«Lo vedremo in silenzio, al limite»: recensione a "Geografia sommersa" di Alessandro Mantovani
- Emanuele Andrea Spano

- 4 giorni fa
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Geografia sommersa di Alessandro Mantovani, uscito per Mar dei Sargassi nel 2025, è uno di quei libri che pare realizzare almeno due delle ambizioni cui tende ogni poeta da sempre: il dialogo con i luoghi, pensati come qualcosa che ci appartiene e a cui finiamo con l’appartenere, e la declinazione di quello stesso dialogo in forme e modi che trascendano l’elegia personale, il dato memoriale e persino l’attitudine da flâneur di chi scrive, restituendoci il mondo attraverso la piccola lente del suo sguardo. A queste ambizioni va aggiunta almeno la consapevolezza, che appare nitida nelle poesie di Mantovani, che qualsiasi ricognizione sulle cose e sulle persone, e sulle interazioni tra quelle cose e quelle persone, è sempre parziale e che non è possibile raggiungere una visione definitiva ed esaustiva perché le geografie, per tornare al libro, sono infinite e vanno oltre una semplice narrazione topografica del mondo.
In questo senso si potrebbe intendere la scelta del singolare del titolo, la geografia non le geografie, quasi come a rimarcare l’insistenza su una geografia possibile tra tante, o ancora pensare che in fondo la geografia sia un unicum, un luogo ininterrotto, in cui tutti i luoghi convergono, una sorta di magma in cui siamo avviluppati, tutti, più o meno consapevolmente. D’altronde che ci si ritrovi sulle coste della Romagna, protagonisti di un improbabile e tragicomico sbarco militare, nelle vie un po’ grigie di una Sampierdarena che profuma, o puzza, di infanzia, in un est impreciso che si stende dai Balcani all’altopiano sarmatico o ad Atacama a guardare le stelle, si ha sempre l’impressione di trovarsi dentro un limbo fuori dal tempo, in una dimensione sospesa che talora accarezza la narrazione fantastica e vagamente mitica, altrove assume i connotati di un realismo impietoso, ma che, il più delle volte, pare volutamente mescolare questi ingredienti a generare un senso di spaesamento in chi legge.
Esiste è vero una bestialità diffusa e diluita nelle sezioni di questo libro, e non penso solo all’Aspidochelone dei bestiari medievali, evocato ne La città sommersa, quanto al movimento fisico dei soldati che approdano sulle coste e sbattono contro gli scogli aguzzi, il morso della medusa che ritorna come un vulnus, una ferita aperta, pure nella corposa sezione dedicata a Sampierdarena, dove quella bestialità è tutta nella ferinità puberale dei protagonisti che scoprono dall’alto la sessualità nelle puttane guardando dai vetri della Fiumara e la ricercano per se stessi nel contatto della pelle, nei sogni proibiti, nel desiderio di essere toccati e di toccare, o ancora nel vagabondare dei novelli pastori che lontani dai confini di quell’Arcadia che non esiste più paiono parte di una transumanza senza meta.

Un viaggio, quello di Mantovani, che si alimenta di contrasti, primo tra tutti quello tra la stasi e il movimento, perché, se è vero che ci si sposta in qualche maniera, è altrettanto vero che gli attori di questo libro paiono condannati a un’immobilità paralizzante, poi quello tra la cornice e le storie, come i nomi delle vie della periferia genovese che raccontano resistenze e vittorie e la sopravvivenza incerta di chi in quelle vie ci vive e non ultimo quello tra una dimensione orizzontale, asfittica, che attanaglia una parte consistente del libro e un’aspirazione verticale che non è implicita solo nello sguardo verso l’alto dall’osservatorio di Atacama, ma pure nel tentativo di superare quel “purgatorio”, quello di Sampierdarena, che deve, per definizione, prevedere, da qualche parte, un Paradiso.
Solo apparentemente la tensione del libro si scioglie nella sezione finale che parla di una “mappa del mondo dei vivi”, se non altro perché quella mappa è tragicamente “provvisoria”. Basterebbe uno sguardo al finale del poemetto che chiude la sezione, e il libro, dove scrive: «scenderemo /ancora – forse – per scale intricate / il dirupo fino al mare, / lo vedremo in silenzio, al limite». Se le scale sono ancora “intricate” la discesa al mare pare possibile, quel mare che ci salva o ci annega, quel mare che è solo un miraggio d’altri tempi nelle periferie, che è attraversamento e pure inganno, un mare che si può raggiungere senza paura, finalmente, di tagliarsi con gli scogli o essere morsi dalle meduse.

Alessandro Mantovani (1991) laureato in filologia classica, collabora con l’università dell’Insubria e insegna lingue classiche nei licei di Milano. Come giornalista si occupa del rapporto tra città e narrazioni della città; immagini e approcci cartografici nella letteratura e di critica letteraria. Ha scritto articoli per riviste e giornali tra cui Il tascabile, Domani, L’indice dei libri del mese, Alias Urbano e collabora con il quotidiano Il Foglio. Geografia sommersa è la sua prima raccolta di poesie.




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