Nota di lettura a "Perché saranno neve" di Valentino Fossati
- Valentina Demuro
- 17 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Leggere Perché saranno neve (peQuod, 2024) di Valentino Fossati è un’esperienza che assomiglia molto a un’immersione che ci accoglie, prima di tutto, Quasi religiosamente, nella dimensione del silenzio. I versi dilatati nello spazio della pagina allargano la vista, e le immagini assumono una potente identità narrativa. Gli spazi, infatti, permettono al verso di creare delle pause che anticipano il potere immaginifico delle parole. Queste si stagliano sulla pagina come piccole stelle portatrici di verità autonome, già di per sé significanti e assolute. Unite al contesto, invece, come una costellazione, dispiegano una via narrativa dal senso più ampio. È cosi che Fossati riesce a portarci dentro la visione, nel racconto chiaro ma sospeso, a volte onirico, a volte evocativo del ricordo, altre reale. L’ “intromissione” dei versi in corsivo amplificano ulteriormente questo effetto: chi parla? È un flusso di coscienza? È un ricordo o un pensiero? «Versi di tortore / campi brillanti / lasciateci dormire»; «al bimbo / sul sagrato della chiesa / l’uomo è fatuo, è niente / finalmente in pace». In questo limbo, le verità nettissime ruotano attorno ai grandi temi della morte, degli affetti, del ricordo, della famiglia («Mamma, la pasta scolata / (domenica) / s’è impiccato / il partigian che ha sparato al ragazzino…»). Elemento ricorrente (presente anche nel titolo) è la neve. Con la sua atmosfera indefinita, si fa simbolo di questo gioco di parole taciute ed espresse, nonché metafora per eccellenza, simulacro del passato e della reinterpretazione emotiva del vissuto.
Ma il lettore non pensi di avere a che fare con la decodifica di una biografia: la scrittura di Fossati ha la capacità di condurci oltre la poesia stessa, un richiamo al vero trasmutato del filtro poetico che mantiene intatto il significato e lo congeda alla lettura del prossimo come altro da sé, in piena autonomia semantica. Inoltre, bisogna considerare lo sguardo del poeta: è una vista fanciullina (quasi di pascoliana memoria) quella che prende la mira e tocca con la parola ciò che individua e vuole restituire. Vi è infatti il recupero di elementi del passato (come le candeline, le torte, le feste,) colti e guardati nella loro autenticità semantica. Un correlativo oggettivo che non ha bisogno di aggettivi o spiegazioni, ma è, per il fatto stesso di esistere in quel preciso frammento di verso, una comunicazione assoluta. Con un uguale potere, talvolta compare il dialetto che, come un’eco, dice come solo la lingua vera può dire, è quella della vita che è stata, della vita che forse era ancora prima della vita stessa che la pronuncia.
Si sospende, dunque, il giudizio, e in questa piena immersione, come si diceva prima, si realizza una poesia di impatto gentile che sa raccontare la vita in modo asciutto ma non per questo privo di emozione che non cede, però, a sbavature, semplicemente si manifesta con la sua fulgida e compiuta essenza. Il dolore, la dolcezza, le magie della poesia possiedono uno stato di immanenza nelle parole-stelle dell’autore, non bisogna cercare null’altro altrove: rimaniamo folgorati o commossi.

La tenda viola del balconearriverà sul campo
Prospettiva e visione
Profondità.
Le famiglie adessole griglie incandescenti
domenica alla fine di maggio…
Tavolini aperti
e tutt’intorno i figli e le figlie a giocare
la luce di maggio,poche ombre.
Mai come ora
Prima dell’addio,l’odore della carne ancora vivo.
Finirà.
Ma prima di dormireaspetteremo i passi,
il padre ancoraa rimboccare la coperta
o l’odore, erba falciata
sarà quella, inascoltata, la preghiera.
*
Sognare la torre,campi
precipitare
Ti salveranno.
Dolcemente
Impazzire –
la flebo di mezzogiornoaddormentarsi svegliarsi
lontana la madre
spinta giù
Dove?
Venir meno
la febbre
aspettarla
ombra disegnata alla parete.
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