia limpido». L’apertura con la prima poesia, Tema della fine, è già un’accusa a un postmoderno che ha preso il largo dall’umanità, che ci ha riempito di tèkne autodistruttiva togliendoci un altro mestiere, quello di saper «prestare l’attenzione tutta / ai granchi che sollevano le conchiglie e s’affacciano». «Avremmo dovuto imparare / a non comprendere un acca / a rimanere in posa da autentici feti», dice ancora lo stesso componimento, e mi sembra che sia proprio questa la posizione assunta da tutta la poesia del libro, che sa ascoltare e soffermarsi su ciò che oggi sembra essere stato travolto. Minardi punta quindi la sua lente di acuto osservatore sull’uomo qualunque, sul male che si insinua nelle pieghe del quotidiano, facendone dei ritratti espressionisti che grondano di compartecipazione, di pietà, ma anche di una tagliente verità.
L’immersione così come l’immedesimazione nelle vite altrui compiuta dall’Io di Minardi porta, in conclusione, a una presa di coscienza tanto sconvolgente quanto naturale: la conoscenza più alta che si poteva raggiungere scalando la montagna sacra del sapere non è che un enorme ridimensionamento dell’uomo. E allora, imparando a non comprendere un acca e a rimanere nella posizione statica del feto, si arriva a una grande rivelazione di uguaglianza: «giunto alla cima capii che ero voi: dal bastardino al masso, / la nespola ammaccata, il fil di ferro, la donnola frenetica».
La stagione legittima
I pesci sono sparati dalla pancia di un veivolo
piovono a valanga sul lago lo ingrassano
il pescatore siederà col giubbotto smanicato
attenderà che la trota sbavi per il lombrico
il pomeriggio riporterà tutto dai cognati
mostrerà il video dei guizzi dentro al secchio
loderà la quantità di pace da non immaginare
Il debole di John
quanti colori i baffi hanno cambiato
come le foglie che bloccano i tombini
la direttrice lo invita a spazzare
davanti al portone, aveva
la casa, piccola, la moglie
un puzzo lo perseguita, ora
tranne il dottore nessuno ci crede
la sala mensa è il momento più bello
il quotidiano, le zollette
per tenersi lontano dall’alcol
morde la copertina della Bibbia
saltuariamente prende forma un capolavoro
inciso sulla materia spugnosa
spugna che traspare da qualche fiorellino
nel dormitorio è impossibile
nascondere il catalogo con le indossatrici
questa non è la landa di Satana
non sono le guance violacee a fare paura
ma l’azzurro degli occhi che scema
le palpebre a mezz’occhio, non rimane
che parte della somma mendicata
la bottiglietta vuota da lanciare
Anticipazione n.3
Un uomo con continui tic dell’occhio e del labbro è come se
ammiccasse. Io non mi trattengo dal ridere. Siamo in presenza di
ragazze praticamente nude, in fila. L’uomo mi parla di commercio di
parti meccaniche e formula discorsi confusi. Io comprendo bene
al punto da esserne terrorizzato. Non dal contenuto ma dal fatto
che non riesco a contrastarlo, a volergli del male.
Roberto Minardi (Ragusa, 1977). Nel 1999 si è trasferito a Londra, dove risiede tuttora lavorando come insegnante di lingue. Dal 2005 al 2006 ha vissuto a Panama, dove ha tradotto poeti locali e pubblicato la sua prima plaquette in versione bilingue. Nel 2007 la Archilibri di Comiso (RG) ha pubblicato Note dallo sterno. Nel 2014 pubblica Il bello del presente (Tapirulan) e nel 2015 La città che c'entra (Zona Contemporanea), segnalata all'edizione del 2016 del Premio Montano. A questa raccolta è liberamente ispirato il mediometraggio The city within, realizzato in collaborazione con il regista Tomaso Aramini. Oltre che in volume, suoi testi sono apparsi su riviste letterarie (Tratti, Semicerchio, La Mosca di Milano, deSidera, Il Foglio Clandestino), online (Atti impuri, Poesia 2.0, Carteggi Letterari, Atelier), e sull'archivio multimediale Phonodia dell'università Ca' Foscari di Venezia. È stato co-fondatore del progetto poetico “dopotutto [d|t] (una poesia italiana fuori)”.
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