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Commento a "Historiae" di Antonella Anedda

  • Immagine del redattore: Alessia Bronico
    Alessia Bronico
  • 27 lug 2021
  • Tempo di lettura: 1 min

In Historiae (Einaudi 2018) Antonella Anedda perlustra gli spazi del mondo, siano essi artificiali o naturali, in modo accurato, dimostrando profonda e dolorosa adesione alla realtà. Historiae è anche il luogo della memoria, delle memorie che stanno sulla pagina con levità e grazia, senza mai mancare di nitore, tipico tratto della sua scrittura. Historiae è racconto biografico e della comunità. Non esiste solo ciò che la poetessa sente, esiste anche ciò che guarda, non tutto è vagliato esclusivamente dall’emotività. Le storie, qui, sono stratificazioni di sguardi, paesaggi multipli che attendono d’essere scoperti. Temi ricorrenti sono la malattia e la morte narrati dall’io che di fronte alla disgregazione sopravvive ricomponendosi: «tutto si perde / e torna in altre forme». Siamo di fronte a una poesia diretta e sincera che emerge dal silenzio dei tempi e si consegna a chi legge con realismo essenziale, necessario.



Anatomia


Dice un proverbio sardo

che al diavolo non interessano le ossa

forse perché gli scheletri danno una grande pace,

composti nelle teche o dentro scenari di deserto.

Amo il loro sorriso fatto solo di denti, il loro cranio,

la perfezione delle orbite, la mancanza di naso,

il vuoto intorno al sesso

e finalmente i peli, questi orpelli, volati dentro il nulla.


Non è gusto del macabro,

ma il realismo glabro dell’anatomia

lode dell’esattezza e del nitore.

Pensarci senza pelle rende buoni.

Per il paradiso forse non c’è strada migliore

che ritornare pietre, saperci senza cuore.


da Historiae (Einaudi 2018)

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