Editoriale Alma Gender (appuntamento n°2)
Aggiornamento: 4 mag 2021
Continua l'editoriale Alma Gender con un'intervento di Valentina Millozzi, che porta il focus della questione direttamente all'interno delle scuole.
Ricordiamo che chi volesse segnalarci studi o ricerche su questo argomento o desiderasse contribuire ad arricchire con competenza il dibattito, può farlo scrivendo a redazione@almapoesia.it, specificando in oggetto “Editoriale Alma Gender”; tutto il materiale pervenuto verrà sottoposto a lettura e quello ritenuto più interessante e valevole verrà proposto all’interno del progetto.
UN SILENZIO ASSORDANTE DI POESIA E GENERE A SCUOLA
di Valentina Millozzi
Immaginate di ascoltare da un altoparlante, per anni e anni, una sola voce, sapendo che accanto a essa ne esiste un’altra, a cui non è dato di esprimersi. Un silenzio che si è fatto nel tempo assordante e intollerabile. Quella che sembra una realtà distopica, degna di Margaret Atwood, inquadra, in una metafora perfetta, lo stato dell’arte dell’insegnamento della Letteratura a scuola: un continuum ininterrotto di autori, nessuna o rarissime autrici. Un canone chiuso, anacronistico e radicalmente sessista, grazie al quale a ragazze e ragazzi per anni è passato (e continua a passare) il messaggio che scrivere, come ogni altra attitudine intellettuale, sia prerogativa prettamente maschile. La situazione risulta ancora più evidente nel caso della poesia: se consideriamo l’ultimo anno delle superiori, sfogliando le più recenti antologie e le programmazioni più ardite di insegnanti illuminat*, potremmo imbatterci forse in Grazia Deledda (un Nobel per la letteratura), in Elsa Morante e, con un po’ di fortuna, in Natalia Ginzburg (se ci si arriva), tutte scrittrici prevalentemente di narrativa. Escludendo Alda Merini, a cui sporadicamente è dedicata una paginetta tra le ultimissime nei libri di testo, le poete sono totalmente assenti.
Premetto che detesto le diciture “letteratura femminile” o “poesia femminile”: il caso recente di Elena Ferrante ha svelato al mondo come la questione dell’identità di genere nella scrittura sia tanto determinante nel pregiudizio quanto effimero nella sostanza. Tuttavia, un discorso di “quote rosa” (altra espressione assai rivedibile) va fatto: nella cultura italiana c’è stata una costante e consapevole marginalizzazione di genere che è palese nella didattica della letteratura (scolastica e universitaria) e ancora oggi si riflette sui dati relativi all’editoria, al giornalismo, alla ricerca. Del resto, per le donne che si avvicinavano alla scrittura, è stata sempre una questione di opportunità prima che di qualità: opportunità non solo di essere pubblicate ma anche di essere lette, presentate, discusse. La disparità di genere in Italia è fenomeno radicato e sistemico, non solo in ambito letterario: perché avvenga un cambiamento radicale di equilibri e di prospettiva, è proprio sulla cultura che bisogna urgentemente agire partendo dal futuro, da chi negli anni a venire leggerà, pubblicherà, scriverà, farà ricerca. Si torni quindi a mettere al centro della riflessione la scuola, quello che è stato per tutt* noi il luogo di iniziazione alla lettura e alla letteratura, ponendo un’attenzione diversa a come e cosa si trasmette. Ad esempio, cosa stiamo raccontando alle nuove generazioni sulla poesia italiana recente? La grande poesia italiana a scuola è la triade sette/ottocentesca Foscolo-Leopardi-Manzoni, con una coda a cavallo dei due secoli con Carducci, Pascoli e D’Annunzio, per passare al terremoto creativo novecentesco, tutto schiacciato sulla prima metà del secolo, dalle avanguardie a Ungaretti, Saba, Quasimodo e Montale. Questo, a grandi linee, è quanto si insegna alle/agli adolescenti oggi in tutte le scuole superiori tra il quarto e il quinto anno, ed è esattamente quello che si insegnava trenta o quarant’anni fa. Il dato macroscopico e surreale è come il concetto di contemporaneo non esista, o per lo meno sia snaturato nel suo senso etimologico e attribuito a un secolo terminato da più di vent’anni, affossando così generazioni di poet* nat* dal secondo dopoguerra ad oggi. E poi, non seconda in ordine di importanza, l’esclusione pressoché totale delle poete che hanno attraversato l’epoca storica considerata “recente”, quella a cavallo tra ‘800 e ‘900. La voragine è così manifesta che tra studenti e, ahimè, collegh* spesso serpeggia il dubbio: esistevano donne che scrivevano poesia? È opportuno fugare subito ogni dubbio: tra quelle nate tra gli anni ‘70 dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale possiamo ricordare Ada Negri, Amalia Guglielminetti, Lalla Romano, Antonia Pozzi, Maria Luisa Spaziani. Cristina Campo, Armanda Guiducci, Nella Nobili, Amelia Rosselli, Alda Merini, Jolanda Insana. Se poi volessimo finalmente forzare la cronologia asfittica attualmente in uso e portare le nostre e i nostri studenti a fare una passeggiata poetica nel secondo Novecento fino a sfiorare l’attualità, c’è la generazione successiva, quella delle baby-boomers, tra cui Patrizia Vicinelli, Vivian Lamarque, Patrizia Cavalli, Mariangela Gualtieri, Chandra Livia Candiani, Patrizia Valduga e Nadia Campana.
Se restiamo pragmaticamente al primo gruppo citato, al di là di un elenco certamente non esaustivo e dei gusti personali che ci avvicinano più all’una o all’altra, si tratta di autrici che spesso hanno unito al valore artistico un grande spessore intellettuale, sociale, politico, protagoniste di vicende umane sovente travagliate in una società che fino agli anni Settanta non ha saputo riconoscerne l’emancipazione. Non bastano più quindi i numerosi studi critici che negli ultimi anni le hanno viste protagoniste, ora vanno restituite al flusso della storia della letteratura e soprattutto lette e discusse in classe. In attesa che dall’alto si arrivi a comprendere l’urgenza di una revisione delle linee-guida ministeriali sui contenuti didattici (e i tempi, mi pare di capire, non saranno brevi), l’insegnante può accelerare il processo, agendo in tre direzioni: inserire autrici nella propria programmazione di Letteratura (il vincolo ai programmi ministeriali non è più così stringente); scegliere antologie che diano uno spazio reale e paritario alle scrittrici (ma, a oggi, trovarne è un’impresa pressoché impossibile); infine proporre una formazione specifica per docenti sulle autrici dal Novecento a oggi.
Indicando un personale punto di partenza, le due voci che vorrei finalmente sentire dal citato altoparlante letterario, sono ad esempio quelle di Antonia Pozzi e Amelia Rosselli. Due generazioni diverse, l’una nata nel 1912 l’altra nel 1930, colte, passionali e solitarie, furono animate entrambe da un tormento esistenziale che le condurrà al suicidio, l’una appena ventiseienne nel clima irrespirabile della imminente guerra mondiale, l’altra, matura e affermata, tragicamente perseguitata dalla malattia mentale. Un filo rosso dunque le accomuna, ma la loro poesia segue percorsi stilistici distanti, non solo cronologicamente: quella di Antonia Pozzi affonda le sue radici nella tradizione lirica del tempo, dal crepuscolarismo alle nascenti tendenze ermetiche soprattutto ungarettiane; in Rosselli il verso è ritmo, polisemia, contaminazione in una prassi poetica dirompente e innovativa che anticipa le nascenti tendenze performative.
Nei due testi che seguono, entrambe ci restituiscono una narrazione magistrale del corpo, acerbo/maturo, femminile/universale, che è espressione estrema di inquietudine e cosciente alienazione. E soprattutto ci danno l’amara misura, se ce ne fosse bisogno, di quanta ricchezza “il canone letterario” finora si è perso.
Antonia Pozzi
Canto della mia nudità
Guardami: sono nuda. Dall’inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m’inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m’inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.
(da Parole, Diario di poesia, 1930-1938)
Amelia Rosselli
Attorno a questo mio corpo
stretto in mille schegge, io
corro vendemmiando, sibilando
come il vento d’estate, che
si nasconde; attorno a questo
vecchio corpo che si nasconde
stendo un velo di paludi sulle
coste dirupate, per scendere
poi, a patti.
Attorno a questo corpo dalle
mille paludi, attorno a questa
miniera irrequieta, attorno
a questo vaso di tenerezze
mal esaudite, mai vidi altro
che pesci ingrandire, divenire
altro che se stessi, altro
che una incontrollabile angoscia
di divenire, altro che se
stessi nell’arcadia di un
mondo letterario che si forniva
formaggi da sé; sentendosi
combattere, nelle vacue cene
da incontrollabili istinti
di predominio: logori fanciulli
che si stiravano altre membra
pulite come il sonno, in vacue
miniere.
(da Serie Ospedaliera, 1969)
Valentina Millozzi (Pesaro, 1975) è insegnante, attivista e ricercatrice nell’ambito delle discipline storico-letterarie e della didattica. Laureata in Lettere Classiche, ha conseguito un Dottorato di Ricerca con una tesi sulla poesia ellenistica. Dopo tre anni di insegnamento a contratto presso l’Università di Urbino, attualmente insegna Lettere presso una scuola superiore di Bologna. Da anni segue per il CESP, Centro Studi per La Scuola Pubblica, le tematiche legate all’educazione al genere con attività di formazione e pubblicazioni: da ultimo, nel 2019, ha curato il volume “Che genere di educazione” (Massari ed.). Appassionata di fotografia e scrittura, tra il 2017 e il 2020 ha esposto come autrice ad alcune mostre tra Ravenna e Bologna e nel 2020 ha partecipato con un proprio racconto alla pubblicazione “I quaderni di Cirene-Resistenze in Cirenaica” n.4 (ed. Senza Blackjack,2020) dedicato alle donne delle Resistenze.
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