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  • Immagine del redattoreSara Vergari

Editoriale Alma Gender (appuntamento n°5)

Donne e antologie: una storia di esclusione dal canone


Nel corso del Novecento poetico le antologie d’autore sono state il principale luogo di dibattito critico, ma anche la sede prescelta per la definizione del canone. Sebbene con proposte e linee interpretative diverse e a volte discordanti, lavori come quello di Fortini (1977), Mengaldo (1978) o Sanguineti (1969) sono responsabili di aver selezionato le grandi voci e di aver individuato le correnti del secolo, così come di aver scandito i confini ante e post quem del Novecento. Nell’ottica quindi di voler ripercorrere e analizzare la storia delle donne in poesia, ma soprattutto di valutare quale sia stata la reale considerazione del loro lavoro, può tornare utile una prospettiva trasversale che ne prenda in esame la presenza – o sarebbe meglio dire l’assenza – dalle antologie d’autore. Se infatti siamo certi che oggi Montale faccia parte degli autori canonici del Novecento, non è così ovvio poter dire lo stesso di Amelia Rosselli o Maria Luisa Spaziani (tra le autrici indubbiamente più conosciute), se si guarda alla loro inclusione nelle antologie di riferimento. Uno sguardo di questo tipo, che qui ripercorro brevemente, potrà procedere in ordine diacronico per pubblicazione delle crestomazie, così da vedere come cambia nel tempo la situazione in base a fattori sociali, dando dei dati numerici sulla rappresentatività femminile e cercando di proporre delle spiegazioni per tali cifre. Quello che ne emerge, volendo anticipare una conclusione, è che la storia della lirica scritta da donne resta una storia marginale che la poesia dominante ha cercato di tenere separata, come se esistesse una poesia femminile e una maschile, l’una sottopoesia dell’altra. Come scrive Armanda Guidacci in risposta al Questionario di Biancamaria Frabotta in Donne in poesia (1976):


Io non credo alla poesia femminile e alla poesia maschile. In questa distinzione, abusata, si cela una discriminazione razzistica della donna. Infatti per “poesia femminile” si intende correntemente una sottopoesia destrutturata o debole, patetica o sentimentale. […] Per la buona poesia non vedo alcuna distinzione.



Le antologie canoniche

In questo primo gruppo si considerano quelle antologie che, con intento storico e critico, hanno delineato un quadro completo del XX secolo e che sono state ritenute di conseguenza canoniche. Non sono quindi considerate né le antologie di inizio secolo né quelle espressione di un unico movimento. Lirici nuovi (1943) a cura di Anceschi e poi Lirica del Novecento (1953) a cura di Anceschi e Antonielli costituiscono il primo tentativo di fare chiarezza sull’intero arco temporale precedente. In questa seconda compaiono Antonia Pozzi e Sibilla Aleramo, due donne su cinquantatré poeti selezionati. Se Aleramo verrà dimenticata dalle antologie da qui in poi, Antonia Pozzi ricompare nel 1999 nel lavoro di Segre-Ossola Antologia della poesia italiana. Il Novecento, dopo ben quarant’anni di vuoto. Infatti, se nell’antologia di Sanguineti non compare neppure una donna, in quella di Mengaldo si sceglie Amelia Rosselli come unica rappresentanza femminile, quasi a sottolineare il timore che includerne di più avrebbe significato una perdita di credibilità e autorevolezza della selezione. Di fatto, Amelia Rosselli diviene la prima autrice a entrare nel canone, ed è anche quella che ritorna più volte nelle diverse crestomazie fino ad oggi. Nonostante ciò, la difficile inclusione della poetica rosselliana nelle correnti novecentesche ha fatto sì che spesso venisse considerata come un fenomeno isolato e per questo escluso dalle antologie (è il caso di Sanguineti). Per quanto riguarda le altre antologie afferenti a questo primo gruppo – Letteratura dell’Italia unita di Contini (1968), I poeti del Novecento di Fortini (1977), Poesia italiana contemporanea di Raboni (1981) -, esse non presentano neppure un’autrice su una media di trenta poeti scelti. È importante ribadire che la quasi totale assenza da queste antologie non dipende dalla mancanza di voci o dalla scarsa inclinazione femminile alla poesia, ma da un’intenzionale scelta degli antologisti dovuta in parte alle dinamiche sociali del tempo e in parte alla non afferenza delle poetiche delle autrici alle linee dominanti. Grandi assenti sono, per citarne solo alcune, Maria Luisa Spaziani, Fernanda Romagnoli, Margherita Guidacci.



Le antologie dagli anni ’70 in poi

I lavori di questo gruppo iniziano ad allargare il canone includendo la poesia del secondo Novecento, ma soprattutto iniziando a fare i conti con la rivoluzione poetica degli anni ’60-’70. La prima antologia ad aprire lo sguardo sul periodo è Il pubblico della poesia a cura di Berardinelli e Cordelli (1975) che, come dichiarato dai suoi curatori, si propone non più di canonizzare, ma di rappresentare ciò che stava succedendo in quegli anni. Gli autori proposti sono tutti esordi dal 1968 in poi, nell’ordine di testimoniare la grande varietà e quantità di poeti, sempre più difficile da assimilare gli uni agli altri. In questo fondamentale lavoro critico, su sessantaquattro autori solo otto son donne; al di là del mero dato numerico, Berardinelli e Cordelli non prendono totalmente in considerazione qualcosa che invece stava accadendo nel mondo poetico di quegli anni e che non era affatto marginale, il movimento poetico femminista. Quest’ultimo porta avanti un lavoro del tutto speculare alla critica dominante, proponendo antologie di sole donne e battendosi per l’affermazione di un’unica poesia. Antologie come Donne in poesia di Biancamaria Frabotta (1976) fino a quello di Maria Pia Quintavalla (1992) dimostrano la necessità di un’affermazione della poesia scritta da donne che non era affatto riconosciuta. Certamente, il progressivo superamento della classificazione per correnti e il conseguente adeguamento di molte antologie che iniziano a prediligere altri criteri di sistemazione permettono alle voci femminili di trovare, se pur con fatica, sempre maggior spazio. Se si guarda ai numeri delle antologie, questi rimangono comunque molto sbilanciati: Poeti italiani del secondo Novecento di Cucchi-Giovanardi (1996), otto donne su sessanta, Poesia italiana del Novecento di Krumm-Rossi (1995), sette su cinquantuno, Il pensiero dominante di Loi-Rondoni (2001), ventotto su centocinquantanove. Anche le tre antologie del 2005, che segnano la rinascita del genere nel nuovo secolo, dimostrano una scarsa attenzione alle voci femminili: Dopo la lirica a cura di Testa, cinque su quarantatré, La poesia italiana dal 1960 a oggi di Piccini, due su diciannove, Parola plurale, undici su sessantaquattro. Entrando poi nella storia antologica delle singole autrici, su cui per brevità non mi soffermerò, si vedrà che anche nel caso delle più rappresentate (Rosselli, Cavalli, Valduga, Anedda), il loro percorso non è privo di resistenze e reticenze la cui motivazione non è un azzardo attribuire all’appartenenza al genere femminile.


Le antologie dell’ultimo decennio

Nelle antologie degli ultimi anni emerge una sempre più alta rappresentatività femminile, dato molto recente che si può considerare come una tendenza attuale di cui vedremo gli sviluppi più avanti nel tempo. Antologie come Poeti degli anni Zero a cura di Ostuni (2011), Abitare la parola di Rimolo e Ibello (2019) o Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90 a cura di Martini (2019, 2020) mostrano una percentuale pressoché parificata tra autori e autrici. A spiegare tale fenomeno contribuisce sicuramente lo slittamento funzionale dell’antologia, che mira oggi a rappresentare il presente con una maggiore inclusività di quanto si era fatto negli anni ’70, utilizzando criteri per lo più generazionali. Come scrive Fantuzzi nella prefazione di un’altra antologia recente, La generazione entrante (2011), «in questo racconto dell’attuale situazione sono stati premiati nelle varie linee quegli autori che sono riusciti a ricreare una sorta di riconoscibilità, una poetica magari ancora da perfezionare, come è giusto a 25 anni, ma precisa, netta». Ci si augura quindi che questi dati confortanti vadano di pari passo con una definitiva integrazione tra poesia scritta da donne e uomini, così che non debba più esistere una storia marginale della poesia femminile, ma un’unica storia della poesia con le sue ricche sfumature.






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