"Le Rubriche di Alma": Alma & Ginsberg (I Appuntamento)
- Mario Saccomanno

- 5 giorni fa
- Tempo di lettura: 4 min
«Ho visto le migliori menti della mia generazione»: voce, tecnica ed eredità poetica
Howl di Allen Ginsberg conserva una sorprendente freschezza, un’irriverenza pulsante e la forza, davvero rara, di saper cogliere in profondità determinate sfumature non solo dell’epoca coeva allo scrivente, ma anche di quella attuale. Così, può essere proficuo passare in rassegna alcune delle sue caratteristiche fondamentali, in modo tale da poterne comprendere con più cognizione di causa l’eco e la portata.
A ben guardare, la prima parte del poema – perché sì, Howl è a tutti gli effetti un poema epico-moderno, visionario e corale – inaugura una sorta di rito vocale che risulta, al tempo stesso, confessione, elencazione, accusa e invocazione. Sopra ogni cosa, si tratta del ritratto dell’anonimato collettivo di un’intera generazione, reso attraverso una singola voce che proclama: «I saw the best minds of my generation» («Ho visto le migliori menti della mia generazione»).
Questa frase incipitaria serve come una sorta di contratto poetico: sin da subito, il lettore è portato a fare i conti, in maniera trasparente, con l’urgenza della denuncia e col bisogno della testimonianza data da una voce perentoria, secca, urlata. Sono aspetti racchiusi in specifiche coordinate: da un lato c’è il celebre verso lungo che richiama la lezione di Walt Whitman, sebbene usato in chiave assai diversa poiché il poeta di Leaves of Grass canta la possibilità democratica, mentre Ginsberg si sofferma sul documentare a più riprese e in vari modi una perdita, sull’erodersi dell’uomo sotto la pressione data dalla storia e dalla socialità.
La voce possente di cui si diceva poc’anzi adotta in modo consapevole un parlato che si fa collettivo. Howl non è un racconto espresso come particolare, come un sentimento racchiuso atto a riferire ciò che è mio, ma è un coro che, tramite la polifonia, va a palesare una serie di memorie che appaiono condivise. Ci si può interrogare sul bisogno di adoperare la prima persona per un agire siffatto. In merito, la scelta ginsberghiana può essere intesa come un operare strategico introdotto per poter universalizzare il personale e renderlo cifra storica[1].
Questo percorso avviene anche con diversi escamotage tecnici. Da questo punto di vista, Howl mette in pratica una serie di modalità – anafore, costanti ripetizioni, su tutte il who, o l’interminabile catena di immagini che scorrono di riga in riga – che concorrono a dare un ritmo incalzante a metà strada fra un agire poetico profetico e uno slang da racconto urbano. Così, nell’incedere poetico si trovano la voce lirica inframmezzata a linguaggi medici, toni giornalistici e gergo della strada; il tutto concorre a creare un ponte fra sfera personale e politica. Da qui, si può comprendere ancora meglio la scelta di adoperare i versi lunghi, da intendere anche come respiri, come un’oralità di fondo, quasi performativa, che chiede voce al lettore o all’interprete.
Anche in questo, Ginsberg sta a metà strada, in una sottile zona d’equilibrio fra la tradizione profetica e visionaria – si pensi, in merito, a William Blake, come esempio[2] – e la sfera che fa leva sul linguaggio per soffermarsi su una società disgregata (dove non mancano echi di T. S. Eliot, sebbene vi sia in Ginsberg una profonda radicalizzazione antielitaria[3]).
Inoltre, va sottolineato che Howl non è affatto un’opera isolata nel corpus di Ginsberg. Infatti, vi sono temi e tecniche che appaiono anche in diverse altre poesie. A Supermarket in California può essere presa come esempio. Difatti, in quel contesto la critica celebrativa del capitalismo diventa immagine quotidiana e, pertanto, viva. Ancora, vi sono raccolte come Reality Sandwiches e Planet News dove si ritrovano con facilità la voglia di soffermarsi sulla sfera politica, oltre che il rilevarsi di quella forma aperta rinvenibile proprio in Howl.
È questo suo essere poeta di confine che porta a far comprendere con più semplicità il perché Ginsberg sia stato inteso come un punto di riferimento per i poeti della controcultura degli anni Sessanta e per le generazioni successive[4]. Si tratta di intendere la poesia anche e soprattutto come un atto civico che fa leva su una pratica poetica, quotidiana e non accademica, che ramifica dal linguaggio pubblico e che si contrappone alle regole imposte, rompendo con la tradizione e creando una nuova “visione” a livello letterario[5].

[1] «The first line of the poem is also seen as highly quotable … “I saw the best minds of my generation…”» [Justin van Huyssteen, “Howl” by Allen Ginsberg – A Detailed Poetic Analysis, in «Art in Context, Howl», disponibile a questo indirizzo: https://artincontext.org/howl-by-allen-ginsberg/ (ultima consultazione: 27.10.2025)].
[2] «Both Blake and Whitman used unusually long lines, … Ginsberg draws on both of these figures, though ultimately he pushes the long line further than either of them» [Howl by Allen Ginsberg, Meter and Structure, in «SparkNotes», https://www.sparknotes.com/poetry/howl/meter (ultima consultazione: 27.10.2025)].
[3] Cfr: Marjorie Perloff, Radical Artifice: Writing Poetry in the Age of Media, Chicago, University of Chicago Press, 1991, p. 87.
[4] «Richiesto di una spiegazione sulla tecnica del suo fare poesia, Ginsberg rispose che essa consisteva unicamente nel fissare su carta le immagini, le percezioni, le idee che l’inconscio generava… si liberò quindi un linguaggio astratto, ricco di neologismi, parole storpiate o collocate seguendo un’anarchia semantica e sintattica non di rado assoluta» [Gianluca Frazzoni, L’Inconscio Letterario nel Movimento Beat in «State of Mind – Il Giornale delle Scienze Psicologiche», https://www.stateofmind.it/2012/12/inconscio-letterario-beat (ultima consultazione: 27.10.2025)].
[5] «The Howl, a causa della sua vigorosa carica espressiva, divenne il manifesto dei giovani autori che volevano, superando la visione accademica dei propri professori attraverso il rifiuto delle regole imposte e la rottura con la tradizione, creare una nuova “visione” a livello letterario» [Andrea Acqualagna, The Howl, il disperato grido di protesta di Allen Ginsberg, in Enciclopedia Italiana Treccani, https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/lettere_e_arti/Parole/sssglthehowl.html (ultima consultazione: 27.10.2025)].
[6] Allen Ginsberg, Urlo & Kaddish, traduzione di Luca Fontana, prefazione di Furio Colombero, Milano, il Saggiatore, 2015, pp. 23-25.





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