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  • Immagine del redattoreAndrea Conti

Nota di lettura a "Ma tu, tu sei la pianta" di Claudia Olivero

C’è una tensione costante in Ma tu, tu sei la pianta di Claudia Olivero (RP Libri, 2021), a cominciare da quel titolo rilkiano che pare voler distogliere il lettore, richiamarlo, ex abrupto, da un rumore di fondo, da un qualche tipo di distrazione. I pochi testi della plaquette (che contiene anche illustrazioni di Lodovica Paschetta) descrivono un piccolo canzoniere erotico-sentimentale, in cui due entità anonime, un «io» e – per l’appunto – un «tu», si fronteggiano in un vuoto pneumatico, in un’assenza totale di riferimenti spaziali e temporali, ma sempre a un passo dalla dissoluzione.

Sarebbe più corretto dire che a rischiare di dissolversi, in questa poesia tutta in levare, sia in realtà soltanto il soggetto, un io lirico così fragile da non potersi dare se non in rapporto a quel suo tu-totem: «Distoglimi / dal mio essere fuori da te» (p. 13); «Dirigi / la mia mano / che più non sia mente / né corpo» (p. 15). Si vede, allora, come il tratto più interessante della scrittura di Olivero sia questa ricerca paradossale di un’affermazione nella negazione, che arriva talvolta a torcere il dettato in costrutti immaginativi di forte suggestione, e tuttavia sempre dominati da un’ambiguità di fondo, un’ansia d’esistenza che deve necessariamente passare attraverso un processo di distruzione. Come in questo passaggio, concettualmente uno dei più audaci della plaquette: «Mi lecchi l’anima / fin dove si consuma / e lasci entrare il mondo / dai bordi frastagliati di questo / nuovo buco – sanguinante» (p. 11); passaggio che condensa alcuni degli aspetti più felici della poesia di Olivero: l’urto sinestetico tra astratto e concreto («leccare l’anima»); il capovolgimento a specchio tra pieno e vuoto; l’idea di un’esperienza della realtà («lasci entrare il mondo») che può avvenire solo a patto di una «consumazione» dell’io, e che tuttavia si riafferma, di nuovo, in una figura ambigua, astratto-concreta, addirittura biologica – e comunque non priva di allusività sessuale – come quella del «buco sanguinante».

Se di canzoniere d’amore si tratta, sebbene aggiornato ai nostri tempi, c’è da dire che il suo elemento d’interesse risiede non tanto nei motivi ispiratori di fondo, quanto in ciò che essi producono in termini di autoanalisi dell’io e, conseguentemente, del suo linguaggio. Non è una passione astratta e anonima quella che travolge i due attori di questa raccolta, anzi l’attore monologante e il monolito cui si rivolge. A valere, semmai, è la massima contenuta nel penultimo testo, ma variamente riecheggiata in tutti gli altri: «non è una questione di peso, / l’amore. È soprattutto spazio» (p. 23). E proprio sul tema dello spazio, sdoppiato in quello del vuoto e del silenzio, i quali altro non sono che metafore di un erotismo talmente viscerale da minacciare le identità, si gioca tutta la scommessa d’esistenza di questo io flebile e paradossale.


Cammino – è invadente il passo

tra ricordi che non so nominare

arrivo in fondo, dove solo si esiste

per moto circolare. Rimangono

l’atto del togliere, trovare spazio

l’atto di accogliere, per fare l’altro.

Essere già

come una madre.


*


Mi lecchi l’anima

fin dove si consuma

e lasci entrare il mondo

dai bordi frastagliati di questo

nuovo buco – sanguinante.


Dove confina l’anima

a sud? Mi guardi

negli occhi e

solcano ruvide

le papille.


*


Prendi me a bottega:

così indefinita – traccio vene

profili che sfuggono –

aprendosi immense

sul bianco vuoto: fessure

inappropriate. Dirigi

la mia mano

che più non sia mente

né corpo – e sola sappia

creare il silenzio

o qualche sua piccola scintilla.


*


Al di là

delle parole mal dette,

maledette infezioni

rotazioni vocaliche

ellissi di visione

e senso –

trovo te.


E sempre fingo

di non vedermi.



Claudia Olivero, torinese, è co-fondatrice del Tinello Poetico, collettivo di divulgazione poetica, ha esordito con la silloge Per baciarti a occhi chiusi non servono gli occhiali, Bré editore, e ha recentemente pubblicato una silloge illustrata dall'artista Lodovica Paschetta per RP Libri, dal titolo Ma tu, tu sei la pianta. Sue poesie inedite sono apparse su riviste online e blog. Ha lavorato come traduttrice e ha vinto il Premio Grinzane Cavour per la sua tesi di laurea, a seguito del quale sue pubblicazioni sono apparse su riviste nazionali e internazionali.


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