Gli inediti di Enrico Barbieri
La scrittura di Enrico Barbieri, come emerge da questi inediti, è dura e compressa, come se alla parola fosse affidato il compito di tenere insieme schegge impazzite, ingestibili altrimenti. Così, in un verso lungo all'interno del quale prende spazio una struttura indirettamente dialogica, Barbieri riflette sulla comunanza, spesso conflittuale, tra il soggetto e l'universo a cui appartiene, in una visione dove la scienza può incontrarsi con l'arte del verbum.
Quando avrete trovato un angolo
e quell'assenza di tutti, il congedo dal caldo opprimente
e gli insetti impareranno da soli la lingua degli esclusi,
quando questo sarà donato una volta coi rumori
della pianura esclusi e gli aerei immobili, incisi
in cielo allo stesso punto dentro ogni persona nel sonno,
quando avrete trovato quel posto, il giorno dopo,
senza alcun avviso, creeranno altre case e altri feudi, tronfi
di cemento mortuario, comprati da chi ha più di voi e
resisteranno a se stessi, loro rapaci estesi sopra ogni vuoto.
*
Lei raccoglie ogni brano di spazzatura da Monteceresino alla pianura,
non bada nessuno, ognuno per sé.
Un giorno gridava e imprecava, suo padre assente, come sempre
vestito di lana grezza d'estate, nessuno ha chiamato aiuto o dato
a Lei una voce: tanto è una pazza, intenta Lei a raccogliere i rifiuti scesi
dalle Ville dei Professori e i loro figli, già dislocati nei ventri delle Accademie,
Lei innocua e per questo il corpo odiato da chi è disperato per la sorte di Ognuno.
La corteccia è l'albero nudo, pensavo dopo il fulmine che aveva colpito, insieme
a una tempesta di elettroni un mese fa, forse due, i campi e le bestie, i camini.
L'aria si è stratificata e tesa in un disastro di ruggine
e polvere, ogni ora compongono i riti dei vecchi che tagliano rami morti,
per passare il tempo.
*
L'Universo nel suo epilettico esaurimento nervoso ha dato il segnale assoluto
al telescopio spaziale, così dall'occhio elettronico è arrivata l'immagine di ognuno
ovunque e sempre, con le stesse idee in corsa disperata fino alla croce celeste.
*
Poche stagioni prima i sentieri erano la mia ragione, quell'eco nervosa, assoni
codificati dagli incontri selvatici, il sonno da poco
ha rivelato la paralisi ridotta nei campi deserti, relitti di enormi insetti disegnano i tre anni stravolti, veloci senza l'ansia nervina, sveglio come fossi nato tremila anni
prima, ricordo gli istituti visitati nei sogni, le pietre sollevate dalla violenza, donne ripudiate, le parole, buio.
Il giorno si apre, i treni bruciano dopo tutto quel silenzio, come ieri o all'inizio di ognuno.
*
La mia terra è piana e bianca
Come i ricordi di mio padre "Questa foto g'ha cinquant'anni"
Due uomini gonfiano il petto in un deserto ingiallito,
Altrove, sullo sfondo, c'è il mare di un mondo che era felice,
Forse i negativi mostreranno che uno di loro, il più allegro,
È un'ombra e mio padre vede lo schermo del suo ritorno
Come noi due sopra il Po, secco di ustioni e palafitte, ossa antiche
E la sete di questa terra bianca.
Enrico Barbieri ha frequentato la Scuola D’Arte Drammatica Paolo Grassi e ha lavorato per vent’anni in teatro. Ha vissuto a Londra, Roma e Milano. Per Delta 3 Edizioni ha pubblicato, nel 2021, Meno di una pietra di calcare.
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