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  • Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

"Il mito ritrovato. La poesia di Umberto Piersanti" di Ezio Settembri

Ezio Settembri, in Il mito ritrovato. La poesia di Umberto Piersanti (Industria & Letteratura, 2021), partendo da La breve stagione (Quaderni di Ad Libitum, 1967) e arrivando fino a Campi d’ostinato amore (La nave di Teseo, 2020), ripercorre la poetica e la poesia dell'autore urbinate che rappresenta, a tutti gli effetti, una figura di indiscussa importanza nella nostra letteratura contemporanea.

Proponiamo qui alcuni estratti.

Da Parte Prima, POESIA DELLA GIOVINEZZA, I, LA BREVE STAGIONE

L’esordio di Piersanti avviene, come detto, nel 1967, con La breve stagione. Una prima raccolta significativa innanzitutto perché «ascrivibile alla lirica, il genere più ostracizzato in quegli anni» [3]. Inserirsi nella tradizione della poesia lirica in piena temperie neoavanguardistica lo pone in aperta polemica coi seguaci del Gruppo 63, che, come spiega lucidamente Gualtiero De Santi nella monografia dedicata all’urbinate, ignorano «quelle liriche, in superficie e nella prima evidenza anacronistiche e così aderenti ai valori – tattili, visivi, emozionali – del proprio ambiente, il Montefeltro»[4], giudicandole provinciali e marginali, rispetto al fervore culturale e letterario del tempo, coi suoi schematismi afasici e velleitari. L’ispirazione dell’urbinate viene quindi «abbassata alle ornamentazioni di una tela poetica inesorabilmente bloccata in sé, chiusa in una propria entropia»[5]. È lo stesso Piersanti a chiarire l’impossibilità di una conciliazione tra la sua idea di canto e la cultura, il linguaggio di chi allora si autoproclamava, con sprezzante sufficienza nei confronti di tutti, neoavanguardia:


Razionalità tecnologica da epoca neocapitalista, portata avanti nella promozione del proprio lavoro e nella propria politica culturale ed esaltazione della schizofrenia del reale a cui non può corrispondere un linguaggio altrettanto scisso, sono dunque, a mio parere, gli elementi di fondo che caratterizzano i Novissimi[6] .

Quale accordo poteva instaurarsi tra l’intellettualismo arido, l’atrofia immaginativa di un’avanguardia tutta orientata al presente cronachistico, rispetto all’evocazione del passato che troviamo esplicitata da quei «Ricordi...», «Ricordate» di montaliana memoria (incipit de La casa dei doganieri)? Incipit insoliti per un poeta anagraficamente giovane, che, al di là di una semplice forma di leopardismo (quella rammemorazione che rende più dolce la vicenda di quando la si è vissuta), mettono in primo piano ciò che sarà elemento fondante di una poetica, ascrivibile al polo della rimembranza.


[3] R. Galaverni, Il posto indimenticabile. Le Cesane di Piersanti, in Dopo la poesia. Saggi sui contemporanei, Fazi, Roma 2002, p. 164.

[4] G. De Santi, Umberto Piersanti, Di Mambro Editore, Latina 1986, p.17.

[5] Ibidem, p.18.

[6] Ibidem, p.22.


Da Parte Seconda, LA FASE CENTRALE, VI, I LUOGHI PERSI

La mia poesia è una poesia della memoria. Dunque io sono «ferocemente» legato all’ultimo mondo contadino. Non in tutte le epoche la storia ha avuto la stessa evoluzione. Se uno nasceva, ad esempio, alla fine del XIII secolo o nei primi anni del XIV, cambiava poco. Se uno nasceva nel V o nel VI secolo d.C. cambiava tanto: passava dalla civiltà pagana a quella cristiana. Io sono nato in un’epoca in cui ad Urbino arrivavano ancora i carri d’uva, e c’erano tutte le vespe che li seguivano. E questo spettacolo è più vicino al 1200 che al 1995. Dunque ho attraversato una crisi profonda... Personalmente non credo che il mondo contadino sia più bello del nostro, ma è irrimediabilmente “altro”. E tutto ciò che scompare ci lascia un vuoto immane. Tuttavia la memoria non mi dà la verità. Io ho una frase che ripeto ossessivamente nei miei film, in un romanzo e nella poesia: «una volta passati sogni e ricordi sono la stessa cosa». E allora a furia di ricercare il mondo contadino trovo l’altrove, il mio altrove[35].

«La poesia nasce sempre da un buco, da una perdita»[36]


La poesia di Umberto Piersanti nasce da un «trauma storico» (Berardinelli) provocato dallo sviluppo neocapitalista a partire dagli anni Sessanta, che ha portato l’Italia da un’economia prevalentemente agricola ad una industriale. Un trauma vissuto da tanti intellettuali come


interruzione di memoria e di continuità storica, rottura di vincoli locali, municipali e di cultura orale, dialettale…La resistenza o l’estraneità…alla cultura delle neoavanguardie” viene dal “sentire lo sviluppo industriale e in fondo lo stesso progresso della modernità come un fenomeno bifronte, che minaccia di distruggere facoltà umane, attitudini e beni ereditati da una lunga tradizione[37].

[35] AA.VV, Poesia nonostante tutto. Conversazioni con Rodolfo Di Biasio, Mario Luzi, Leonardo Mancino, Umberto Piersanti, Roberto Sanesi, Maria Luisa Spaziani, pag.32-33.

[36] AA. VV., Umberto Piersanti. Il poeta dei luoghi persi, a cura di Gian Paolo Grattarola, L’orecchio di Van Gogh, Falconara Marittima 2010, p. 59.

[37] R. Galaverni, Il posto indimenticabile. Le Cesane di Piersanti, pag. 71-72.


Da Parte Terza, LE ULTIME, X, CAMPI D’OSTINATO AMORE


Rubabandiera


no, non con la gonna bianca

magari a pieghe fitte

il nastro azzurro di quegli anni

remoti,

remoti più d’ogni altra

immagine e vicenda,

ora solo ombre,

ombre le più sfocate

e sperse,

ma così morbide

e tenaci nella mente,

stava lei,

la forestiera,

dritta e stagliata

sulle torri d’Urbino

e la pineta,

con i neri calzoni

la cinta arancio


non guardo il fazzoletto,

non la raggiungo,

ma guardo lei,

lei che lo strappa

e fugge,

la più veloce,

scompare dentro il quadro

fuori dei giorni


Ottobre 2016


Il passato insomma appare indefinito, come se emergesse da una coltre di nebbia che ha il sapore dell’amarcord felliniano. A rafforzare questa sensazione i frequenti leopardismi, come in Nel folto dei sentieri: «primavera/brilla a noi d’intorno» (Primavera triste); «l’azzurro di marzo/tutt’attorno rischiara/e lo rallegra» (Quando volge il cammino); «non sai se la madre/s’appresta a consolarti/dell’esser nato» (Febbraio 1941); il ricorrere dell’aggettivo “odoroso”, che rende il sensismo di Piersanti così affine a quello di Leopardi. E forse più di ogni altro elemento appena considerato, c’è di nuovo il valore consolatorio della memoria, la quale trasfigura sempre ciò che si è vissuto, ciò che, in fondo, non è stato così idillico. Ancora una volta questa poesia rifugge ogni possibile vagheggiamento di un’età dell’oro.


Ezio Settembri (Macerata, 1981) ha studiato Lettere Moderne a Macerata, laureandosi nel 2007 con una tesi sul pittore fiorentino Ottone Rosai. Dal 2009 lavora come docente nella scuola secondaria. Ha pubblicato poesie e studi sulle arti figurative su varie riviste, tra cui Il falco letterario, Infinito letterario, Poeti e Poesia. Un suo poemetto è presente nell’antologia del Premio Terra di Virgilio 2016. Suoi brevi studi su poeti contemporanei sono apparsi sulla rivista Menabò. Dal 2019 fa parte della redazione della rivista online Nuova Ciminiera, sulla quale sono apparse delle brevi ricognizioni sulla poesia di Sereni, Benzoni, Pasolini, Scarabicchi, Davoli. Attualmente vive e insegna in provincia di Mantova.


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