Gli inediti di Guido Turco
Gli inediti di Guido Turco impongono al lettore fin da principio una rinuncia a quell’idea di poesia che si è consolidata nel secondo Novecento e che ancora oggi si conserva e si mantiene, nonostante le eversioni e i travisamenti cui è stata sottoposta la scrittura poetica negli anni. Penso a una certa quota di lirismo, che sopravvive in modi e misure diverse pure nella contemporaneità o all’opposto a una tendenza narrativa, a una prosasticità del dettato, sempre più imperante, o ancora a quella flessione verso il “realismo” che ha tentato di attenuare e azzerare le tante deformazioni retoriche, simboliche, visionarie che la poesia, per sua stessa natura, possedeva fin dall’origine.
Turco invece si è ricavato un suo spazio, resistendo alla tentazione di accogliere nella sua scrittura quegli elementi, sottraendosi ai canoni un po’ logori di certa contemporaneità, e tracciando un solco personalissimo in un terreno quasi del tutto inesplorato, almeno a queste latitudini, dai poeti d’oggi.
Ne sono una riprova questi inediti che testimoniano il lavoro condotto da Turco sulla parola, la genesi della sua scrittura che non muove dalla rappresentazione della realtà, né tantomeno dai meandri oscuri dell’ “io”, ma piuttosto che si origina da un serbatoio semantico e lessicale cui il poeta resta fedele nei suoi versi, svelando pian piano tutte le sottotracce, i significati nascosti, procedendo per analogie, per accostamenti secondo un movimento spontaneo, che sfugge a ogni logica comune di pensiero.
Così le patate del supermercato in cui affondiamo le mani ci portano e riportano sottoterra, alle radici, fanno riemergere qualcosa che sta al di sotto e perfino i cartoni dei gelati «con la brina mischiata» sembrano citazioni «delle […] tesi di laurea mai pubblicate» dal poeta. O ancora la scoperta dell’America, come recita il titolo dell’ultimo di questi testi, diviene il punto di partenza per un viaggio che non è solo scoperta dell’altro, di ciò che ci sta fuori, ma viaggio dentro se stessi, «diritto dove i sentimenti / fanno la muta», con la consapevolezza che per “scoprire” qualcosa spesso basta restare indifferenti, non attendersi niente perché nelle cose ci imbattiamo inaspettatamente, senza preavviso.
C’è qualcosa di freudiano nella scrittura di Turco, un procedere per nessi consequenziali, assecondando il fluire libero del pensiero, una sorta di monologo che proviene da dentro e che pure non è tarato dagli insulsi egocentrismi di tanta sedicente poesia contemporanea. Se l’infanzia è ancora in qualche modo il luogo salvo, tuttavia non occorre più parlarne, occorre liberarsi – e questa pare proprio una lucida dichiarazione di poetica – da quell’impellenza dell’io, da quella perversione del parlarsi addosso, del raccontarsi, anzitutto forse per non essere travolti da quella interiorità magmatica che “tutti” ci portiamo dietro.
Non è chiaro, e non lo è programmaticamente, il confine tra lo scavo interiore – in cui il dentro è anzitutto un serbatoio zeppo di significati da cui attingere – e la volontà di rifondare un linguaggio poetico che non segua più un moto lineare dall’interno all’esterno, che non sia più una semplice trascrizione delle cose e della nostra percezione delle cose, ma che possa mescolare e intrecciare tutti questi elementi in un codice nuovo, libero dalle costrizioni di quella tradizione che ci portiamo ostinatamente addosso.
Se è vero che, a leggere questi versi, si prova anzitutto un effetto di straniamento, è altrettanto vero che questa poesia, così intelligente e pacata pur nella sua forza anarchica ed eversiva, ci insegna ancora una volta una cosa importante: non conta tanto andare disperatamente alla ricerca del significato o dei significati, avere la presunzione e la pretesa di mettere insieme tutti i punti per arrivare a una sintesi, conta lasciarsi trascinare dentro questo sistema, lasciarsi accompagnare nell’universo affascinante e caustico costruito dalla lingua e dalla scrittura.
L'oppio adatto, se
A folate le palazzate
via via le ringhiere e l’insegna che s’accende
l’oppio adatto se solo sarà
se servirà il lontanissimo e insieme alle parabole
il cemento che si insinua.
Per perdersi
non bastano i vicoli, inanelli
gli spostamenti dell’aria quando ti sfiorano i bolidi.
Le mani nelle patate
Le mani dentro le patate
del supermercato sembrano patate
anche loro, qualcosa di terroso
che ha stretto altre mani, un bimbetto appena nato
quand’è nato.
Anche lo specchio del banco frigo
ci si mette a inventarsi bianchi diversi della barba,
i gelati algida con la brina mischiata
al cartone sembrano citazioni
delle mie tesi di laurea mai pubblicate,
finite sottoterra come le patate.
La regina dei cani (Living theatre)
La tipa si toglie il chiodo
il taglio punk al posto delle trecce
è una schifezza ma la stranezza
è che tutti la guardano
perché ha uno sbrego sulla canottiera che sembra
una cerniera
roba tipo azteca o la regina dei cani.
Si rimette il chiodo
e si vedono stampate un paio mani, come
i cavalli degli indiani.
Ha anche stancato
Ha anche stancato parlare di tutta quest’infanzia
come se ce l’avessero avuta tutti e non solo
io che me la ricordo tutta e che dopo
è stato un (mica tanto) via vai di giorni
e di notti (quasi sempre) senza scopo
o così poco che ci vuole impegno
a non sentirsi come uno di quei russi
(poeti) che credono a tutto, fanno l’amore come
la rivoluzione, arano i campi, mietono il grano
poi con la prima pistola si sparano e così la chiudiamo.
La scoperta dell'America
Ho fatto tutto da solo, l’America era a portata di mano
ho disatteso li consiglio degli esperti
puntando diritto dove i sentimenti
fanno la muta, mi sono ricordato dei dissidenti
di come morivano di noia e carcere duro
delle stelle da seguire dei saliscendi
mi sono ricordato delle caravelle, che basta
mostrarsi indifferenti
per scoprire e riscoprire i continenti.
Guido Turco ha pubblicato diverse raccolte di poesie tra cui Notariqon (Càriti, 1989) finalista al Premio Ceva, Le traduzioni dal mondo (Book Edizioni, 1993), 50 giri intorno al sole (Puntoacapo, 2012) menzione speciale al Premio Lorenzo Montano, Un’ultima cosa prima di partire (Marco Saya, 2019) vincitore della sezione Raccolta Inedita di Bologna in Lettere 2019, mentre opere che uniscono versi e immagine sono state oggetto di numerose esposizioni, tra cui La Thèorie des anges gardiens (Bordeaux, 2010), Dispersion et rassemblement (Bordeaux, 2012) e La nature des géomètries (Bordeaux, 2018). Poesie sono apparse su Vibrisse, Il Monte Analogo, Punto-almanacco di poesia, Critica Impura, e sul volume collettivo “Laboratorio in differita - vol. 1 2013-2015 – pareri di lettura sulla poesia emergente (a cura di Davide Castiglione)”. Nella primavera del 2021 alcune poesie appariranno nel volume 5° repertorio di poesia italiana contemporanea a cura di Arcipelago itaca Edizioni.
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