Le Rubriche di Alma: Alma & Scotellaro (III Appuntamento)
- Mario Saccomanno
- 31 lug
- Tempo di lettura: 5 min
Chi è abituato a immergersi nella poetica di Rocco Scotellaro e nelle riflessioni – per fortuna, sempre più numerose – sorte dai temi delle sue composizioni, sa bene che la produzione del poeta lucano è spesso intimamente legata alla lotta sociale e alla Questione meridionale. Del resto, anche quanto affermato nei due appuntamenti precedenti, incentrati sempre attorno ad alcuni temi peculiari della ricerca scotellariana, ha inevitabilmente fatto i conti sulle sfumature di questa affermazione incipitaria.
Eppure, non si deve pensare in alcun modo che l’attività di Scotellaro (sia quella in versi, sia quella in prosa) possa essere riconducibile soltanto a quegli aspetti. Si tratta di un agire che si sofferma anche su diverse altre sfere, fra le quali non ha una posizione secondaria quella amorosa. In tal senso, vale la pena riferire subito che sarebbe fin troppo riduttivo e banale ricondurre l’analisi operata da Scotellaro a una tipologia d’amore meramente celebrativa.
Nelle analisi precedenti si è mostrato come il suo modo di porsi risulti essere sempre articolato, pregno di numerose tensioni; di conseguenza, le riflessioni e gli approdi poetici sull’amore sono inevitabilmente riflesso di fragilità, di perdite e di tensioni che appaiono legate a stretto giro anche (e soprattutto) a una condizione societaria indagata a più riprese.
Dunque, se si ha l’idea di percorrere l’universo scotellariano cercando una chiave armonica sentimentale che possa facilmente risolvere i contrasti, ci si trova incagliati in un universo che fa i conti con le difformità del vissuto, con la dissolvenza dei ricordi e con un desiderio che, almeno in parte, resta pur sempre tale.
Va da sé che questo modo di narrare e di narrarsi ricalca quegli spostamenti sempiterni, quel costante impegno politico esercitato da Scotellaro, quel suo immergersi nelle tensioni sociali. Pertanto, l’amore diventa memoria e rimpianto, mezzo per fare i conti con la dimenticanza e, al contempo, con presenze lucenti e, a volte, finanche accecanti.
Non solo: si tratta di una modalità d’azione che mira a muoversi sovente fra fisicità e memoria. Così facendo, il sentimento amoroso che si mette in luce nei versi è sempre connesso a specifiche azioni, è legato a un orizzonte spazio-temporale che appare ben definito . Si pensi, in merito, giusto come esempio, ai segni tangibili rilevabili in Al sopportico delle Api in cui si legge: «Al sopportico delle Api affisse ai muri / le nostre iniziali col colore della paglia bruciata. / L’amore nostro crebbe qui nella stalla vicina».
Si tratta di una presenza-assenza particolarmente rilevante, soprattutto nella dimensione poetico-amorosa. Agire in questo senso significa non poter far leva sulle sicurezze, ma fare i conti con ricordi sfuggenti, sull’importanza delle ombre che condizionano, inverano o deformano. Una modalità siffatta è profondamente radicata nel quotidiano e intimamente connessa a una ricerca filosofica (rinvenibile nel Simposio platonico o in specifiche sfumature del pensiero bruniano, giusto per dire due esempi) che proprio del quotidiano, sebbene lì trovi la sua linfa, non può mai dirsi pienamente appagata.
Agire nelle azioni che dominano l’istante lascia già intendere come si possa rinvenire l’esperienza sociale anche nelle tematiche amorose e come la dimensione personale non possa mai essere scissa da quella collettiva. In altri termini, l’amore presentato da Scotellaro è sempre imbevuto dal contesto storico, dai luoghi e dalle variazioni che conformano la società.
È chiaro che si tratta di un piglio che si fa carico di temi quali la memoria e la nostalgia. Non è raro incontrare un senso di distacco, di una ricerca che mira a cogliere un tempo altro. Eppure, non si è mai dinanzi a una mera celebrazione di quanto è stato, ma più che altro di una consapevolezza. Ecco perché Tricarico, la Lucania, gli altri paesaggi descritti da Scotellaro non sono affatto dati una volta per sempre. Tutt’altro: il senso di trasformazione e la consapevolezza di queste mutazioni portano malinconia e, d’altro canto, si fanno strumento per essere in grado di ridefinire e riscoprire. Pertanto, il passato è il mezzo per interrogarsi e agire più che per celebrare .
Si possono prendere come esempi di quanto detto alcuni versi della poesia La terra mi tiene in cui Scotellaro esprime l’intimo legame che intercorre con la sua terra, ma anche la profonda difficoltà di staccarsi da essa: «Sradicarmi? la terra mi tiene / e la tempesta se viene mi trova pronto». Dunque: radici e cambiamento, appartenenza e fuga; il tutto tenuto assieme dalla forza poetica che permette di rivestire di senso l’azione, di consapevolezza e non di mera e stanca richiesta.
Questo continuo domandare, questo sovente riproporre in nuove vesti il passato significa anche spingere la ricerca personale oltre il proprio orizzonte, vuol dire abbracciare testimonianze che si fanno universali .
Dunque, anche alla luce delle osservazioni poste in questo contesto, si può riferire che Scotellaro è un autore la cui poetica appare complessa, stratificabile e pressoché impossibile da ridurre a un’unica dimensione (da utilizzare, magari, per sventolare le proprie ideologie). Difatti, se da un lato è un vero e proprio cantore della lotta sociale, dall’altro è comunque un poeta che fa leva sull’amore e sul ricordo, capace di soffermarsi su una dimensione più intima, contesto in cui la perdita e l’intensità delle narrazioni si fanno ancora più struggenti.
Nella sua produzione vi è un costante muoversi fra la dimensione rurale e quella urbana, fra il peso e le sfumature importanti e affascinanti della tradizione e la rilevanza esercitata dalla modernità. In questa capacità di tenere assieme la dimensione personale e collettiva risiede la forza e l’attualità del poeta lucano , che abbraccia l’universalità e risulta essere in grado di parlare a chiunque voglia vivere in modo concreto l’amore, la perdita, il ricordo e a chiunque abbia l’energia di comprendere e attraversare il cambiamento.
***
Al sopportico delle Api il primo amore
Al sopportico delle Api
affisse ai muri le nostre iniziali
col colore della paglia bruciata.
L’amore nostro crebbe qui
nella stalla vicina.
E io vederti sorgere tenera ombra,
misuravo le parole tue calde
cercandoti le labbra con le dita.
Ombre di noi che siamo qui
si allungano, scompaiono
quando la lucerna del mulattiere
mette fremito alle bestie per la biada.
[1946]
***
La terra mi tiene
Lunga strada seppur deserta
dove puoi menarmi non vedo
punto d’arrivo.
Scordarmi i vivi per ritrovarli
con tutto il peso che mi porto
della vita che m’è nata
i fiori son cresciuti la luce li accende.
Sradicarmi? la terra mi tiene
e la tempesta se viene
mi trova pronto.
Indietro
ch’è tardi
ritorno a quelle strade rotte in trivi oscuri.
(Tivoli, 1942)
***
3. È calda così la malva
È rimasto l'odore
della tua carne nel mio letto.
È calda così la malva
che ci teniamo ad essiccare
per i dolori dell'inverno.
(giugno 1948)

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