Nota di lettura a “Incantamenti” a cura di Francesca Matteoni, Cristina Babino e Laura Di Corcia
- Alessia Bettin

- 30 lug
- Tempo di lettura: 7 min
“Alcuni incantesimi sono amuleti. Alcuni di questi amuleti sono parole. Parole-oggetto che lavorano sull’altro per tramite del suono o della scrittura; parole che crepano l’illusione di una scansione temporale, riportandoci alla rete fungina di memorie sognate e timori che è l’esserci e il dirsi presenti”: così scrive Francesca Matteoni nell’introduzione a Incantamenti, l’opera corale da lei curata insieme a Cristina Babino e Laura Di Corcia (Vydia editore, 2024), che ospita le voci di venti poete italiane contemporanee, nate per la maggioranza fra gli anni ’70 e ’80 (Mariasole Ariot, Cristina Babino, Elisa Biagini, Maria Borio, Alessandra Carnaroli, Tiziana Cera Rosco, Laura Corraducci, Manuela Dago Pecorari, Azzurra D’Agostino, Evelina De Signoribus, Laura Di Corcia, Francesca Genti, Laura Liberale, Viola Lo Moro, Franca Mancinelli, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Laura Pugno, Marilena Renda, Mariagiorgia Ulbar).
Ma cosa sono gli incantamenti? Francesca Matteoni ha studiato gli incantesimi tramandati in Europa nell’era moderna della caccia alle streghe, un’epoca di crisi: si tratta di incantamenti di cura e guarigione del corpo attraverso invocazioni alle figure religiose e assonanze magico-simpatiche per ritrovare la salute, ad esempio guarire dal mal di denti, dall’emicrania o dall’emorragia nasale. Oltre a questi incantamenti con fini curativi, vi erano quelli più oscuri attribuiti alle “presunte streghe” a danno della comunità, come le formule delle streghe francesi per succhiare il latte del bestiame dei vicini o gli unguenti che permettevano di volare. Ma la cosa più interessante emersa dallo studio degli incanti del passato, al di là dei loro effetti sul piano pratico, è la capacità di mettere in luce un materiale che si opponeva radicalmente all’ordine costituito. “Tempi di crisi – spiega Matteoni – traggono fuori dall’umano un riconoscimento dell’universo quale luogo dove ogni cosa può essere continuamente risignificata perché contaminata, pervasa, illuminata o minacciata dall’altro. Le strutture sociali chiedono definizioni, ordinamenti, chiusure, la vita tuttavia, nella sua accezione globale, è contro-identitaria. Non dà valore alle cose in sé – queste si cantano le une nelle altre, in modi stupefacenti e spaventosi.” Gli incantamenti quindi consentono di cogliere la molteplicità e di crearla, scorgendo il legame nascosto tra tutte le cose: “molteplicità dei mondi, dei tempi, delle linee del passato e del divenire, dei modi di fare umanità, degli enti e dei paesaggi, delle intenzioni, delle forme di vita e di noi stessi” citando l’antropologa Stefania Consigliere. Agendo per unire o separare – oltre che, in passato, per provocare la malattia o riportare la guarigione –, oggi gli incantamenti trasformano anche l’esperienza individuale in potere condiviso. Connettono, trasfigurano il dolore, liberano, creano mondi, soglie e percorsi da attraversare, che si schiudono attraverso le parole. Matteoni ha identificato alcune parole-soglia nell’opera Incantamenti: infanzia, transpecismo, post-umano (o pre-umano), casa, ritorno, discesa, eredità, lutto, ferita, rito, anatema, contro-magia, maternità, ombra, corpi, origine, trasmutazioni, ibrido. Di seguito ne approfondiamo alcune.
Cristina Babino si affaccia alla soglia del lutto per la morte del padre, tentando con parole-incantesimo di tornare agli oggetti di una notte del passato, gli effetti personali inventariati, risignificandoli « – gli occhiali da vista / la montatura accartocciata le lenti sfondate / – il fischietto da capotreno / se ci soffio dentro chissà se fischia ancora – la fede d’oro / quel rivolo di sangue rappreso un filo di corallo». Elencando le azioni, come una formula magica per covare il tempo all’inverso, cercando un senso, comunque inafferrabile, nella morte: «che non prendesse il treno quella notte / che restasse a casa al caldo a letto / che i calzoni del pigiama li portasse / sotto le coperte non sotto la divisa […] che un padre potesse tornare / dal lavoro così un giorno / in una busta gialla fatto a pezzi a oggetti / è tutto quello quel giorno che ho capito / è tutto quello che non ho imparato».
Per Laura Di Corcia l’incantamento si traduce in un esercizio di autodeterminazione tra la bambina e l’adulta: «Ci saranno albe in abbondanza se stiamo inginocchiate / tutte insieme sorelle di vento ci saranno albe se sapremo / mescolarci gli occhi guardare insieme, decidere, / recidere con un colpo netto».
Laura Liberale crea un originale e contemporaneo rito di liberazione, caratterizzato dalla ritmicità delle elencazioni, ispirato a un incantesimo contenuto in uno dei testi sacri dell’Induismo: «Da te con l’incantesimo allontano / la gabbia il pungolo lo storditore / la sega circolare la mannaia / i paranchi il marcabestiame il colpo / abbattitore».
Gli incantamenti di Francesca Matteoni e Renata Morresi liberano e creano ipnotiche metamorfosi tra il mondo umano, animale e vegetale: «Ora è tempo di andare / nell’anno che volge sotto la luna. / Nel canto si chiude questo presente ostile, / stretto nell’umano, cupo. / Indosso la mia pelle di lupo.» (Matteoni). «Ora conterò fino a cinque / e dal fondo della pagina usciranno / le mani le ortiche le blatte» (Morresi).
Le voci presenti nell’opera corale Incantamenti raccontano i diversi modi del sentire contemporaneo con una lingua antica e attuale, femminile, incarnata, che attinge al magico, accomunando la diversità. La parola diventa gesto rituale, capace di connettere e decostruire i livelli del reale, del presente e del passato, di intimità e comunità, per restituirli in forme nuove, visionarie. In questo modo Incantamenti diventa una mappa di soglie da attraversare, una guida che ci accompagna verso un orizzonte in cui la parola non solo racconta, ma agisce, connette, libera, cambia e incanta.

Poesie selezionate
Marilena Renda
Qualche giorno nella casa dell’infanzia
e la testa diventa quei sogni
in cui arrivano gli insetti.
Sono insetti sconosciuti, neri e corti,
sono serpenti lunghi, scorpioni,
scarafaggi o granchi.
Non ti mordono le gambe,
non avvelenano, non stridono,
non hai armi, devi solo
sopportarne la presenza.
Devi fare, in silenzio,
come se non esistessero
anche se un aiutante, in segreto,
ti passa un bastone.
La voce di mio padre dice:
sei circondata da animali zoppi,
deformi, sempre muti,
perdi la testa, perdi il cuore,
non costruisci recinti
per i cinghiali, nemmeno
per le bestie più feroci.
Devi fare, in silenzio,
come se la voce
non avesse parlato,
come se non esistesse
nemmeno la magia.
Devi fare, in punta di coltello,
come se non ti avesse punto
nessun pungiglione.
Renata Morresi
La conta
5.
All’opposto di capire c’è il sapere
all’opposto di parlare c’è il pianto
un evento pre-politico, diranno, e sempre
interpretabile, ma più spesso liquidato come
‘naturale’. Come il sangue, il potere, le piante
o lo scrutare in silenzio a sei anni imparare a
scrivere è scriverci attorno, una cinta muraria,
un fossato di amaranti e pratoline. Quando le cogli
vivono anche dieci giorni nell’acqua non diresti
che crescono sui morti. Ho vissuto lo stesso
tra la fragola e il taràssaco. Ora conterò
senza numero. Scrivo che sarò libera.
Elisa Biagini
una goccia di mercurio, una goccia di saliva
sollevando la palpebra alla palpebra
ritrovo i tuoi polmoni scuri di ripiene –
gli occhi gonfi di latte vedono
il bianco sotto la fuliggine,
l’alveolo fatto osso, gesso
con cui io adesso scrivo
questa storia
una goccia di saliva, una goccia di mercurio
Laura Liberale
Speech Act
(PRIMA CELEBRANTE)
Da te con l’incantesimo allontano
l’azzurra metaldeide la stricnina
l’esca gustosa il diserbante l’ANTU
fosfuro in polvere bromadiolone
la tossina
(CORO DELLE CELEBRANTI)
Lo prenda la gola di Durgā il veleno che strazia
l’interno che incendia schiumando lo spasmo che gela
(PRIMA CELEBRANTE)
Da te con l’incantesimo allontano
laccio lacciolo rete pania vischio
congegni elettrici strisce adesive
specchi rotanti trabocchetti ordigni
il rischio
(CORO DELLE CELEBRANTI)
La spezzi il piede di Durgā l’insidia che arresta
l’andare il respiro adescato l’occhio che si svelle
(PRIMA CELEBRANTE)
Da te con l’incantesimo allontano
la gabbia il pungolo lo storditore
la sega circolare la mannaia
i paranchi il marcabestiame il colpo
abbattitore
(CORO DELLE CELEBRANTI)
Li annienti la furia di Durgā i perimetri empi
della fame si autodigeriscano gli stomaci
(PRIMA CELEBRANTE)
Da te con l’incantesimo allontano
stabulario e stallo detentivo
la denominazione alfanumerica
densità biotica abbattimento
selettivo
(CORO DELLE CELEBRANTI)
Li raccolgano le mani di Durgā i disuniti
gli strappati i perduti li raccolgano le mani
(PRIMA CELEBRANTE)
Da te con l’incantesimo allontano
weltarm esopici antropomorfismi
fosse ontologiche apriori umwelt
res cartesiana peluscizzazione
vitruvianismi
(CORO DELLE CELEBRANTI)
Lo finisca il ruggito del leone di Durgā
l’ani-mal-entendu che dunque sono. Durgā stessa
finita.
Nota al testo
Durgā è la dea guerriera hindū incaricata di distruggere i demoni.
ANTU è il nome di un potente rodenticida.
«L’ani-mal-etendu che dunque sono»: esplicito riferimento a Derrida.
Franca Mancinelli
avanza di ritorno
destinazione cieca
– il tuo posto assegnato
spalle al senso di marcia
la nausea, l’inizio – ti viaggia
una cellula uovo.
Evelina De Signoribus
“Dite piano, non dite forte
noi siamo le anime senza il corpo.
in processione andiamo
vicine e accorte”
Francesca Genti
sette maggio duemilaventidue
oggi che piove e tutto è vivo
faccio per te un rito vocativo
un sabba verde con le gocce.
faccio per te una cosmogonia
molte leggende e una liturgia
con sassi, pietre, fango, rocce.
resto qui per salutarti sempre
attraverso le stagioni tragiche,
anche tu mi saluti sempre
e distilli nell’aria cose magiche.
Cristina Babino è nata ad Ancona. Tra le sue pubblicazioni: “Ophelia” (Carteggi Letterari 2017, prefazione di Fabio Pusterla), la traduzione del volume “Pastorali” di John Taggart (Vydia 2013, Premio Marazza 2014 per la traduzione poetica), la raccolta di scritti letterari “Letture” (Premio Arcipelago itaca 2016), la monografia “La Ferita. Opere di Walter Angelici 1994-2009” (La Via Lattea 2010) e “La donna d’oro” (peQuod 2008). Ha curato le antologie “Femminile plurale. Le donne scrivono le Marche” (Vydia 2014), “S’agli occhi credi. Le Marche dell’arte nello sguardo dei poeti” (Vydia 2022, nuova ed., prefazione di Massimo Raffaeli) e con Francesca Matteoni “Sorgenti che sanno. Acque, specchi, incantesimi” (La Biblioteca dei Libri Perduti 2016). Suoi testi sono inclusi in “Nodo Sottile 5” (Le Lettere 2007), “Registro di Poesia #4” (d’if 2011) e in vari numeri di “nostro lunedì”, diretto da Francesco Scarabicchi. Cura la collana di poesia “Nereidi” di Vydia editore.
Laura Di Corcia è poeta, critica teatrale e letteraria. Ha pubblicato tre raccolte poetiche. L’ultima, “Diorama” (Tlon 202, collana “Controcielo”) ha vinto il Premio Terra Nova 2022 (assegnato dalla Fondazione svizzera Schiller) ed è stata finalista in diversi premi nazionali italiani (Premio Tirinnanzi e Premio Montano). È inserita in antologie in Italia e all’estero. Scrive radiodrammi per la Radiotelevisione della Svizzera italiana. Fa parte del Comitato delle Giornate letterarie di Soletta ed è responsabile per la Svizzera italiana dell’Ad*s, la società autor* svizzeri con sede a Berna.
Francesca Matteoni è poeta e scrittrice. Cura pubblicazioni su magia e tarocchi per l’editore White Star. Ha all’attivo testi accademici in italiano e inglese. Tra i suoi ultimi libri: “Ciò che il mondo separa” (Marcos y Marcos 2021), “Io sarò il rovo. Fiabe di un paese silenzioso” (effequ 2021), il romanzo “Tundra e Peive” (Nottetempo 2023), la riedizione ampliata di “Appunti dal parco” (Vydia 2023) e il saggio “Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’epoca moderna” (effequ 2024). Collabora alle riviste online “L’indiscreto” e “Kobo”.




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