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Nota di lettura a "Barlicch barlòcc. Poesie dell'eros lombardo" di Luigi Balocchi

  • Immagine del redattore: Alessandro Pertosa
    Alessandro Pertosa
  • 16 mag
  • Tempo di lettura: 4 min

C’è una voce che sussurra tra le pagine di «Barlicch barlòcch. Poesie dell’eros lombardo» di Luigi Balocchi (Manni 2024). Sussurra parole di desiderio e polvere, di carne che brucia e di notti insonni, di attese consumate davanti a finestre socchiuse e di amori che graffiano l’anima. Non è una voce gentile, né accomodante. È una voce che conosce la strada dell’anima, che ha percorso vicoli bui e piazze inondate di luce, che si è smarrita tra desiderio e dannazione. Questa voce parla di noi, delle nostre paure, delle nostre ossessioni, delle ombre che preferiremmo ignorare.

Balocchi costruisce la sua poesia come un artigiano impetuoso che non teme il linguaggio crudo. Accarezza il dialetto lombardo, lo modella e mescola con l’italiano per creare un impasto sonoro di rara efficacia. Ma il dialetto non è un vezzo, non è nostalgia: è carne viva, è la voce della strada, della gente comune, della quotidianità esistenziale che pulsa e si sgretola nello stesso istante. È una lingua immediata quella di Balocchi. La lingua della verità, dell’amore e della passione, una lingua priva di maschere attraverso la quale ci si svela il mondo.

Nel leggere e rileggere questi versi, mi rendo conto però che qualcosa mi sfugge. Forse non essendo lombardo alcune sfumature svaniscono, ed è certo possibile che qualche sottigliezza mi resti preclusa. Tuttavia, la sonorità del dialetto resta apprezzabile, si insinua tra i versi con forza e naturalezza, trasmettendo una musicalità e una sincerità che superano la barriera linguistica.

La prefazione di Fabio Pusterla offre una chiave di lettura essenziale per comprendere la poetica di Balocchi. Pusterla sottolinea come per l’autore il dialetto sia una necessità espressiva, una lingua che conferisce materialità unica alle parole, difficilmente traducibili. Anzi, la versione italiana rischia di appiattire il testo, privandolo di quella ricchezza lessicale ed esperienziale che il dialetto sa invece preservare.

Un aspetto fondamentale della raccolta è l’elemento erotico: il dialetto, con la sua fisicità e immediatezza, rende la sessualità tangibile, mai volgare, ma visceralmente vera. Secondo Pusterla, la poesia di Balocchi non è mai gratuita provocazione: è un atto di ribellione, un modo per affrontare l’ostilità del mondo con l’unica arma possibile, l’amore, vissuto nella sua concretezza più carnale e autentica.

Per mio conto, direi che le poesie in questa raccolta sembrano rappresentare plasticamente frammenti di un’esistenza vissuta con furia e stupore. In «La luna a Porta Genova» l’autore dipinge un affresco notturno in cui la città diventa un teatro di solitudini e speranze. «Il vangelo del diavolo» è un pugno nello stomaco, un testo che sfida i dogmi e si insinua tra le crepe della morale. «La donna serpente» affascina e terrorizza, con il suo erotismo contorto e la sua bellezza letale. E poi c’è «Il risotto e il buco», un titolo che sembra quasi uno scherzo, ma che nasconde un’analisi tagliente sulla società e sulle sue ipocrisie.

Ciò che colpisce, in Balocchi, è l’assenza di paura. L’autore non indora la pillola, non cerca di rendere le sue poesie più accettabili. Il suo verso è sporco, vivo, a tratti feroce, come se ogni parola fosse incisa con un coltello sulla pelle del mondo. Ma in questa brutalità c’è anche una sorprendente dolcezza: la tenerezza dell’uomo che osserva il proprio destino con rassegnata meraviglia, la nostalgia di un’umanità che sa di essere destinata alla sconfitta eppure continua a lottare.

«Barlicch barlòcch. Poesie dell’eros lombardo» non è un libro per chi cerca rassicurazioni. È un viaggio tra il sacro e il profano, tra l’amore e la rovina, tra il peccato e la redenzione impossibile. È un’opera che costringe il lettore a fermarsi a riflettere, a farsi attraversare dalle parole come da una tempesta. E alla fine, quando l’ultima poesia si spegne, rimane solo il silenzio. Un silenzio carico di domande, di immagini, di emozioni. Un silenzio che non lascia scampo.

Luigi Balocchi Copertina Manni Editore Alma Poesia

Barlicch barlòcch*


E ta savree che i idei, che la bucca na bordéghen, barlicch

barlòcch, debòn varen on’ostia; che l’etaa de quella terra

chì la va giù, giù in fund, fina al dì che la crèpa, num

tucc a brascett con lee. Per quest, mì barlicch, ta disi

vegna! vegna chichinscì, a suscià quel mel che, di bròcch

de la rura granda, dura la rura e ch’el dura, ab eterno,

al suta a sguttà. Stòppom la trista buccascia, sfondemel

denter. Scolta, là, a la fin, al sgarì di qj milla scigal.


* In lombardo è il Diavolo. Come avverbio, in funzione dialogica-conversazio-

nale è detto riguardo un fatto inevitabile, rimesso al destino.


BARLICCH BARLÒCCH


E saprai che le idee, che ci sporcano la bocca, barlicch / barlòcch,

/ valgon nulla per davvero; che l’età di questa terra / declina, fino

al giorno della morte, noi / tutti a braccetto con lei. Per questo,

io demonietto, ti dico / vieni! Vieni qui, a succhiare quel miele

che, dai rami / della grande quercia, dura la quercia e che duri, ab

eterno, / continua a gocciolare. Tappami la triste boccaccia; spro-

fondamelo / dentro. Ascolta, là, alla fine, l’urlo lontano delle mille

cicale.


La donna bissa


La mia donna l’è femina, la mia donna l’è mas’c.

L’è la bissa cangia pell quan che vegna la stagiòn;

stagiòn l’è tucc i vòlt che gha salta al pistutù de fà

quell che ’l vegna su, sa fruccia den’ in mess

i besii che fan pel, in del busch che gh’emm

adòss, lì scrusciaa ben quacc. Ché l’é lì la santa

bestia che la strusa, la slappa al bòn. E l’é

femena e l’é mas’c, ché ognun la su stagiòn.


LA DONNA SERPENTE


La mia donna è femmina, la mia donna è maschio. / È il serpente

cambia pelle quando viene la stagione; / stagione son le volte che

gli salta il ghiribizzo di impennarsi; / infilarsi nel bel mezzo delle

ortiche / che fan pelo; nel bosco nostro addosso, / lì accucciarsi.

Perché lì è la santa bestia / che la striscia, lecca il buono. / Ed è

femmina ed è maschio, ché a ognuno la sua stagione.


Luigi Balocchi Alma Poesia

È nato nel 1961, vive a Mortara, nel Pavese, è insegnante alle scuole elementari. Ha esordito con il romanzo Il diavolo custode (Meridiano Zero, 2007) e ha pubblicato libri di poesia. Con la raccolta Coeur Scorbatt del 2022 ha vinto il premio Giuseppe Tirinnanzi nella sezione dialettale.

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