Gli inediti** di Alessandro Codazzo
Alessandro Codazzo procede, in questi inediti, per vivide immagini giustapposte, nelle quali la presenza/assenza di suono è filo rosso che tiene insieme. La dimensione sonora si esplica anche nel frequente richiamo al respiro, che si fa fiato, sospiro e che designa quell’afflato poetico che per Codazzo non è mai grido, ma sempre voce flebile e ferma al contempo, e da cui apre una riflessione profonda sul senso dell’esistere, in movimento tra quello che c’è e quello che non c’è.
Strada
I
Nella testa tieni strette le parole
imparate lette in un libro di scuola,
e non hai tempo di fermarti a bere seduto,
fai come un andare corto da birra
e avanzi, sistemando la sciarpa. Ecco, cos'è
che le tue gambe dicono non lo leggi in chiunque,
hai un'urgenza da cavallo e la gola ti affanna,
e devi alzare il passo, andare più forte.
Pensi sia un buon morire vivere
di faccia a tre nuove parole
in bocca. Mille auto. Tu respiri, respira.
II
Cos'è la nebbia infilzata nelle tempie
e i talloni duri del camminare, è il quarto
fra le crome, la morte lucida del colore.
Sei fermo su di te piangendo, troppo a lungo
qualcuno ha saputo senza dire, pensi
ego vos absolvo e con voi io per primo.
Torni a casa dal tragitto di mezz'ora,
chiudi tutto fin sull'abbaino, metti l'ultimo
pigiama e dormi a lungo, molli mille
ragioni ad uno per nascere vivo.
*
Sarà il cielo a congelarvi
in un passo, mentre correte.
L'azzurro fuori che piango
quando posso, e mi inginocchio.
E non si avranno cure, o diete
di alghe, guarderete il cielo perché
potrete. C'era qualcosa da accudire, un sospiro
d'abbandono, e non lo abbiamo mai passato
sotto il naso, come si fa con un sigaro
per capire se è buono. Piangeremo
per il tempo che bastava,
che pensavamo non ci fosse per guardare
l'aria. Non conosco neanche il nome
delle piante, per dirle come si fa vivere
chi chiami ogni momento - quando ami,
se anche avesse un nome questo cielo
dalla gola lo strappò un vento.
*
È passato qualcosa da qui
d'insperato, un fiato. Sono
in pochi a vederlo. Ha fatto
di me e te che ci sfioriamo
tutto un sentirsi nelle cose,
per un attimo. E questo
accordo di nona vibrato
dal bordo di qualche dito,
prima non c'era, fu di qualcuno.
È passato qualcosa da qui
che non abbiamo visto,
un battimani di luci, un'orchestrina
di gitani sui loro carri ubriachi,
e nel tempo di un saluto
l'attimo cambiò tutto,
ce lo si leggeva in faccia.
E fu qualcosa potersi toccare,
chiederne ancora ad un passo da lì.
*
Dire meglio ogni giorno -
ogni giorno più indietro -
l'orecchio vicino al binario,
la mano che preme alla tua linea
alba. Avere la grazia d'assortirsi,
o dire in più lingue quel che manca
in paradiso che è solo qui. Il buio
di parola che non ti fa,
partorito da questa terra
e da nessun'altra; se avessimo
in gola le lingue dei santi,
non saresti già tu, ma cosa
di qualche ieri che ricordiamo.
Ho atteso dietro ai vetri il mio silenzio
di neve che bruciava dentro al naso
quando sbattevi i piedi sullo zerbino;
vedi come il tuo spazio sia la mia parola
che si ritrae che continuo a dire.
Padre nostro, che sei lì
** I testi fanno ora parte della raccolta "Con la forza in qualcos'altro" (Capire Edizioni, 2021).
Alessandro Codazzo (Galatina, 1998) è studente di Filologia e tradizione classica all’università Bologna. Frequenta il centro di poesia contemporanea di Bologna.
Comentarios