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Immagine del redattoreMario Saccomanno

Nota di lettura a "Penelope e Antigone" di Margherita Parrelli

Un modo proficuo per mettere in risalto alcune peculiarità del poema Penelope e Antigone di Margherita Parrelli (La Vita Felice, 2017) è prendere le mosse da un verso nevralgico contenuto nel testo: «Ma permesso non è mutare ciò che fummo». Intanto, occorre sottolineare che a pronunciare queste parole è proprio Antigone, la celebre protagonista dell’omonima tragedia sofoclea. Nell’incontro con Penelope, che Parrelli tratteggia e offre ai lettori coi suoi versi melodiosi e pungenti, si è dinanzi a un bivio. Risulta inevitabile scegliere tra continuare a percorrere il proprio tragitto solitario oppure fondersi, trovare finalmente comprensione e rifugio nell’altro, diventare finanche una famiglia.

In questa decisione e nel tendere sempre più evidente verso la seconda opzione, come presto si vedrà, diventa lampante l’urgenza dei contenuti di quest’opera, il tracimare di ogni verso nell’attualità. L’autrice mostra limpidamente come compiere una scelta ponderata presupponga sempre fare i conti col proprio passato. Anche per questo motivo, il poema è soprattutto un lento e continuo riaffiorare di uno scontro inevitabile vissuto perlopiù in solitudine. A prima vista, l’opporsi alla conformazione della realtà da parte sia di Antigone, sia di Penelope assume sfumature distanti e inconciliabili. Eppure, tramite il confronto e il dialogo, subentra la comprensione. In questo modo, ogni aspetto diventa complementare al punto da formare un’unità.

Così, nei versi, Antigone rimarca il bisogno di ribellarsi agli ordini impartiti da Creonte, governatore di Tebe. Il sovrano aveva imposto a Polinice un trattamento riprovevole: nessuno avrebbe dovuto concedere una degna sepoltura al suo corpo a causa delle sue azioni mosse contro l’interesse dei suoi stessi cittadini. Nell’universo greco, percepito come un sempiterno prodursi e disfarsi, questo equivaleva a non godere della pace eterna. La legge dello stato era indubbiamente degna di rispetto, ma lo sguardo di Antigone si sofferma su un orizzonte più alto segnato dalla legge divina, non scritta, ma ampiamente percepita da ogni uomo. Per questo motivo, disubbidisce a Creonte seppellendo simbolicamente con un po’ di terra Polinice, suo fratello. Da lì, tramite il conseguente gesto del suo sovrano, che la rinchiude in una grotta per aver contravvenuto ai suoi ordini, si innesca un domino cruento, usuale nella produzione sofoclea. Infatti, il sopraggiungere di un dolore lancinante, frammisto alla sua incresciosa condizione, spinge Antigone a impiccarsi. Seguono altri suicidi, quello di Euridice ed Emone, che causano dispiaceri lancinanti e ineliminabili soprattutto in Creonte e in Ismene, ancorati saldamente agli orizzonti regolati dalle leggi statali.

Dunque, in un certo senso, seguire la legge del cuore porta Antigone a essere a tutti gli effetti paladina delle ingiustizie terrene. È un tassello chiave che Parrelli mette ben in luce nel testo e che emerge da versi quali: «Io sono la difesa di chi difendere se stesso / non ha potuto, sono ciò che resta oltre la paura». Del resto, proprio per questo aspetto, in particolare negli ultimi secoli, l’Antigone sofoclea è stata letta soprattutto come una tragedia contenente una forte opposizione agli stati totalitari. Anche il celebre rappresentante dell’idealismo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel dedicò acute considerazioni sull’eroina tratteggiata dal drammaturgo greco. Il suo tipico procedere dialettico lo condusse a non tendere definitivamente a favore di nessuna delle due parti: legge dello stato e legge divina erano indispensabili. Così, indubbiamente, la voce energica di Antigone era espressione della razionalità.

Oltre a questi aspetti, Parrelli mostra anche come il modo d’agire di Antigone l’abbiano resa regina, sposa e figlia «mancata». Nel poema è Penelope ad accoglierla tra le sue braccia: «Figlia mia diletta, figlia mai avuta e molto attesa / finalmente ti incontro, il tuo tormento abbraccio / la tua solitudine accolgo».

Dunque, analizzando la caratterizzazione con cui Parrelli tratteggia Penelope nel suo poema, si può affermare che l’autrice sembra dirci che lo scontro fondamentale risulta essere ancora una volta quello tra ragione e realtà. «L’amore paziente» di Penelope non viene minimamente scalfito dall’odissea vissuta tra le mura domestiche del suo palazzo. Anche in questo caso, è sempre il ricordo a recitare il ruolo decisivo. «Fermi i gesti quotidiani a difesa della memoria», si legge in merito nel poema, in uno dei tanti punti in cui si dà risalto a questo tema che, nel caso di Penelope, si lega a stretto giro alla pazienza infinita e alla speranza del ritorno di Ulisse che posticipa eternamente il momento della scelta di risposarsi.

Nel testo, a incrociare le due figure è il destino. Solo il bisogno di riconoscersi l’una nell’altra conduce finalmente alla possibilità di costruire un vivere quotidiano differente. Questo sembra sia possibile soltanto una volta completato il lungo e gravoso percorso confessionale. Così, tramite il nuovo saldo legame, diventa tempo di un altro agire, descritto nei versi col sopraggiungere dell’alba capace di spazzare via le ombre e offrire concretezza. La nuova conformazione – che nel poema si riflette nel termine approdo con cui non a caso si conclude il testo – è regolata dagli ultimi punti saldi e dai ricordi più recenti. Come si diceva in apertura, mutare il passato non è possibile, ma Parrelli mostra come ci si possa spingere al punto da giungere a piena completezza attraverso l’incontro, attraverso il bisogno di riconoscersi nell’altro.



Penelope e l’ombra della sua vita stavano insieme

al margine della roccia tra mare e cielo

quando un moto improvviso scosse l’orizzonte

e una figura sottile di donna le apparve.

Sorpresa più nel vedere interrotto il flusso delle voci

sue compagne, che dell’apparire di una giovane

dall’ampia distesa marina,

Penelope cautamente mosse a lei.

«Chi sei, tu che osi scomporre

l’onda quieta del mattino, culla del ricordo

di questa terra e dell’universo tutto?

Così intrecciata ad alghe e stelle marine

a me ti mostri anima di te stessa,

ma dimmi da dove vieni

senza remo e senza vela, da corrente sospinta?».


*


Come avesse sempre atteso persona cui narrare

ella irruppe:

«Sono l’anima dimentica dalla crudeltà umana

lo spirito di giustizia messo a tacere,

lo sguardo di sfida al destino,

io sono la difesa di chi difendere se stesso

non ha potuto, sono ciò che resta oltre la paura.

Regina mancata di Tebe, sposa mancata d’Emone,

figlia mancata di chi figli generare non avrebbe dovuto.

Io sono Antigone, che non è mai stata

del silenzio la sua voce, della voce il suo silenzio».

Così disse d’un fiato a Penelope dal volto pallido

mentre l’ultima onda le faceva toccare terra

e la fragilità del corpo male rispondeva alla furia delle parole.

Se non avesse Penelope aperto le braccia in segno di pace

a lei che pace sembrava non avere

mai Antigone avrebbe interrotto di dire

ciò che da sempre ripeteva a se stessa.


*


E fu silenzio sull’onda del mare, fin quando

Penelope commossa proruppe:

«Figlia mia diletta, figlia mai avuta e molto attesa

finalmente ti incontro, il tuo tormento abbraccio

la tua solitudine accolgo.

Ignoti a me i fatti che narri

lontana la terra su cui muovesti i primi passi

eppure non meno immediato

il legame che sento né meno forte

l’affetto che mi ispiri.

Narrami ancora del tuo dolore, ti ascolto».


*


Dal sonno profondo si risvegliò Poseidone

il suo silenzio si allungò sulla distesa d’acqua

e divenne boato.

Vacillarono le ombre delle due donne

e su di loro si precipitò il mattino a cancellare ogni foschia.

Fu tempo d’approdo.


Margherita Parrelli è nata a Roma nel 1967, dove è tornata nel 2012 dopo quasi venti anni all’estero, di cui sedici a Monaco di Baviera, città natale dei suoi figli. Si è laureata in Storia delle Dottrine Morali all’Università La Sapienza di Roma; presso l’Università di Exeter ha conseguito un master in Teoria politica. Ha collaborato come free lance con il Bayerischer Rundfunk, Il Mattino di Napoli e RAI Educational. A Monaco di Baviera ha insegnato italiano a adulti e bambini. Al rientro a Roma ha conseguito il Diploma di consulente familiare. Ha pubblicato tre raccolte poetiche: L’orizzonte tra le mani (Lieto Colle, 2011), Falling Down (La Vita Felice, 2014) e Penelope e Antigone (La Vita Felice, 2017).

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