Gli inediti di Marco Levi
I testi di Marco Levi ci conducono in un altrove poetico in cui le parole e le forme (urbane o naturali) realizzano una particolare mimesis. Persone, paesaggi e sentimenti fluiscono l’uno nell’altro, creando una dimensione di immagini vivide e suggestive.
Molto forte è l’elemento femminile che viene declinato in diverse accezioni (spesso attraverso metafore zoomorfe): ora è madre premurosa («e le madri / neppure per un istante /– per volare / a accogliere vermi – / lasciavano i gusci», «le madri / sempre restavano calde ai battiti / e dolce era nel becco / la benedizione»), ora è perdita, distacco, dolore («e non sapremo mai di chi fu quell’utero / che ci mise a terra un giorno / per un selfie di becchime industriale / che ci strappò al sangue di lei»), ora è ciò di cui aver cura («io la tua vita la voglio guardare», «quando ti posi i tuoi piedi rossi / li voglio sul cuore, esserti unguento»).
Leggendo più volte i testi, si scopre sempre una prospettiva nuova nel panorama interiore dell’autore; quasi si snoda tra echi dannunziani e pascoliani, rivelandosi, però, con un lacerante e autentico sentire, tra colori in contrasto (l’oro del miele e le vergini nere, ad esempio), improvvise delicatezze («disponi di prati ancora vivi / chiara è l’aura che di te riluce») e versi che, con pochissime parole, riescono a raccontarci tutti i sentimenti di una storia senza esaurirla mai («ed ora sono loro a farsi la spesa / a dirsi di non piangere»).
Dai del miele all’anglicano ed egli lenirà lo scisma, si calmierà contemplandole le vergini nere il messaggio di ogni religione.
Tu produci un miele raro e si vede che disponi di prati ancora vivi chiara è l’aura che di te riluce quando scoperchi il regno di api operaie come te che lavori muta serena sotto la regina distilli il canto della fioritura e lo sai vendere, e lo sai donare.
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Nei giorni di pioggia le fragole cadevano manna nei nidi e le madri neppure per un istante -per volare a raccogliere vermi- lasciavano nudi i gusci a gridare.
Nei giorni di pioggia le madri sempre restavano calde ai battiti e dolce era nel becco la benedizione.
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Io la tua vita la voglio guardare voglio che cadano i pollini addosso nel chiaro riserbo delle tue chiatte gli uccelli di fiume bevono incenso e beccano duro dentro le acque.
Io la tua danza la voglio guardare allunghi i tendini come gli aironi per la cupidigia degli impresari volteggi da esperta sopra il canneto e quando ti posi i tuoi piedi rossi li voglio sul cuore, esserti unguento.
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Invecchio come un uccello di palude, rovinati dalle microplastiche il nostro respiro va agli estuari lombardi e ritorna malato.
La nostra famiglia fa pena si separa ed alberga altrove e non sapremo mai chi fu quell'utero che ci mise a terra un giorno per un selfie di becchime industriale che ci strappò dal sangue da lei;
e le ali ora, le dure ali, non potrebbero mai fare nidi adesso non abbiamo forza, invecchio: non c'è famiglia animale salva non c'è famiglia ali che proteggano dal vento
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Inquinata nel canto d'Aprile l'anima si mostra negli occhi e nei gesti incomprensibili degli amici.
Negli uffici ci sono i bambini che attraversavano i tubi di scappamento per mano alla mamma, ed ora sono loro a farsi la spesa a dirsi di non piangere.
Milanese, laureato in Lettere sull'esoterismo di Antonin Artaud, lavora come autore.
Scrive di "teologia pop” su «Auralcrave», di costume e musica su Vogue, di miti ed ecologia sul blog di Wim Hof «The Iceman» ; cantautore e performer satirico per diversi programmi radio, Tv e web; studioso di Taoismo e Kung fu tradizionale.
Nel 2019 ha pubblicato il suo primo saggio: Mitiche canzoni. Nuove vie esoteriche per la critica musicale per Arcana edizioni.
Ha pubblicato una silloge di poesia su «Rivista Letteraria» nel 2017 e nel 2020 una poesia su «Poeti Oggi».
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