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  • Immagine del redattoreEmanuele Andrea Spano

«Da nullità senza nome»: recensione a Warbling di Matteo Persico

Esiste nella raccolta d’esordio di Matteo Persico, Warbling, pubblicata per Puntoacapo editrice nel 2022, una consapevolezza che affonda le sue radici in un tempo remoto, ben prima della nascita della società capitalistica, prima ancora delle teorie di Marx o della diffusione del pensiero socialista, prima forse della stessa Rivoluzione Industriale che ha reso evidente, e certo non inventato, lo sfruttamento e l’alienazione dell’individuo dentro la nuova realtà industriale: l’uomo è l’ingranaggio di un sistema, esiste, può esistere e sopravvivere solo in rapporto a quanto “produce” dentro quella società, la sua vita è condizionata dal ruolo che svolge, da ciò che ne ricava, il lavoro non è solo un mezzo, ma il fine stesso dell’esistenza umana. A ciò si aggiunge il tragico avverarsi di quella profezia, già annunciata tra gli altri da Pasolini lungo le spiagge di Sabaudia: la nascita di una “civiltà dei consumi” che avrebbe condotto a un’omologazione e a un annientamento della consapevolezza dell’uomo che sarebbe finito stritolato dentro quel circolo vizioso di produzione e consumo, spinto inconsciamente da una coazione a ripetere costante e ossessiva.

Detto ciò si potrebbe pensare che il libro di Persico, almeno nelle intenzioni, non aggiunga nulla di nuovo a un dibattito già largamente frequentato da tanti negli ultimi decenni, eppure non è così, non lo è perché l’universo raccontato dal poeta si spinge ben al di là di questi binari rigidi, pur prendendo le mosse da quel dualismo di cui si è appena accennato, e non lo è perché Persico lo fa in poesia, senza piagnistei inutili o commiserazioni, senza derive pseudo ideologiche o pretese saggistiche, lo fa rimbalzando costantemente la lingua tra il tragico e il grottesco, ospitando il lessico tecnico dell’informatica, i diagrammi e gli schemi degli economisti, gli assunti di chi teorizza sempre e ad ogni costo la nostra vita secondo la logica dei profitti, dei guadagni, della produzione.

In sottofondo nelle tre sezioni di questa raccolta che, non a caso, si chiude con il Trattamento di fine rapporto sancendo la definitiva e incontrovertibile sovrapposizione tra vita umana e lavoro, si avverte il propagarsi di una malattia che, solo a tratti e per lacerti, svela i suoi sintomi: il salutismo finto, quello per cui una mandorla in più potrebbe ucciderci, la previdenza complementare, il calcolo della pensione per garantirsi una vita “decorosa” anche “dopo”, come se un “dopo” il lavoro, la vita attiva, la produzione esistesse, una malattia che la claustrofobia del nostro mondo alimenta, chiusi come siamo dentro lo spazio di pixel di un monitor, segregati tra le scrivanie negli uffici, murati dentro un monolocale. Certo non è la “gloria domenicale” che ci salva, la colazione sul balconcino del monolocale abbarbicati allo stendibiancheria, l’ebbrezza delle slot machine che ci fanno più poveri e schiavi o la salsa ranch mangiata al mattino.


La prospettiva di una palingenesi è solo un miraggio dentro il magma linguistico creato da Persico, un marasma ordinato in cui il lessico fasullo e sconnesso della nostra contemporaneità assume i toni di una sinfonia ossessiva, ma dove la parola poetica, il verso si pongono come argine possibile alla degenerazione, come confine alla frantumazione della lingua e della vita. L’ “io” e il “tu” della poesia tradizionale si eclissano dietro una schiera informe di figure diafane che raccontano la straziante collettività del nostro presente, una collettività che non è incontro tra tanti, ma azzeramento dei tanti in una massa informe che risponde a input, che dice sempre “OK”, che non si oppone o ribella perché non sa di doverlo fare. Una speranza c’è forse e va al di là della scrittura stessa, che è per sua natura al contempo una fotografia del mondo e uno scavo impietoso dentro quel mondo, la speranza è nel gesto, per quanto isolato e infinitesimale, di chi si sottrae a quella logica, fosse anche quello di chi muore il giorno del suo compleanno davanti alle candeline, fuori da una corsia d’ospedale, senza un’infermiera che ti faccia ingurgitare pastiglie, sorprendendo tutti davanti alla torta.


Matteo Persico nasce a Roma nel 1994. All’età di vent’anni pubblica la sua prima raccolta di racconti, dal titolo Sogno e Incubo (Cavinato editore, 2014). È presente, con alcuni testi inediti, nella raccolta del premio Il Club dei Poeti (2015) e nel “Quaderno Poetare” del concorso Poetare (2021), indetto dalla Scuola di Editoria e dalla Samuele Editore. Nel corso del ventisettesimo concorso “Ossi di seppia”, è stato menzionato nei premi speciali della giuria. Alcune poesie inedite sono apparse su diversi blog cartacei e online, tra cui Il Simposio della Poesia, Il Visionario – blog di poesia, IlDetonatore.it, La Repubblica – Roma (Bottega di Poesia di Gilda Policastro), Poeti Oggi, Inverso – Giornale di poesia, Poetry Factory, Critica Impura, Poesia Ultracontemporanea e LaRosainPiu. Un suo testo è stato tradotto in spagnolo sulla pagina del “Centro Cultural Tina Modotti”.

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