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  • Immagine del redattoreMartina Toppi

Nota di lettura a "Quarta stella" di Gisella Genna

Si potrebbe dire di Quarta stella di Gisella Genna (InternoPoesia, 2020) che è un viaggio in versi, ma si direbbe quanto si dice spesso di una raccolta poetica e pur dicendo il vero non si saprebbe ancora dire abbastanza. I viaggi poetici sono tanti e si dilatano in spazi e tempi compressi nelle parole: quello di Genna non è diverso, eppure resta unico nel suo genere. Per compierlo servono strumenti arditi, macchine del tempo e tute spaziali. Serve essere capaci di attraversare le epoche e scivolare tra le dimensioni, solo così forse si potrà rientrare a toccare quella quarta stella che è poi l’idea di un cuore da cui l’energia della vita emerge, con forza centrifuga. Una potenza mai del tutto esplicitamente espressa – forse scoprendo così l’impossibilità affascinante del dire, che la poesia sempre sfiora – come sottolineato anche nella prefazione Giovanna Rosadini.

Ma come ogni viaggio anche quello di Genna si costruisce di tappe che iniziano, non banalmente, ma anzi con coraggio, dal momento della nascita: «Sono nata un venerdì, giorno pari dell’inverno / gli anni sgranati una vertebra alla volta». È l’esplosione di una storia declinata in altre storie che del passato portano con sé un senso di irrealtà, come quando si pensa intensamente agli anni dell’infanzia e tutto è sogno, contorni sfumati e colori disciolti quasi fossero tempera. L’infanzia non è per Genna un io, ma un altro: una terza persona che l’io poetico è stata e che ora non è più, ma che ricorda con versi visionari che nella loro potente sinteticità ricalcano il potere del ricordo.

«L’estate dopo pranzo andavo sola verso il salice / mentre tutto si incrinava: erano valli infrante, / e l’altitudine mi liberava / da quella voce flebile di padre». È un surrealismo dipinto grazie a fili di vite, intrecciati con trame ormai dimenticate, che a tratti neppure sembrano realtà ma piuttosto sogno («più del passato / è vero il cielo, il suo cobalto»).


Dite ai miei morti di apparirmi

poiché mi sento sola come loro

e non ho più uno specchio

dove guardare altrove.


Dite loro di svegliare il cielo

dal torpore di un tempo finito.


Io non so niente e ancora cerco

tra le volte e il fogliame un segno, un filo

un’anticipazione.


Eppure, quei segni segnano la ricerca di una trama che scivola nella seconda sezione della raccolta, dove le vite che si incrociano lungo i versi costruiscono esistenze comuni: la terza persona passata diventa un noi. Noi non banale, ma una somma sincera di io più tu, consapevolezza istantanea che nel legame amoroso – come anche Rosadini richiama nella prefazione – è in grado di risolversi nell’incompiutezza del filo solo esistenziale, che nella propria unicità brilla, ma cerca sempre l’altro cui intrecciarsi. «Era un esistere impreciso, uno scarto, camminare / in tempi e cieli distanti / tra bordi e mura di ogni luogo / nelle trame di una città: / corpi amati, destinati».

È discreta la voce di Genna nel costruire rapporti che sono città: la parola torna più volte nei versi di questa sezione, con un’insistenza mai pressante, ma chiara negli intenti, atta a costruire dalle singolarità storie di vite insieme. Le storie che si amalgamano formano poi luoghi di vita, dove è piacevole e non solo doveroso esistere: sono ponti e sentieri, pianure attraversate da fiumi, visioni di edifici e posti chiamati per nome. Sono le geografie oniriche di un mondo reale, filtrato dallo sguardo che si adatta alle pieghe del paesaggio e si scopre centro, punto e fondo di ogni cosa, delta della corrente ed equatore del corpo.


I fili affini scelti meticolosamente

ordito, trama, casa le pari comunioni – glorie

dell’epoca restante; andiamo

non ci sarà caduta. È stretto al petto il centro

nella città, nel cielo

tutto è così vicino improvvisamente.



È nel rapporto con l’altro che i versi di Genna riconducono il lettore per svelare il senso di un silenzio interiore fatto non di mortale solitudine, ma di placida riscoperta. La quarta stella è «composta» dalla disanima dell’altro, ma è al tempo stesso un io. L’ego sfaccettato, sfilettato, segnato da cicatrici e crepe, filo nella trama, si apre sempre all’esterno con quel movimento centrifugo già detto che però va ripetuto, perché è la vita, e non solo della poesia di Genna.

Parla del suo «piccolo cosmo privato» la poetessa e di questo racconta tanto il rifugio quanto la spinta al di fuori, quasi a farsi ectoplasma distaccato dal corpo-ancora («vado ovunque in sospensione»).

I fili sottili del mondo non smettono però di ricomporsi e fanno la persona, costruiscono anzi un «corpo che pare persona», senza che questa prenda mai troppo il centro della scena restando invece capace di osservarsi e osservare dall’esterno, sollevata in alto con un punto di vista privilegiato capace di dare sempre la prospettiva del ritorno («nei moti delle rondini il ritorno»).

Anche in questi viaggi di andate e ritorni il mondo è un sogno fatto di «oro sacro» e «alti cieli gotici», visioni di «grano di campi lontani», «striatura astratta», un’estate incendiata, apparente, ruggine che piove dal cielo e altri grumi onirici. Ma il tempo non è mappato e lo spazio mai calcolato per Genna, che uscendo da sé per entrare nel mondo e da lì tornare a tessere trame, non sa e si affida, va senza timore della caduta («entro e non so dove»). Il suo è un movimento in uscita, un’esplorazione in scoperta, che non dimentica però di tornare alle minime unità dell’esistenza nelle quali risiede una verità inespressa, ma sempre valida, sempre da ricostruire: «tutto questo volgere al punto / al fondo dove non è abbandono, / non mèta».


Mi perdo quasi sempre

nell’attenzione ai fili d’erba alle piccole spighe ricurve nei prati,

piegate, indifferenti verso ciò che non ha radice. Ad un terreno che si ricompone del movimento dei pianeti sapremo dire come l’oro ogni chiarore, ogni richiamo al vero.


Ma è solo nell’ultima sezione di Quarta stella che il viaggio di esplorazione davvero esplode e si colora delle tinte scure universali, dove le strade sono intarsiate di stelle ed è possibile bucare le dimensioni per costruire mondi altri. L’incredibile elemento di questa avventura è il suo radicarsi in un’interiorità costruita con la finezza dell’artigiano o del tessitore che raccoglie spunti dal mondo per ricamarli in una nuova tela: «Era questo stare prossimi a sé / radicarsi in alleanza al proprio mistero / entrare nella sua costellazione».

Il sogno non precede il mistero, ma ne è anzi la conseguenza: da ciò che l’io scopre di sé, senza poterlo mai dire a parole chiare, sgorgano nuovi mondi di possibilità, nuove strade da costruire, città da immaginare e altri luoghi che non stanno dentro e neppure fuori, ma che pulsano dell’energia alimentata da quei voli di rondine continui – andate e ritorni – che le sezioni precedenti hanno preparato.

Ecco perché nell’ultima sezione della raccolta la poesia si fa prosa, prosa che mantiene però quella qualità sottile propria della penna di Genna, come la descrive Rosadini, «una scrittura in levare, con una spiccata qualità sintetica».

Ma neppure la sintesi può arginare questa esplosione di energie possibili: universi che si schiudono tra le mani del lettore, costruiti di strappi, traiettorie di lanci, ferite che ancora vivono nascoste sotto le cicatrici, «vene che diramano le strade percorse». Sono universi cosmici di ombre misteriose, ma portano con sé il sale del reale, sfuggono al tatto, ma restano impressi nella memoria come visioni improvvise. E qui ci si ritrova simili, possibili specchi l’uno dell’altra, fili semplici di storie complesse: «sei come me che sono solo un’ombra».

In questa nostalgia di mondi possibili la poetica di Genna si dichiara, umile racconto di quello che è stato, che è, che può essere. Un’esplorazione spaziale disarmata, perché la tentazione infine di togliere il casco e perdersi nell’infinito vale per ciascuno, fatta salva la capacità di rientrare nella quarta stella, di conservare il sogno in quello stesso cuore che l’ha generato.


Eri solo, costretto nel tuo tempo e mi guardavi: ora dove sei? Lo schermo è la realtà fatta di faccende e cose da portare avanti. La gente che si sveglia, le luci nelle case la mattina presto. Si fanno i conti con quello che dice la notte, con quanto lasciamo andare.


Gisella Genna è nata nel 1973 a Milano, dove vive e lavora. Giornalista e docente, si occupa da sempre di moda. A marzo 2020 è uscita per Interno Poesia la sua prima raccolta in versi Quarta stella. Si sono occupati della sua poesia blog letterari e riviste cartacee e online tra cui La Lettura – Corriere della Sera, la Repubblica di Bari, Atelier, La dimora del tempo sospeso, Carteggi Letterari, Il Rifugio dell'Ircocervo, Rai Poesia, Inverso, e altri.

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