"Le Rubriche di Alma": Patrizia Cavalli (I Appuntamento)
- Sara Serenelli

- 10 minuti fa
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«Ritornerò a dire / la mia luminosa scomparsa»: Le mie poesie non cambieranno il mondo di Patrizia Cavalli
Poco di me ricordo
io che a me sempre ho pensato.
Mi scompaio come l’oggetto
troppo a lungo guardato.
Ritornerò a dire
la mia luminosa scomparsa. (LMP, 54)[1]
Con questa poesia fulgidamente dolorosa e al tempo irrimediabilmente fiduciosa, si chiude la prima raccolta di Patrizia Cavalli, Le mie poesie non cambieranno il mondo, edita per Einaudi nel 1974. È l’ultimo componimento, quello di chiusura, il cinquantaquattresimo, che a rileggerlo oggi sembra in qualche modo preannunciare quello che si è iniziato a verificare da quando, nel 2022, Cavalli è venuta a mancare e ha ricominciato con i suoi versi e la sua poesia “a ritornare a dire” e a farlo con ancora più forza, come purtroppo troppo spesso accade solo quando un poeta manca all’esistenza e alla sua poesia, nella sua “scomparsa luminosa”.
L’esordio poetico di Cavalli è nel segno della “scarnificazione”: Le mie poesie non cambieranno il mondo è infatti un libricino gracile, scarno, di soli 54 componimenti che sono poesie dense ma brevi, di pochissimi versi; soltanto due poesie raggiungono la lunghezza massima di 17 versi. La vicenda editoriale di questo esordio è nota ed è legata a quella sorte di “investitura poetica” che la poetessa ha ricevuto dalla Morante: «Sono felice Patrizia, sei una poeta».[2] E certo il ruolo di Morante è centrale non solo perché Cavalli gli affida il ruolo di colei che stabilirà in qualche modo il suo destino di poeta, ma anche concretamente perché decisiva sarà la scrittrice de La storia, sia poiché a detta di Cavalli l’avrebbe caldeggiata presso Einaudi e sia perché di quell’esordio presso la casa editrice torinese ne avrebbe seguito da vicino, se non proprio in prima persona, la cura editoriale, «intervenendo sia nel riordinamento delle liriche sia nella scelta del titolo»:[3]
Fu Elsa Morante a dare un ordine alle mie poesie mentre ero a Torino a correggere le bozze de La Storia. Io ero via e fece tutto lei. Persino il titolo, efficacissimo, il miglior titolo di tutte le mie raccolte, lo trovò lei.[4]
E in effetti il titolo della raccolta d’esordio è davvero un titolo forte, efficacissimo, e non di meno azzeccatissimo se si pensa alla natura della poetica di Cavalli. Lo diremo subito: «questo titolo tante volte ripetuto è un essenziale, ma efficace manifesto programmatico di una poesia impegnata a trasformare il mondo non con gli strumenti della politica ma con i propri strumenti linguistici».[5] E potremmo usare per la poesia di questa raccolta di Cavalli le stesse parole che Goffredo Fofi utilizza per Il mondo salvato dai ragazzini di Morante (1968) quando osserva che è chiara «l’aspirazione a incidere nella realtà con i mezzi della poesia».[6] E la poesia è per Cavalli al tempo sia finzione che conoscenza, e nel suo essere entrambe le cose non perde di coerenza, ma anzi ne acquista nel rapporto con la realtà dell’esistere multiforme e inafferrabile:
Devo fingere volgarità e tradimento
per accomodarmi sul divano
per ricambiare sguardi; spiegando
le tredici pieghe di un pensiero
decifro l’accorta sentenza che scende
sulle mie sentimentali parole che dico
che dico fingendo anche l’amore
e nella finzione riconosco il punto perfetto
l’unico possibile della certezza. (LMP, 7)
La poesia pertanto rivela la condizione dell’essere nel mondo, e svelandone talvolta l’inafferrabilità cambia davvero la condizione in cui si esiste in questo mondo. Ha ragione a mio avviso Manacorda quando scrive che «l’impegno della Cavalli è ‘solo’ nel tentativo di decifrare la vita giorno per giorno»,[7] ma quel ‘solo’ è enormemente grande, un impegno della poesia non meno importante e urgente di quello di rivelazione politica o sociale. Illumina la poesia la condizione dell’esserci qui, e proprio su questo punto si svela la militanza poetica tutta particolare di Cavalli e della sua poesia: una dichiarazione silenziosa di militanza. Così infatti Cavalli parla a Radio3 intervistata da Emanuele Trevi:
Le mie poesie non cambieranno il mondo era una provocazione, ma anche una forma di arroganza. Perché voleva dire il contrario, cambiarlo ma in modo diverso attraverso le parole. Non cambiarlo entrando nella dimensione politica, (o quella roba lì).[8]
Rileggiamo la poesia di apertura della raccolta, da cui viene dedotto il titolo, per apprezzarne direttamente dalla lettura dei versi la potenza e il sottotesto. Mentre Cavalli per ben due volte ripete che “le sue poesie non cambieranno il mondo”, noi, lettori, sentiamo che sotto l’aspirazione è ben altra, che dentro alla poesia c’è una forza e un’intenzione che non può -e forse nemmeno deve- essere ulteriormente esplicata, ma solo sentita nell’evocazione, nel risuonare del ritmo del verso che dice già tutto non dicendo in trasparenza niente di quel tutto:
Qualcuno mi ha detto
che certo le mie poesie
non cambieranno il mondo.
Io rispondo che certo sì
le mie poesie
non cambieranno il mondo. (LMP, 1)
C’è in queste poesie che non cambieranno il mondo l’andare e venire quotidiano di una figura femminile che tratteggiano quello che Manacorda ha, a ragion veduta, definito come «diario in pubblico»[9] privo tuttavia da toni da «autoscopia o auscultazione morbosa»[10] e da riferimenti temporali e spaziali. Del tutto assenti infatti risultano essere indicazioni riferibili a date e luoghi di composizione delle poesie della raccolta, eppure il rapporto con il tempo e la temporalità in generale per Cavalli è essenziale, importante, fecondo. Per salvarsi da Crono infatti e sfuggirgli strappando dalle sue mani qualche attimo di pienezza, Cavalli scrive poesie senza tempo:
È utile la poesia? In assoluto non lo so. A me serve per essere immortale. Non nel senso dei posteri, per carità. Ma a essere immortale lì per lì, mentre scrivo. Mi salva dal tempo, mi restituisce l’interezza, soccorre la mia ansia. E poi, questo infine l’ho capito, è l’unica cosa che riesco a fare senza sofferenza. E le condizioni necessarie per crearla? Il silenzio senz’altro, l’ozio, l’immobilità. E anche un’attenzione disarmata, lo stupore e un io precario.[11]
E non solo liberarsi dalla morsa di Crono ma anche avere una rivalsa su di lui:
Comunque ho le mie rivalse, per esempio non metto la data alle poesie, le lascio galleggiare nel non tempo. Visto che la vita non riesce ad essere come mi piacerebbe che fosse, con tanti inizi e ritorni, con il prima che diventa il dopo e viceversa, allora tutto questo lo faccio nei miei libri. [12]
Cavalli si libera dal tempo nel tempo della sua poesia, una poesia che è (come Bacigalupo ha modo di affermare a proposito di Dickinson, insieme a Penna sicuramente uno dei modelli della poesia di Cavalli) «un’incursione al centro dell’esistenza e della lingua».[13] Incursione che Cavalli mette in atto facendosi parsimoniosa nell’uso delle parole, talvolta risparmiando sull’uso della lingua, facendo della brevità uno dei caratteri distintivi non solo de Le mie poesie non cambieranno il mondo, dove è senz’altro particolarmente evidente, ma un tratto significativo e proprio di tutta la sua esperienza poetica. Una brevità che come ha avuto modo di sottolineare Asor Rosa assume sovente «un carattere epigrammatico e un tono aforistico».[14]
Ma per favore con leggerezza
raccontami ogni cosa
anche la tua tristezza. (LMP, 10)
Basta leggere questa poesia per accorgersi di quello che afferma Cordelli: «quelle della Cavalli sono poesie che bruciano in un attimo, nell’attimo, come piccoli fuochi».[15] Piccoli fuochi che riescono a folgorare in brevi spazi il loro lettore e a farlo rimanere nell’immagine, tra la rima di leggerezza e tristezza.
[1] Patrizia Cavalli, Le mie poesie non cambieranno il mondo, Einaudi, Torino 1974. Da ora in poi indichiamo la raccolta come LMP e i testi con numerazione da 1 a 54.
[2] Lisa Ginzburg, Le parole che suonano. Intervista a Patrizia Cavalli, «l’Unità», 3 giugno 2002.
[3] Rosalia Gambatesa, Ormai è sicuro, il mondo non esiste. La poesia di Patrizia Cavalli. 1974-1992, Progedit, Reggio Calabria 2020, p. 36.
[4] Camilla Valletti, Il tempo della valigia. Intervista a Patrizia Cavalli, «Indice», 11 novembre 2006, p. 24.
[5] Rosalia Gambatesa, Ormai è sicuro, il mondo non esiste. La poesia di Patrizia Cavalli. 1974-1992, cit., p. 38.
[6] Goffredo Fofi, Prefazione in Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzi, Einaudi, Torino 2012, p. VI.
[7] Giorgio Manacorda, Patrizia Cavalli, in Id., La poesia italiana oggi. Un’antologia critica, Castelvecchi, Roma 2004, p. 116.
[8] Si cita la trascrizione da Rosalia Gambatesa, Ormai è sicuro, il mondo non esiste. La poesia di Patrizia Cavalli. 1974-1992, cit., p. 40.
[9] Giorgio Manacorda, Patrizia Cavalli, cit., p. 117.
[10] Giancarlo Alfano, Patrizia Cavalli, in Giancarlo Alfano, Alessandro Baldacci, Cecilia Bello Minciacchi, Andrea Cortellessa, Massimiliano Manganelli, Raffaella Scarpa, Fabio Zinelli, Paolo Zublena, Parola plurale. Sessantaquattro poeti italiani tra due secoli, Luca Sossella Editore, Roma 2005, p. 157.
[11] Lisa Ginzburg, Le parole che suonano. Intervista a Patrizia Cavalli, cit.
[12] Camilla Valletti, Il tempo della valigia, cit.
[13] Emily Dickinson, Poesie, a cura di Massimo Bacigalupo, Mondadori, Milano 2004, p. VIII.
[14] Alberto Asor Rosa, Recensione a Pigre divinità e pigra sorte, «la Repubblica», 22 luglio 2006.
[15] Franco Cordelli (a cura di), Patrizia Cavalli, in Schedario, in Alfonso Belardinelli, Franco Cordelli (a cura di), Il pubblico della poesia, cit., p. 285.





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