Nota di lettura a "La dittatura dell’amore" di Antonio Nazzaro
Chiunque incontri la malattia, non ne dimentica il volto. Un volto disperato, incredulo, stanco, tinto ora di speranza ora di rassegnazione, un volto opaco, spento, raggrinzito, un volto che spinge a tenerezza e getta nel disincanto. Impossibile scordare i suoi colori, («Le luci bianche dell’ospedale accecano»; «segnali di vita nel grigiore / di un cielo gelato»; «un ciuffo di capelli grigi / avvolti in pelle ossa e una copertina»), i luoghi delle sue manifestazioni («Il telefono chiede se voglio portarla in ospedale»; «Nascondo il pianto sul lavandino del bagno e dal lucernaio la pioggia dà il ritmo»; «in questa stanza dove si viaggia tra un lamento il bagno cambiare il pannolone e una carezza a tagliare il volto»; «bagno allagato carta igienica ovunque / e uno sguardo perso con lo spruzzino in mano»; «notte a camminare sul bordo di un letto / non mio non mio / non mio»), le parole dell’assenza («Quando muoio Antonio?»; «Non sto bene dentro di me. Sono stufa. Quando devo morire?»; «a dire non avere paura Antonio / ti cullo io / di nuovo qui»; «Mi guardi. “Chi sei?”. “Sono Antonio”»), gli odori del compianto e della vergogna («l’odore a disinfettante mi fa tremare e lo stomaco si gira»; «L’odore a disinfettante è lì che è diventato voglia infinita di vomitare»; «L’odore a pipì mi fa girare la testa»), i pensieri di morte che si annidano nelle sue mani fredde («questa sarà l’ultima casa Antonio»; «mi ammalo non di te ma del tuo morire / di una mano che sollevo in una carezza / che lenta cade e ricade senza suono»; «come si vive senza madre / desiderandone la morte?»). La convivenza con questa spietata e impietosa signora è una lunga prova di resistenza e corriamo lenti, con le forze centellinate, i denti stretti, gli occhi gonfi. Il traguardo? Guarire o morire con un po’ di dignità, andarsene o restare ma finalmente liberati dall’ indesiderato ospite. La malattia vissuta dolorosamente sul proprio corpo o letta sul corpo di chi si ama è un’esperienza che squaderna e rimescola, scava fino a che non si vedono le ossa, fino a che non si rimane nudi, fino a che ogni difesa è saltata. Le mura fortificate del nostro castello interiore non reggono quasi mai, la malattia riesce sempre a fare breccia, a creare un varco, a insinuarsi nelle viscere dell’anima e da lì impartire i suoi ordini. Da questa breccia, da questo varco fuoriesce la poesia di Antonio Nazzaro che in La dittatura dell’amore (Delta3 Edizioni, 2022) ripercorre le tappe di una lunga e tormentosa via crucis: la sua e quella di sua madre, Zambonina, «per nemici un tumore e la demenza». Un diario del dolore e del lutto scandito cronologicamente dalle date poste tra parentesi in chiusura a ogni componimento. Un estenuante assedio iniziato il 6 settembre 2021 e conclusosi il 6 giugno 2022, che porta via Zambonina il 22 aprile del 2022. Una battaglia dispendiosa che lascia il poeta «orfano di tutto» in «mancanza di terra / assenza di madre». Nazzaro riesce a far entrare una luce dallo squarcio di questa perdita e di questa sofferenza: è la luce della poesia che tenta di mantenere vivo il ricordo e il legame, «quel legame d’amore spezzato dalla morte», come suggerisce Stefano Simoncelli nella prefazione alla raccolta. Lo fa accompagnando il suo lettore commosso tra versi icastici, immagini ricche e inestinguibili e prose poetiche che hanno il grande merito di restituirci con estrema franchezza, senza fare degli sconti, la miseria della malattia e al contempo lo slancio vitale, il tendersi a una straziante bellezza alla quale pure essa conduce. Nazzaro rastrema nel fondo di questa esperienza e ne fa una sorta di canzoniere in mortem. Una morte che si prospetta vicina tanto per l’ammalato che per lo spettatore non meno sofferente: muoiono entrambi seppure in maniere differenti. Morte che non risparmia i giorni, le ore, i paesaggi e investe tutto. Una veglia disperata, che cede spesso alla tenerezza, al senso di colpa e di impotenza. Uno smarrimento che tenta (e riesce) a disfarsi sulla pagina divenendo poesia. Una poesia salvifica che aiuta a rendere nitido il percorso, a fuggire i giorni di delirio, a uscire dalla routine del dolore fatti di letti, di bagni, di esami e prelievi, di giornate in cui le cose non vanno, «di case sempre più piccole», di telefoni che squillano. Una ripetitività straniante sottolineata spesso nei versi grazie al ricorso di numerose ripetizioni, anafore o epifore di parole o espressioni. Noi lettori assistiamo partecipi all’ingordigia del cancro, allo svuotamento della demenza, all’attesa di una morte che è al tempo stesso angoscia e liberazione. Come si piangono i morti? «Come si piangono / i vivi?», la risposta di un poeta risiede credo proprio nella resistenza della poesia, nell’affermare con forza: «vorrei essere un badante poetico / avere un sorriso stampato / sulle labbra come un verso».
vorrei essere un badante poetico
avere un sorriso stampato
sulle labbra come un verso
rispondere in rima ad ogni chiamata
arrivare con passo di danza
e gli occhi amorosi
ma il tempo spacca il verso
le risposte si seccano
sulle labbra come imprecazione
lo sguardo nervoso
il passo trascinato
ma arrivo sempre madre
sempre
(10 settembre 2021)
*
nel dolore in cui la misura è persa
dove la malattia dell’altro si fa tua
dove t’ammali di infermità non propria
crescono i silenzi di mattoni vuoti
di vocali che sono sempre bucate
come ombrelli che non riparano
ma forse i fori dei parapioggia
nascondono il segreto del passaggio
di un ultimo sole come una speranza
mi ammalo non di te ma del tuo morire
di una mano che sollevo in una carezza
che lenta cade e ricade senza suono
(2 novembre 2021)
Sotto il segno del cancro
sotto il segno di una stella marcia
in questa notte si fa più oscura
ogni istante è il cadere della pelle
le carezze i baci materni
si affievoliscono al risveglio
affogano nel cadere del sole malato
non resta che questa paura
dell’attesa inevitabile del nulla
vuoto sogno parola pensiero
vuoto circonda vuoto
ogni gesto un mattone di silenzio
vuoto stare o essere
vuoto abisso dello specchio
vuoto della mancanza
vuoto inganno il ricordo
solo paura paura
paura
(3 dicembre 2021)
*
Malattia. Cucchiaio. Foto. Pallido sole. Quando?
L’acqua non scende più. Il fiume degli anni un rigagnolo che non va giù per quella vecchia gola che vuole bere. Ricordo una foto mia dove tu mi imboccavi era appesa al muro di chissà quale casa. Mentre apri a mala pena il guado delle tue labbra al rumore del cucchiaio che sbatte sul bicchiere con gli occhi chiusi. Sparisce il tuo volto e s’affaccia Daniela la figlia mancata la sorella mancata che dopo le crisi epilettiche restava immobile per giorni e solo apriva la bocca al rumore del cucchiaio senza che le sfiorasse le labbra. Ancora ancora dici quasi con rabbia cercando di colpirmi con quel pugno che sembra doversi sgretolare solo allo sbattersi contro l’aria. Assassino dammi acqua fammi fumare e di nuovo scompari. Sono io ad apparire rannicchiato in macchina per scappare alla vista poliziotta che scaldo un cucchiaino e la manica rimboccata all’inverno. Ancora ancora sei tu a dirlo o io? Toglimi la coperta la sposto lentamente mi fa paura il tuo corpo rinsecchito. Tutto scompare. Mi ritrovo in ascensore con in bocca le parole “Quando muori ma’? Quando?”.
(6 aprile 2022)
Antonio Nazzaro nasce a Torino nel 1963. È poeta, traduttore, giornalista e mediatore culturale. Ha fondato e coordina il Centro Cultural Tina Modotti punto di incontro virtuale tra la poesia italiana e quella sud americana, seguito da 5 milioni visitatori ogni mese. Negli ultimi vent’anni ha viaggiato e vissuto in diversi paesi dell’America Latina dove spesso ha vestito i panni di professore in diverse università. Nelle vesti di mediatore culturale, ha scritto e diretto varie opere di video teatro e attualmente è direttore di diverse collezioni di poesia italiana e latinoamericana per differenti case editrici. Collabora inoltre con riviste ispanofone (cartacee e web) per la traduzione e diffusione della poesia di lingua italiana e viceversa, traduce autori ispanofoni per il mercato italiano. Ha pubblicato le sillogi: Amore migrante e l’ultima sigaretta (RiL Editores, Chile; Arcoiris, Italia, 2018), Corpi Fumanti (Uniediciones, Bogotá, 2019) e Diario amoroso senza date, Fotoromanzo poetico (Edizioni Carpa Koi, Italia, 2021). Un libro di racconti brevi: Odore a (Edizioni Arcoiris, Italia, 2014) e il libro di cronaca e poesia: Appunti dal Venezuela, 2017, Vivere nelle proteste (Edizioni Arcoiris, Italia, 2017). Suoi testi sono stati pubblicati in differenti lingue su riviste e antologie nazionali e internazionali. Da sempre vive l’identità d’emigrante figlio d’emigranti.
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