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«Come toccare l’altro lato della luna»: recensione a "Male minore" di Rebecca Garbin

Immagine del redattore: Sara SerenelliSara Serenelli

Male minore (Vallecchi, 2024) è il libro d’esordio di Rebecca Garbin, classe 2001. Un esordio dettato da una voce che già si pone come immediatamente riconoscibile e distinguibile dalle altre, una voce poetica che imprime ai versi una sostanza magmatica che subito si dà a chi la legge quale unica per l’originalità di materia, suoni, visioni, potenza, rimandi. La forza della parola poetica di Garbin credo risieda nella sua capacità di tenere insieme in maniera convincente sedimenti e detriti di varia natura e saperli cementificare assieme con l’impasto della poesia. Leggere Male minore è come trovarsi davanti a una dura lastra di pietra che reca su di sé i brutali segni dello scavo che l’hanno fatta emergere e venire a forza alla luce dal buio e che lascia chiaramente scorgere blocchi sovrapposti, strati deposti, le alterazioni e le disgregazioni subite. Garbin aiuta noi lettori a muoverci tra gli strati della sua materia poetica che fa coesistere e permanere in uno stesso momento ciò che è dentro e ciò che è fuori, in un gioco di specchi, dove il disfacimento del corpo, dei corpi, dei luoghi, riflette uno sfaldamento del sé, una messa in discussione dell’identità e al contempo dei moti della mente e della psiche. «Ogni cosa viva scava e lascia calce nella testa», una calce con la quale si deve in qualche modo tirare fuori l’amalgama per ricostruire, per tenere insieme, per non permettere una ulteriore disgregazione anche se talvolta tocca dirsi che: «le nostre storie / non saranno ricomposte». I vivi e i morti erodono e corrodono insieme tra i versi di Garbin: la presenza dei non vivi scuote nel corpo e nella mente chi scrive e chi legge; chi rimane non si guarda negli occhi mentre coloro che muoiono sono presenze vivissime e strutturali nell’architettura del libro. Un libro che racconta, con forte tensione narrativa, la materia sommersa di un epos familiare, tra corridoi che hanno demoni, tra stanze dove il buio scivola travasandosi da una solitudine all’altra, tra uomini e donne che non invecchiano eppure si lasciano morire, tra coloro che se ne vanno eppure restano dappertutto, tra i rosari che spaccano le labbra e il latte di una madre, che non ha paura della vipera sul gradino, diluita con l’ortica. Un epos privato, una narrazione poetica di cui Garbin è prima testimone che tuttavia ha la forza di trasformarsi in universale, in storia e narrazione corale e collettiva poiché di quell’eredità del trauma, del non detto, di quel passaggio ereditario di lacerazioni, di moti nel buio, tutti, o quasi, facciamo violenta e perturbante esperienza. Sono heirlooms (che danno il titolo a una sezione della raccolta), i cimeli di famiglia dai quali non possiamo fuggire, fantasmi «che appaiono frontali o di profilo». Garbin aggroviglia e sgroviglia il segreto, un segreto suo che diventa nostro, una mitologia che ci trascina prepotentemente più vicini a una verità e che ci accompagna a toccare la materia oscura, il “male minore” di cui è impastato lasciandoci tuttavia tesi alla ricerca della vita, non rassegnati alla perdita, non sconfitti dalla permanenza del dolore. Un paesaggio gotico, cupo, ombroso quello in cui si muove la poesia di Garbin che dal Piemonte al Veneto arriva fino all’altro mondo che è Milano e che ci conduce dentro i confini del fiabesco e del folkloristico facendoci inerpicare tra le leggende delle anguane, donne con la pelle di serpente che abitano sotto l’acqua dolce, e la loro principessa Etele, figlia di Uttele, a ripetere che è morta, e nell’immaginario della mitologia alpina con l’epopea dei Fanes, spinti a sentirci tutti come il grande re di pietra, che con le sue stesse frecce uccide la figlia Dolasilla e «aspetta il tempo giusto per tornare in superficie». La necessità di tenere assieme tutti questi detriti, tutti questi tasselli, tutti questi frammenti di una storia personale e comune fa muovere Garbin decisa anche in altri spazi che con il suo dettato poetico rende non meno memorabili di quelli geograficamente riconoscibili: sono gli spazi della casa, del corpo e della famiglia. Topografie non meno dolorose e non meno capaci di rendersi luoghi di visioni. Spazi che si danno a chi legge in un tempo senza tempo, in un tempo duttile e flessibile, dove passato, presente e futuro si pongono dirimpetto l’uno all’altro, dove il ricordo si dà nel presente come decomposizione del passato dal quale pure Garbin salva quel che rimane nel fondo per costruire altro e altrove. Una materia che fuoriesce e che chiede di essere vista, una materia incandescente che si dà per malata ma cerca una guarigione. Garbin sa che «non c’è luce con la faccia a terra» e che «bisogna essere soli per parlare con gli spettri», eppure ripete come un mantra il memento «vive ut vivas vivi». Leggere Male minore è «come / toccare l’altro lato della luna», è come fissare il volto buio lunare con la forza di chi sa che quel volto è, altrove, illuminato.


Rebecca Garbin, Copertina, Alma Poesia


Nel segno del serpente

 

Siamo nati entrambi in inverno.

Avevo paura di lui, lui aveva paura

della bocca che già aveva la sua forma

e delle gambe strette a croce,

le ginocchia che combaciano

la schiena troppo curva, della curva

che mi cade dalla fronte fino all’occhio

l’occhio privo di riflessi.

 

Noi abbiamo il sangue freddo

come i rettili e gli uccelli

«Non scorre in silenzio» mi dice mio padre muovendo

le mani per imitazione «in questa famiglia

che non invecchia e si lascia morire».


V. 1

 

Vive ut vitas vivi – che dopo la tua morte

possa vivere per sempre, io non ne ho

nessuna voglia. Vivi ut vitas vivi

che cos’è la vita viva?

 

Sono solo stata stanca tutto il tempo.


La casa di Serravalle IV

 

Ci sono dei rosari che spaccano le labbra

e fanno crepe dentro ai muri. Mia madre parla ancora con gli spiriti

ricuce le ciglia dei morti. Non serve consultarsi per capire

tutto quello che lasciamo alla paura.

 

Io ti brulico nel sangue, ti sbatto nelle ossa

qualcosa si spezza e trapassa le tempie

lo senti ogni tanto e non sai che cos’è.

 

Poi c’è il sale che non chiude le ferite,

il latte di mia madre diluito con l’ortica.


*


Anche io sento che l’anima sta al centro della schiena

in quel punto che non puoi toccare con le mani.

Forse per questo i morti non li girano di spalle,

per mandare via i fantasmi

che appaiono frontali o di profilo.

 

Da dove vengo io ci sono molti tipi di fantasmi

le anguane sono donne con la pelle di serpente

ragazze morte, dicono

che abitano solo l’acqua dolce.

Nel Prà dei Reinsaori, dalla Casa delle Croci

sono rimasti quelli che regnano sui morti

per vendetta. Infine guardando nel fondo del lago

c’è un grande re di pietra

che aspetta il tempo giusto per tornare in superficie.

Si dice che sua figlia Dolasilla

invincibile in battaglia, sia morta

sotto le sue stesse frecce. La sua pelliccia

bianca era diventata rossa.

 

Qui ci credo ancora agli incantesimi

che gli uomini potrebbero

allearsi alle marmotte, stare al caldo sotto terra,

ma noi come le aquile

abbiamo lunghi artigli e gli occhi privi di riflessi.

 

Dolasilla non sposare mai nessuno,

vestiamoci di bianco anche sul campo di battaglia

diventiamo dei fantasmi che spaventino i soldati.

 

«Un po’ come i fantasmi il tempo esiste se ci credi».

 

– Allora Dolasilla

che attraversi queste valli

rimanimi vicina senza mai toccare terra.


V. 8

 

Vive ut vitas vivi, dì a Etele che Uttele –

no, non si può dire.

 

La sera che sono scomparsa nel nulla

là dove la roccia si spezza –

forse qualcuno mi ha spinta.


Rebecca Garbin, Alma Poesia
Rebecca Garbin (Ph. Mattia Belletti)

Rebecca Garbin (Milano, 2001) ha pubblicato Male minore (Vallecchi Firenze, 2024). Alcuni dei suoi componimenti sono comparsi sul numero 24 della rivista Poesia (Crocetti, 2024). Fa parte della redazione di Inverso – Giornale di poesia, della redazione del sito web Vallecchipoesia.it e collabora con diverse realtà letterarie, fra cui il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna. Nel 2023 ha vinto il premio poeti inediti under 25 Alma Mater Elena Violani Landi.

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