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Immagine del redattoreGiuseppe Cavaleri

Nota di lettura a "Sull'improvviso" di Alfredo Rienzi

“τα δε πάντα οιακιζει κεραυνός” (“il fulmine governa ogni cosa”, Diels Kranz, 64). Tra i frammenti di Eraclito quello che nella numerazione dei filologi Diels e Kranz è il 64 è stato tra quelli che più hanno affascinato. Tra i tanti, Pascoli, che rimane attonito dopo il lampo che ha svelato la terribilità dell’esistenza e del mondo intorno, e Heidegger, che da questo “haiku” occidentale, teorizzava di connessioni metafisiche tra poesia e filosofia.

La nuova e pregevole raccolta di Alfredo Rienzi Sull’improvviso (Arcipelago Itaca, 2021), vincitrice alla XIX edizione Premio InediTO - Colline di Torino, parte proprio dallo stupore che i fenomeni naturali (il lampo quindi, ma anche la frana, l’alluvione, il sisma) provocano nello sguardo attento del poeta. Come però chiarisce lo stesso autore con una nota introduttiva, quello che fonda la materia poetica è «l’accadimento improvviso e imprevedibile», il quale «proietta il protagonista o lo spettatore al bivio tra la follia o l’accettazione».

La raccolta di Rienzi si interroga, infatti, sulla natura del cambiamento, identificando le due modalità attraverso cui si manifesta. Da un lato quello improvviso, inaspettato e che nella raccolta si manifesta sotto il segno della crisi e della brutalità (pietre frantumate da eruzioni, rami spezzati al cambiare di stagioni); dall’altro invece nella seconda sezione si fanno largo immagini di un cambiamento geologico, con l’occhio del poeta che esplora distanze e ere siderali (lo stesso titolo della seconda sezione, Di sesta e settima grandezza, rimanda alla scala con cui si valuta la magnitudine degli astri).

Versi sapienziali e densi, che si ritraggono in lampi di tenerezza e interrogano con limpida partecipazione il mistero della natura, colta nei momenti di sua maggiore fragilità («Interroga il vento, nel dubbio, e il fiume /ogni segno ogni indizio infinite combinazioni») e di oscurità («[…] Senza motivo / non l’alluvione o la frana, il sisma / si è dissolto così […]». La morte, però, sottende ogni azione e, a ogni corpo disposto, segue un incastro tessuto da sempre.

C’è nei versi di Rienzi la consapevolezza di un incomprensibile, di un quid che sfugge a qualsiasi nominazione, a qualsiasi tentativo di definizione. Una tensione verso la metafisica e la sua capacità inarrivabile di sintesi che trova nell’implicito, nel confine tra parola non detta e sussurrata un, pur precario, equilibrio. La stessa «materia verbale – suggerisce lo stesso autore nella nota introduttiva - tende talvolta a perdere continuità, a incrinare la sua linearità».

Il verso è dosato, metricamente predisposto all’anastrofe, a una pulizia che nasconde un accurato labor limae, ma il registro semantico varia da termini legati alla tradizione poetica novecentesca, a tecnicismi del campo tecnico, scientifico e botanico. La forza della poesia, però, è pure questa: lasciare che una parola sideralmente lontana illumini pensieri e associazioni che prima non riuscivamo a definire.



Interroga il vento, nel dubbio, e il fiume

ogni segno ogni indizio

infinite combinazioni, il fumo

che alza le leggi di Fourier, l’inizio

dei canti smeraldini dei Wolof


ma non comprende il canto dell’assiolo


appoggia il palmo al muro

di mattoni, interroga

i minimi interstizi:

tornerà l’erba-vento


sono cose che le dita sentono

vorrebbero parole, nomi chiari

(neppure pietra lo è, o cammino)


ma la vita è stata

per frammenti, per scie



piena di cavità, anch’essa.


Ritira la mano. Non può

trattenerla oltre, non può.




È così che si spezza la stagione

al fragore del ramo


lo scricchiolio d’alburno

l’aveva preannunciato


sembrano vite precedenti

fruscii di foglie e palpebre:

spogliano a ogni sussulto

l’intonaco del giorno e il silenzio


Nulla sarà come prima, sentenzi

e senza scomodare Eraclito né Bergson


mi pare un’ovvietà

ma la memoria torce


il ricordo, convoca un oblio

d’osso e di terracotta.


Certe questioni – e sai di cosa parlo

non hanno soluzione razionale.


*


È nei tuoi occhi, dicevi, negli occhi...

Oh, certo, la vita è un bosco di frasi

incompiute, allusioni, non detti

e negli amori, in qualsiasi genere

d’amore, è la vita, ripetevi

come il fulmine bianco

il tuono, la pioggia che ci nasconde

come il fulmine bianco,

il tuono, la pioggia che ci nasconde…


*


Aveva l’occhio il compito suo certo

(socchiuso, semiaperto o spalancato):

l’esaminare nudo stelle

di sesta e di settima grandezza


è lì la linea che flette il visibile

al nascosto, e al nero

la ritrosia dei fuochi


Alfredo Rienzi vive dalla prima infanzia nel torinese. Ha pubblicato diversi volumi di poesia, da Contemplando segni, X Premio Montale, in 7 poeti del Premio Montale (Scheiwiller, pref. di M. L. Spaziani). I primi volumi sono in parte confluiti ne La parola postuma. Antologia e inediti (puntoacapo Ed., 2011). Ultime raccolte sono: Notizie dal 72° parallelo (Joker, 2015), Partenze e promesse. Presagi, (puntoacapo Ed., 2019), Sull’improvviso, edito da Arcipelago itaca (2021, pref. di M. Cucchi), premio InediTO - Colline di Torino. Ha tradotto testi da OEvre poétique di L. S. Senghor, in Nuit d’Afrique ma nuit noire – Notte d’Africa mia notte nera, a cura di A. Emina (Harmattan Italia, 2004) e pubblicato il volume di saggi Il qui e l’altrove nella poesia italiana moderna e contemporanea (Ed. dell’Orso, 2011). È inserito nell'Atlante dei poeti dell'Università di Bologna e in numerose antologie critiche nazionali.

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