Nota di lettura a "Il bambino astronauta" di Dario Maglione
Dal mondo dei sogni e delle avventure dei bambini all’apparente aridità e frammentarietà dell’età adulta: è questa una delle possibili interpretazioni del libro di Dario Maglione Il bambino astronauta (Edizioni La Gru, 2020).
Il titolo del libro riprende quello della prima poesia, in cui il Pianeta Felicità è forse l’infanzia oppure un pianeta ben preciso, frutto di un gioco e di un accordo fra due bambini. In questa poesia appaiono chiari gli elementi che contraddistinguono l’opera prima di Maglione, a partire dagli elementi di fantasia inanellati in un percorso di relazione, contatto, intreccio con altre persone, anime e vicissitudini.
In un gioco di personaggi e di “Io”, dall’Io cielo al profeta dalle lacrime azzurre, dal ragazzo-benzina ai bambini della foresta del pianto, ripetuti sono i riferimenti allo specchio e al cambiamento, forse in un’autoreferenzialità ben dissimulata, con storie e versi che restano impressi, come nel caso della singolare ed efficace Confessione di un altruista, poesia che descrive una persona che soffre della sindrome “dell’uomo sgabuzzino”, in cui vengono riposte tutte le cose rotte del mondo. Un corpo vuoto e pieno al contempo, lacerato dall’interno, forse il punto più alto di tutti i momenti di dubbio, ricerca, cambiamento e confusione condivisi dai protagonisti delle varie poesie.
Da evidenziare, inoltre, la ricerca di immagini e accostamenti di storie e parole tra il gioco e la fantasia, ma che l’autore sa riportare in maniera efficace alla concretezza del vivere, continuo, quotidiano, condiviso. Perché vi è sempre traccia di un Noi, un valore aggiunto in questa raccolta di poesie di lungo respiro, confessioni o racconti in cui l’autore pone spesso con i suoi versi un confronto, un dialogo, un viaggio in comune: tra i protagonisti delle sue poesie e noi, lettori, che nelle sue parole torniamo a rivivere l’infanzia, la crescita e il cambiamento, la variegata complessità di un universo interiore in cui pensieri, emozioni, esperienze avvenute, mancate o disperse sembrano risolversi nell’incompiutezza.
Il bambino astronauta
Era bello sostare sul pianeta Felicità,
quando la tua mano
stringendosi alla mia
formava un sole artificiale:
un nucleo incandescente
di palmi addentati l’uno all’altro
e una raggiera di dita elettriche.
Ce ne stavamo tutto il tempo
con le gambe a penzoloni
sullo strapiombo dei cieli notturni
a guardar le stelle pattinare
come burattini di vetro.
E quanto suonava il nostro pianeta Felicità!
come un carillon di comete,
bacche germogliate
da rami di luna,
angeli di vapore
incoronati di satelliti
nella sabbia rosa della Via Lattea.
Ma poi le nostre mani
si sono separate
e quella bocca di vuoto
ha soffiato un vento
violento come solo il deserto
sa essere.
Lo ripetevi sempre anche tu
che non avremmo resistito a lungo.
Del nostro meraviglioso, finto mondo
non è rimasto che un cranio di cera
rappreso nello zero assoluto della gravità,
il respiro affannato
di schegge infinitesimali di luce
sotto la pelle del buio
e qualche insetto astrale
che ancora cigola in un buco nero.
Alla fine il pianeta Felicità si è eclissato
dietro ai nostri grandi, spalancati, terrorizzati occhi neri,
quattro sfere di memoria e metallo
che si osservano malinconiche
alla ricerca di un atavico Noi.
A volte ti ho vista piangere
senza motivo:
mi dicevi che sentivi un vuoto,
un vuoto lasciato da qualcosa
di cui non riuscivi
a rievocare il nome.
Abbracciandoti, ti rispondevo
che forse avevi vissuto un'altra vita prima di questa,
una migliore,
e che dei ricordi più antichi
non si deve aver paura.
A volte ho intravisto
dietro ai tuoi occhi
un cerchio di luce,
un portale tra questa realtà e un’altra,
più reale,
e ogni volta che è successo
ho sentito dentro di me
una gran nostalgia di sognare.
Poi, quella sera di pioggia,
quando ti ho detto che i temporali mi spalancano il cuore
per riversarsi dentro,
mi hai stretto di nuovo la mano.
E all’improvviso ho ricordato ogni cosa:
le stelle ballerine e ubriache,
quella musica sottomarina,
io e te insieme,
con le gambe a penzoloni
sullo strapiombo dei cieli notturni.
Confessione di un altruista
Dentro di me ho riposto
tutte le cose rotte del mondo
per evitare che gli altri,
anche solo sfiorandole,
potessero ferirsi.
Ѐ questa la breve storia del mio Io:
una sterminata collezione
di giocattoli difettosi.
A ogni minimo movimento
tutto in me va in frantumi
e i pezzi si sparpagliano sempre di più
aizzati da brezze rabbiose di globuli rossi.
Mi stanno tagliando dall’interno,
proprio adesso,
e se il nemico è l’interno non ci si può difendere.
Il mio corpo-emorragia urla e sputa e ride sui giorni
senza che nessuno se ne accorga,
un attore ubriaco in una sala d’attesa vuota,
una fila di quadri banali
che nasconde una screpolatura dell’intonaco,
il filtro insudiciato e da buttare del mondo.
Non mi resta che vomitare tutta la notte
fino a riempire intere vasche di sangue.
Ѐ questa la sindrome degli uomini-sgabuzzino:
rammollire di piacere nelle loro vasche di sangue,
lentamente.
E tutto per una sola goccia
di aurea, scarnificata adorazione
da far evaporare a fior di labbra.
Sono il contenitore di chiunque,
ma un contenitore che ormai perde
e che preferisce il vuoto di rimanere se stesso.
Esiste, lo so,
deve esistere
qualcun altro che possa contenermi
e sopravvivere al mio scheletro
di spigoli e spilli fusi tra loro
per bucare qualsiasi cosa.
Effetto piuma
Quando svanisce una piuma
il mondo non cambia:
ha sempre lo stesso peso,
abbassa le sue palpebre di atmosfera
alla solita ora,
ruota attorno al suo asse di seta
alla stessa identica velocità.
Allora perché
da quando sei svanita
il mondo è completamente diverso?
Non tutte le piume hanno lo stesso peso?
L’asse di rotazione
si è inclinato ancora di più,
il peso terrestre
anziché diminuire in modo impercettibile
è aumentato,
la gravità si è triplicata
e le facce degli uomini
sono puntini imperterriti
che sbattono contro i vetri delle loro vite.
Giuro di aver sentito la Terra
fermarsi per un millesimo di secondo
nel punto di minima distanza dal sole,
un silenzioso inchino alla bellezza.
Da quel giorno,
quando la Terra dopo mesi
si ritrova in quello stesso punto,
fermandosi e poggiando le sue labbra
infreddolite sul sole,
le rocce si illuminano d’ambra
per celebrare la memoria
della più leggera e pesante delle piume.
La paura degli specchi
Ho sempre avuto paura degli specchi:
ti portano fuori di te
e ti costringono a guardarti,
a districare un groviglio di segmenti spezzati
che non hai alcuna voglia
di riconoscere come volto
o ricomporre in qualcosa di più armonioso.
In quel momento, un gemello esangue
sosta in piedi dinnanzi a te
e rivendica il tuo spazio nel mondo.
Gli ascensori sono diventati scatole
infernali di superfici riflettenti
dove respirare come un mulino di carne
l’ossigeno appena espirato,
finché ogni sua molecola non si riduce
ad una perla di vetro nel petto.
Spesso mi aiutava coprire il volto con una mano
e immaginare un mondo di ectoplasmi splendenti
che hanno ripudiato il corpo,
solo particelle di anima e bianco
in un posto dove puoi decidere
di tagliarti con un raggio di luce
e non sanguinare,
dove non esistono piacere e dolore,
solo l’iconoclastia del silenzio.
Ma da quando il sigillo di brina
si è infranto sulle mie labbra,
ho imparato a guardarmi allo specchio
senza tremare o sognare realtà senza corpo.
Mi basta chiudere gli occhi e ripetere piano:
Non sei il nemico,
ma l’amore più grande della mia vita.
E con coraggio
riaprire gli occhi.
Dario Maglione (Melfi, 1993) vive attualmente a Milano, dove svolge la propria attività di psicologo clinico e di specializzando in psicoterapia dell’età evolutiva. In ambito di ricerca, ha approfondito gli effetti psicologici del maltrattamento e delle punizioni fisiche in infanzia e adolescenza, pubblicando diversi contributi scientifici su riviste italiane e internazionali del settore.
Si è inoltre occupato di attività umanitarie nelle zone sismiche del Centro-Italia, partecipando alla conduzione di laboratori psicoeducativi e ricreativi nelle scuole primarie. Il bambino astronauta (Edizioni La Gru, 2020) è la sua prima raccolta di poesie.
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