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  • Immagine del redattoreValentina Demuro

Nota di lettura a "Lo sguardo inverso" di Maria Benedetta Cerro

Con i bellissimi testi raccolti in Lo sguardo Inverso (Lieto Colle 2018), Maria Benedetta Cerro ci parla dell’importanza del ruolo della parola e del suo potere salvifico. L’abbandono nell’incomunicabilità che avviene con la mancanza della parola, è un atto che porta all’abisso. Il rischio a cui si va incontro è quello del “parlare per parlare”, ridondanza di forma senza contenuto che distrugge ogni verità di dialogo tra gli uomini («e tu credi di parlare/ credi all’incontro/ invece/ la solitudine ti spezza»). Ci si salva solo attraverso la parola vera, «la parola maiuscola / che ammansisce il buio» e per essa vale la pena lottare perché salva gli altri e il singolo stesso che l’adopera, come la stessa poetessa dice «mi fu impedito di morire / perché fosse chiaro che l’immensità / può abitare il linguaggio / divenire istante di verità / arte di salvazione». Il poeta ha qui il privilegio di tessere questo canto veritiero che scava le profondità. Condurre alla luce il messaggio, come direbbe Ungaretti, significa anche disperderlo, portarlo, dunque, ad altri. Il dono profondo della parola è infatti proprio quello di raggiungere e toccare il prossimo con una sincerità che, forse, solo la natura (elemento attentamente presente nella silloge) può insegnarci: «Cosa dirò agli uccelli? / i soli che sanno / e pronunciano / incontrano e salutano / la parola piumata che strepita di vita». La ricerca della purezza può portare anche a scarnificare il verso, scioglierlo dagli orpelli, per trovare il nucleo luminoso che possa colpire, trafiggere ed essere, da solo, assoluto; nella sezione La parola prosciugata, si nota come anche il corpo della poesia, inizialmente esteso e pieno di elementi tra loro dialoganti, si faccia, talvolta, più nudo e spoglio, ma non per questo meno intenso.

Giunti alla fine della raccolta, si vede chiaramente come tutta l’opera si moduli sul binomio luce/buio che la poetessa indaga e discerne, affronta e vive, puro epos interiore che ognuno di noi è destinato a fronteggiare. Ma la poesia permette di entrare anche nell’ombra più atroce, quella del lutto o della perdita e, in qualche modo, per quel miracolo che conoscono e subiscono i poeti, si può tornare indietro recando con sé un’eco di luce.



Abbiamo creduto di essere vivi per la guarigione dell’esistere eppure ignorammo i bagliori dei giardini trapassati dalla luce la musica inaudibile dell’alba ancora chiusa nella gola dei merli. Eppure vivemmo ma inconsapevolmente.


*


Orgoglioso silenzio e maledetto inoltre che graffia dagli occhi la gioia. L’abbandonato scrive parole di vetro. Già si feriscono i fiori che sognavano di nascere e sono germogli impiccati al gioco dell’inverno

*


Una parola – la sola che ti trapassa –


Troppo in alto per...


Sono io

ancora.

Dimentica

splendi ignora.


*


Ti seguimmo a fatica. I sassi ci venivano incontro. Tu non lo ricordi.


Sai che stiamo bene


– e non è vero –


Il sogno addomestica le attese. Troppa acqua si riposa


nella chiusa stanza.


L’ultima goccia del sangue di mia madre


se l’è presa la terra.


Maria Benedetta Cerro è nata a Pontecorvo e risiede a Castrocielo - Frosinone. Ha pubblicato: Licenza di viaggio (Premio pubblicazione, Edizioni dei Dioscuri 1984); Ipotesi di vita (Premio pubblicazione “Carducci – Pietrasanta”, Lacaita 1987), nella terna dei finalisti al Premio Città di Penne; Nel sigillo della parola (Piovan 1991); Lettera a una pietra (Premio pubblicazione “Libero de Libero”, Confronto 1992); Il segno del gelo (Perosini 1997); Allegorie d’inverno (Manni 2003, nella terna dei finalisti al Premio Frascati “Antonio Seccareccia”); Regalità della luce (Sciascia 2009); La congiura degli opposti (LietoColle 2012), premio “Città di Arce”; Lo sguardo inverso (LietoColle 2018); La soglia e l’incontro (Edizioni Eva 2018).

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