Nota di lettura a "Ho la parola sulla porta di casa" di Elena Miglioli
Sono forse le parole pallide ombre di nomi, oggetti o persone dimenticate? Sono esse semplice strumento, mero ordigno della comunicazione? O sono piuttosto fatti, oggetti loro stesse? Referenti, significati vivi oppure vuoti involucri di lettere e suoni inadatti a contenere la vita? Qualcuno dice che la parola può essere un’arma, un’arma potente che ferisce più di una spada affilata. Qualcun altro afferma invece che le parole plasmano il nostro pensiero, modellano la nostra visione, danno forma al nostro mondo. Per molti la parola è mistero, per altri coerenza e chiarezza. Per Elena Miglioli la parola poetica è un segreto che arriva da fuori non da dentro e chiede di essere decifrato. Un sussurro, una musica, un suono, un ritmo misterioso che giunge alla poeta da un altrove e che si sente, si vive, si percepisce nella carne e nelle ossa, con tutti i sensi spalancati e che tuttavia fatica a farsi verbo, a dirsi davvero. Miglioli afferra qualcosa, quel qualcosa che non si lascia scrivere. Stringe un compromesso: con questa parola venuta da lontano la poeta fa i conti, la tradisce, la traduce grazie al dono grande della poesia che è insieme ispirazione e volontà del dire. Un’urgenza che però va tenuta per qualche istante in attesa, a decantare, altrimenti non può trasformarsi in verità. Quella verità poetica che investe la raccolta di Miglioli. Con la sua verità di poesia l’autrice ci prende per mano e ci porta con sé, attraverso i versi della sua raccolta Ho la parola sulla porta di casa (Oèdipus Edizioni, 2021), a guardare da vicino la storia della parola, così piccola, così grande. Un viaggio, ammette la stessa poetessa nella Nota in apertura della silloge, quello che l’opera tenta di compiere nel quale la parola è interlocutrice privilegiata ed essenziale. Dante, sommo poeta, com’è noto in Purgatorio XXIV scriveva: «I' mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch'e' ditta dentro vo significando» (vv. 52-54). Anche la parola delicata di Miglioli per certi versi somiglia a quel “dittato”: è l’ispirazione che viene dal mondo, da un gesto, un immagine, un suono, una suggestione. Bussa forte ed è impossibile non sentirla, i cardini tremano e non si può resistere a quel richiamo. Detta la parola, vuole ardentemente farsi verso, risolversi in poesia: è la poesia che scrive sé stessa. E tuttavia una volta concessole il permesso di entrare, facciamo i conti con la sua perfezione imperfetta. La poeta si accorge dolorosamente che è sempre inadeguata, sempre troppo o troppo poco, sempre inadatta o manchevole o sproporzionata. E allora il viaggio comincia e al contempo finisce da questa presa di coscienza, che intermezza i passaggi da una all’altra sezione della raccolta. All’inizio la parola viene arrestata sulla porta di casa da Miglioli poiché non le somiglia. Poi la poeta attende pazientemente fino a quando quella parola non diviene sincera. Più avanti ancora le chiede di fare silenzio, di non proferire oltre, di tacere. Giunge poi tormentoso il momento di doverla perdonare per la sua fallacia, per le sue fragilità, la sua manchevolezza. Deve essere fermata finché chi la scrive non sente che è come la vuole: ed ecco che infine, la si lascia entrare. E quando la parola arriva a destinazione, vera e viva, assolta, finalmente «uguale a me», diventa un mare che fa dire a chi l’ha accolta: «ora la riconosco / senza terra senza tetto / sono io la parola profuga / la rosa dei venti / ai pescatori senza lampare». Nella lettura critica a chiusura della raccolta firmata da Tomaso Kemeny il poeta afferma: «la parola della Miglioli tende a trascendere il mimetismo della parola referenziale (“andare con la parola oltre”)». E difatti nel leggere i versi di Miglioli noi ci spingiamo oltre le parole e il loro senso più immediato talvolta viene sconvolto o ampliato: crediamo e sentiamo di afferrarlo per la prima volta compiutamente. Il dettato poetico si dimostra pertanto spesso inedito: parole quotidiane acquisiscono un colore, un sapore, una dimensione diversa poiché collegate ad altre che contribuiscono ad amplificarne il valore. Sono «le bocche» che «stanno appese sugli abeti», sono «gli orti» che «non hanno più lacrime», è il «vestito rosso» che «spogliava il giorno / e trovava tesori», sono «la parola e il silenzio» che «si sposano sempre all’alba».
Santi del quotidiano
I più non hanno nome:
portano aperte come chiese
le ferite di altri mondi
Scricchiola la ragione
nelle ossa numerate
a una a una impilate
i conti scontati dell’universo
il dare e avere che non torna
Hanno gli occhi di tutti,
i santi del quotidiano.
E anima da vendere.
La quercia e il vento
L’infanzia mi sta ogni giorno a fianco
mette le gambe a penzoloni
ma i piedi ahimè toccano terra
lei testarda ci riprova e guarda
questo andare a ritroso del tempo
il suo sfarsi misterioso di pulviscolo
Si dovrebbe stare a cavalcioni sul ramo
finché vita non ci separi - da chi siamo -
dalle nozze fra la quercia e il vento
che liscia i capelli ai campi scompigliati
un bouquet di soffioni fra le mani
e baci impacciati a chi forse già ami.
La lingua della pietra
Non parlare
Guardami con occhi di scoglio
siedi sull’orlo della tempesta
sparpaglia il verbo ai suoi piedi
non raccoglierlo:
siamo già detti.
Impara la lingua della pietra.
Vedo le anime sottopelle
Vedo le anime sottopelle
le sento glissare
più chiare più scure
tintinnano ai vetri
mentre dormiamo
i giardini che salgono in casa
Ad aprile le notti
vanno come girandole:
ci suonano corde
che abbiamo scordate.
Elena Miglioli è di Cremona. Vive e lavora a Mantova, è giornalista ed è responsabile dell’ufficio stampa e comunicazione dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale. È autrice delle sillogi poetiche Ho la parola sulla porta di Casa (2021) eSpengo la sera a soffi (2018), dei libri Non sono briciole (racconti, Porto Seguro, 2021), La Notte può attendere: lettere e storie di speranza nelle stanze della malattia terminale (2013) e Rimango qui ancora un po': storie di vita e segreti di longevità (2015, coautore Renato Bottura).
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