"I Fumetti di Alma" (XVI Appuntamento)
- Alessandra Corbetta
- 10 ago
- Tempo di lettura: 2 min
Continuano le pubblicazioni del nuovo spazio di Alma Poesia "I Fumetti di Alma", dedicato alle interconnessioni tra poesia e fumetto attraverso approfondimenti teorici, interviste e creazioni di vignette ad hoc.
Da un'idea di Martina Toppi, il progetto è coordinato e seguito, oltre che dalla stessa Toppi, da Alessandra Corbetta e da Valentina Demuro, in collaborazione con Lo Spazio Bianco, che molto ringraziamo per la fiducia e la condivisione. A completare l'iniziativa, Roberta Pasculli, l'illustratrice che trasporrà in fumetto l'opera poetica di alcune autrici e autori contemporanei; questa stagione sarà dedicata alla poesia di Antonella Anedda.
Di seguito la terza e ultima parte del lavoro di Pasculli, introdotta da un breve commento di Corbetta.
Bisogna saper trovare aggettivi e farlo per Historiae di Antonella Anedda (Einaudi 2018) significa concedersi senza ritrosie a una scrittura che rivanga e rimescola, togliendo le teche sotto cui si conservano gli oggetti più fragili e preziosi.
La prima lettura direbbe: calibrato, com’è nello stile di Anedda. Una calibratura legata più che all’idea di aggiustamento per rinvenire la perfezione possibile, a una combinazione chimicamente ineccepibile, studiata, provata e alla fine eseguita. Del resto, i rimandi al cosmo scientifico sono molteplici, e spaziano dalla matematica alla geometria, dalla medicina alla biologia. Quando il dolore si fa forte, stritolante, si torna a cercare la spiegazione nelle leggi causa-effetto, tra le coordinate dove-quando. Anedda piega la geografia e la storia alla sua poesia arma-da-taglio, tracciando con filo di nylon il segmento universale-particolare e viceversa, stringendo tutto dentro l’infinitudine delle mura domestiche e della sofferenza privata, che è sofferenza del mondo, e viceversa.
Rileggendo, un fendente. Perché qualsiasi sezione della raccolta si prenda, si viene colpiti da una sciabolata verticale e inevitabile. A volte a darla è la luce dell’alba o dei lampioni, alle volte il dialetto sardo; sono gli animali o i luoghi, le assenze che non dovrebbero mai fare compagnia a nessuno. Anedda, algida e scostante nel suo scrivere come se fosse ovvio, descrive, con la sapienza senza sconti che è dei grandi, la ferita tremenda e la sua bellezza, caselle contigue dello stesso cruciverba.
Alla fine esce da sé, commovente in ogni passo. Citando Tacito o le condizioni dei migranti, nell’ape tramortita e nel gatto che si arrampica, dentro al grido dei Germani ma soprattutto in quel lavoro di ago e cucito, Anedda lascia straripare sul lettore l’incontenibile senso/non-senso dell’esistenza, in cui l’unico filo conduttore, con le sembianze da corrimano a cui potersi aggrappare, resta l’umanità di tutte le Historiae del mondo. [Testo apparso su ClanDestino].






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