Nota di lettura a “le ceneri di super vicky” di Ophelia Borghesan
- Alessia Bettin
- 26 mag
- Tempo di lettura: 4 min
Il titolo dell’ultimo lavoro di Ophelia Borghesan, le ceneri di super vicky (Garganta Press, 2024), rimanda a un immaginario anni ’90, combinando il riferimento alla robottina Super Vicky – dell’omonima serie trasmessa in Italia tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90 – al titolo dell’opera Le Ceneri di Gramsci di Pasolini. Nella sitcom, l’ingegnere robotico Ted Lawson aveva progettato un androide dalle sembianze di una bambina umana di dieci anni. Vicky viveva con la famiglia di Lawson in un quartiere residenziale americano, nel tentativo, tra il comico e il fallimentare, di integrare la sua razionalità artificiale e le sue abilità “potenziate” nella quotidianità della vita sociale. Nonostante fosse un prodigio della tecnica, Vicky si rivelava carente sotto molti aspetti e spesso doveva essere tenuta nascosta agli occhi della società. Già dal titolo partiamo quindi con una postura che sembra dire: si sta davanti alle ceneri di quel passato recente che tanto ha contaminato il contemporaneo, sempre più tecnologico, e il serbatoio simbolico della generazione Millennial in primis.
“Il padre è a bordo vasca con la pipa, la figlia adolescente con lo smartphone ascolta la playlist di Billie Eilish; il padre tiene in mano un super tele.”
Nell’opera di Borghesan, in cui pulsa una enorme curiosità verso il reale, convivono rimandi al passato, un’iper focalizzazione sul qui e ora, di cui vengono creati frame iperrealisti, tanto che in alcune sezioni si ha quasi la sensazione di scorrere delle storie Instagram o attraversare le stanze di una exhibition fotografica. La contraddizione però avviene in riferimento a un futuro che sembra non esistere: si sta su una rotaia tra il presente e un passato prossimo tra i quali si continua a rimbalzare. E in questa percorrenza, si ha l’impressione di attraversare una nebulosa densa di immagini, oggetti, personaggi, situazioni ultra contemporanee, animali (una vera e propria galleria di cani di razza partecipi delle vicende umane), alla luce di un filtro ironico-tragico, fino ad arrivare alla dissoluzione, senza gli elementi necessari a concettualizzare il futuro.
“Tra le roulotte la bimba lava il cucciolo di pitbull con l’idrante, nel meriggio abbassa le serrande il compro oro.”
Nelle poesie dell’opera, c’è poi una marcata presenza del virtuale in riferimento alla comunicazione social, che passa attraverso l’armamentario delle doppie spunte, di emoji, notifiche, “blocchi”, capaci di innescare nei comunicanti sentimenti di ansia, di attesa spesso angosciosa, e di addiction, nelle dinamiche dei quotidiani scambi digitali. Ecco allora che «La notifica / si schiude a fior di labbra.», le spunte sono «larve». Il protagonista di una poesia «Controlla la bacheca, poi dispone / il blocco del profilo;» mentre in quel preciso momento, nel mondo là fuori «la rugiada / imperla i rami del ciliegio, il cigno / deterge il suo piumaggio, l’operaio / prepara la miscela per l’asfalto.», ma nonostante questo «Ritorna a letto e condivide il meme / di Wittgenstein che parla in romanesco.» C’è sottotraccia una nota stridente in questo “canzoniere antilirico e frontale” di Borghesan, che affiora dal sovraccarico di stimoli in cui si è forzatamente immersi. Un eccesso che paradossalmente genera noia e un certo senso di horror vacui nei protagonisti delle poesie, lasciandoli quasi senza via d’uscita: senza passato – ridotto a un mucchio di ceneri – e senza futuro perché mancano persino gli strumenti per immaginarlo.

Rivede l’Excel
nel dopopranzo d’oro.
Il cervo brucia.
*
Le cose che ricordi con terrore:
i sassi dal cavalcavia, la guerra
del Golfo, poi: la storia di Alfredino,
i rapimenti alieni raccontati
a I Fatti Vostri, il botulino, poi:
il peso di una stella, l’entropia,
la doppia spunta, andare in psichiatria.
*
Domani all’alba, quando te ne andrai,
di te mi resterà la mascherina
sul comodino, a forma di scialuppa,
la luce bianca tra le tapparelle,
il comodino a forma di Titanic.
All’apparir del vero capirò
che a fare l’iceberg ci hai pensato tu.
*
Le palme, gli oleandri, la piscina,
la rondine che scende a bere, tutto
concorre a definire con coerenza
il posto di vacanza; e questo è quanto.
*
Assaggia il flan di zucca, mentre osserva
i soci che si stringono la mano;
l’AD decide dove far sedere
i dipendenti, dice è meglio fare
un maschio ed una femmina, così
rimane viva la conversazione.
Il cameriere coi sorbetti inciampa.
*
I cani che annusavano le fughe
tra le piastrelle azzurre della spa
dismessa, al -1 dell’albergo,
non erano una vostra proiezione,
ma cani che annusavano le fughe.
Seduti con le gambe al petto, a bordo
piscina, guardavate il fondo vuoto.
*
Gli strappi nella carta da parati
non erano che strappi, e non metafore
di quello che eravate nella stanza.
Eppure, riguardandoli, sembravano
dei visi nel compianto, delle case
in pasto all’uragano, dei licantropi
al ballo delle debuttanti; eppure.
*
Così le biciclette vi spingevano
sui sassi bianchi e ossuti, in mezzo ai platani,
le gambe impolverate, la certezza
di vivere un cliché, e un altro, e un altro
l’attesa della doppia spunta come
l’arrivo di un Cortés qualunque, come
l’arrivo del vaiolo, o degli alieni.

Ophelia Borghesan (Angela Grasso e Luca Rizzatello) è un progetto fondato nel 2013 che si occupa di scrittura, grafica e videoinstallazioni.
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