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  • Immagine del redattoreSara Serenelli

«Ai bordi delle cose»: recensione a "Storie per taccuino piccolo piccolo" di Stefano Raimondi

La storia, le storie al plurale come quelle raccontate da Raimondi nelle sue Storie per taccuino piccolo piccolo (Scalpendi Editore, 2022), affascinano, affatturano da sempre: nel racconto riflettiamo le nostre vite, ampliamo il nostro discorso, veniamo spinti altrove, intoniamo il canto di qualcun altro, spendiamo un nuovo sguardo, siamo nuovi, siamo altro. Le parole delle storie deviano il nostro tragitto, ci portano a fissare gli occhi sull’altro, a camminare nei luoghi dentro altri piedi, e grazie a quei passi diversi guardare quei posti come fossero inediti. Quando le storie, poi, sono cantate dalla voce genuina di chi le ha viste e trattenute sulla pagina mantenendo intatto il nucleo pulsante della loro umanità, accade una magia. Sono le storie che non spiegano, che non descrivono asetticamente e con dovizia di particolari; al contrario sono le storie che creano, accendono un moto, mettono in scena, anche dolorosamente. Il libro di Raimondi mi sembra essere squarcio aperto su questa difficile sostanza: una raccolta di storie poetiche, di piccoli quadri conclusi in sé stessi e al tempo aperti al discorso generale e trasversale che valica il confine della pagina e che trova il suo fil rouge nel riconoscimento dell’umano. Un essere umano sempre diverso eppure profondamente e inscindibilmente legato a chi gli è umanamente simile nel meraviglioso e terribile destino dell’essere in vita, questa vita. Raimondi racconta o meglio filma, inquadra, monta le immagini che le sue percezioni hanno avvertito: Raimondi sa perché ha visto, perché i suoi occhi hanno visto davvero. È la risalita alla greca radice ιδ- del verbo ὁράω (orao), “vedere”, la stessa radice del lemma ἱστορία (istoría): vedere e sapere, e nel frattanto conoscere. Un sapere, una indagine, una ricerca che parte da un vissuto vero, visto e percepito in prima persona. Raimondi riesce attraverso le sue parole, che vivono e pulsano nello spazio indefinibile tra poesia e prosa, a portare alla luce delle inquadrature urbane e cittadine. Ritaglia attraverso la lente e il grandangolo dei suoi occhi, del suo sguardo filmico, momenti e immagini e ce le dona indietro sotto forma di parole e suoni. Storie, come si diceva, che si muovono appunto tra poesia e prosa, secondo una modalità e una chiave di interpretazione che già il poeta lasciava intravedere nelle sue raccolte precedenti: anche nei libri più lirici, costruiti più classicamente, sbocciavano interventi di piccole prose, lavorate sul levare, sul togliere di elementi. Come a dire che quando la poesia e lo spazio minimale del verso non bastano più, le parole debbono strabordare e il discorso allargarsi per respirare, conquistando più spazi per la narrazione. Una narrazione cinematografica che ha come scenario prediletto quello della città: crogiolo di mondi e vissuti che si intrecciano, si arrampicano, si innestano l’uno sull’altro ed entrano in una relazione vivificante che si fa parola. Una parola che come un testimone passa di storia in storia, di mano in mano, di corpo in corpo, di percezione in percezione con battute d’arresto e nel contempo senza soluzione di continuità, anche quando gli attori del quadro sono totalmente altri, protagonisti di una storia inconciliabilmente diversa. E la città è il luogo e il non-luogo dove tutto accade, dove accade la vita, dove le idee si formano, dove le intenzioni si irradiano, dove le evidenze si mostrano nude, dove tutto si compie e tutto resta sospeso. Una città bella, viva, sorprendente, dinamica. Una città impregnata di paure, angosce, brutture, accelerazioni. Un luogo con dentro mille luoghi: la stazione, la metropolitana, le vie, la strada, la roulotte, il centro, la periferia, il parco, la pasticceria, la macelleria. Eccole le storie che si intrecciano: quelle di chi vive in alto, quelle di chi vive in basso, quelle del mondo culturale e quelle della strada. Quelle del centro, delle luci. Quelle del buio, rosicchiate nei margini. I personaggi che animano le scene hanno le più disparate posture nei confronti della vita: da un lato coloro che sistemano il riflettore per farsi meglio vedere, dall’altra coloro che sfuggono gli sguardi, popolano i cunicoli e che hanno imparato l’arte di farsi trasparenti. La vita sotto, la vita sopra ma anche la vita dentro. Quest’ultima indovinata dal poeta grazie alle accensioni degli sguardi dei “lui” e delle “lei”. Nella cornice di una pagina, restando nella misura della scrittura del solo a fronte, all’interno di uno spazio già prefissato, leggiamo i luoghi, leggiamo i colori, leggiamo il girato delle storie nelle quali lo sguardo del poeta inciampa. Inciampa e s’attarda. S’attarda a nutrirsi della vista di quella umana sfilata. S’attarda. Scrive.


Storie per taccuino piccolo piccolo


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Stefano Raimondi

Stefano Raimondi (Milano, 1964), poeta e critico letterario, laureato in Filosofia (Università degli Studi di Milano). Sue poesie sono apparse in “Almanacco dello Specchio” (Mondadori, 2006) e su “Nuovi Argomenti” (2000; 2004). Ha pubblicato Invernale (Lietocolle, 1999); Una lettura d’anni, in Poesia Contemporanea. Settimo quaderno italiano (Marcos y Marcos, 2001); La città dell’orto (Casagrande, 2002; La vita felice 2021 – Premio Sertoli Salis 2002); Il mare dietro l’autostrada (Lietocolle, 2005); Interni con finestre (La Vita Felice, 2009); Per restare fedeli (Transeuropa, 2013 – Premio Marazza 2013), Soltanto vive. 59 Monologhi (Mimesis, 2016 – Premio Nazionale Franco Enriquez 2017); Il cane di Giacometti (Marcos y Marcos, 2017- Premio Città di Trento 2018 e Premio “Il Ceppo- Pistoia” 2018), Il sogno di Giuseppe (Amos 2019 – Finalista Premio Città di Como 2019 e Città di Fiumicino 2019); Storie per taccuino piccolo piccolo, (Scalpendi Editore 2022). È inoltre autore di saggi come: La ‘Frontiera’ di Vittorio Sereni. Una vicenda poetica (1935-1941) (Unicopli, 2000); Il male del reticolato. Lo sguardo estremo nella poesia di Vittorio Sereni e René Char (CUEM, 2007); Portatori di silenzio, (Mimesis, 2012) e curatore dei seguenti volumi: Poesia @ Luoghi Esposizioni Connessioni (CUEM, 2002) e [con Gabriele Scaramuzza] La parola in udienza. Paul Celan e George Steiner (CUEM, 2008). È tra i fondatori della rivista di filosofia “Materiali di estetica” (Università degli Studi di Milano) e fondatore e membro del Comitato scientifico di “L’ABB Luoghi abbandonati, luoghi ritrovati. Laboratorio Permanente sui territori e le comunità” Università degli Studi di Milano. Tiene corsi di scrittura poetica e Filosofia della scrittura in diverse università, associazioni culturali e strutture scolastiche.Svolge attività di docenza presso la Libera Università dell’Autobiografia e Scuola di scrittura creativa “Belleville”. È membro del consiglio scientifico del Centro Studi e Ricerche sulle Letterature Autobiografiche della LUA di Anghiari. È inoltre tra i fondatori dell’Accademia del Silenzio. Curatore del ciclo d’incontri “Parole Urbane” (presso Casa Fornasetti), svolge inoltre attività di Editor presso Mimesis Edizioni, dirigendo le seguenti collane: “I quaderni di Anghiari. Strumenti per l’autobiografia” (con Duccio Demetrio); “Le carte della memoria” (con Roberto Revello).

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