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  • Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

«Noi anima, spirito, firmamento»: recensione a "In Erba" di Federica Ziarelli

Rischioso sarebbe parlare dell'ultima pubblicazione di Federica Ziarelli, In erba (Terra d'Ulivi Edizioni 2020), se riducessimo la raccolta soltanto a uno dei fulcri tematici che la compongono. Leggendo le poesie della Ziarelli si potrebbe facilmente parlare di poesia dell'infanzia o di poesia nostalgica, oppure di panismo, aspetti che già Clery Celeste ha ben evidenziato nella postfazione. Ma i versi della Ziarelli si spingono assai oltre questa possibile tripartizione, superando la soglia di ciò che il lettore vorrebbe dicessero.


Ciò risulta subito chiaro in una lirica come Al prato d’infanzia tornare: «Al prato d'infanzia tornare / quel prato così vicino / margherite sotto il mento. / Piedini affondati / in un tempo infinito /e uova al mattino / da bere ad occhi chiusi» (p. 9): già qui confluiscono, appunto, gli elementi identificativi dello scrivere della Ziarelli, che non teme di usare diminutivi laddove è la vita a ricorrervi prima ancora della poesia; lo stesso avviene nel momento in cui ricrea, parlando di fiori e alberi, un ambiente bucolico, in cui l'infanzia e la parte migliore della giovinezza trovano la loro cornice ideale.

Perché, accanto alla figura della bambina, nelle pagine di In erba a dominare è anche l'adolescente, la ragazza nei suoi vent’anni, immortalata dentro situazioni di vita realmente vissuta che, nei versi di Ziarelli, vengono fissati come in uno scatto fotografico: «La mattina nel bus accalcati / mi prendevo sulle ginocchia rosse / il caldo dell'amica / dove poco prima / il vento di dicembre.» (La mattina nel bus accalcati, p. 13).

Nonostante una certa compostezza dello scrivere e un verso sempre misurato, le parole di Ziarelli tendono all'esplosione in vortici di colori o lasciano impressioni luminose, dove a predominare sono le lucciole, il lucore delle stelle o l'argento dei movimenti dell'acqua e il volo delle lucciole.

Ciò che sorprende di Ziarelli, considerato questo sguardo rivolto all'indietro che accompagna tutta la raccolta, è la capacità di non cadere mai nella rievocazione, ma di rendere ogni episodio del passato un tassello del presente, come se ciò che è accaduto fosse costantemente con noi, nella forma di ricordo vivo e, soprattutto, di parte integrante di quello che siamo. In erba non nasconde la nostalgia di un'epoca «Torneranno i cieli abbaglianti / di quegli anni novanta / posati sulle spalle / maglioni di stelle» (Torneranno i cieli abbaglianti p. 43) e non teme di esaltare, tra tutte le stagioni, quella che più assomiglia alla bellezza vera della vita: l'estate, su cui più volte ritorna Ziarelli, è metafora di un tempo probabilmente finito, il cui pensiero è in grado però di allietare ancora gli inverni freddi e gli autunni malinconici: «Dal lontano cortile dell'oratorio / già ci chiamava a gran voce l'estate / però noi tentavamo immensità, orizzonte, libertà / noi anima, spirito, firmamento.» (Dentro l’ombra fiduciosa p. 23)

Qui sta, a mio avviso, il senso vero della raccolta e il grande merito della Ziarelli: il coraggio di ammettere che esiste un meglio che non deve ancora venire ma che è già finito, trascorso, restato aggrappato a un'età che non ci è più dato di vivere. E sebbene questa idea in Ziarelli non abbia come esito la rassegnazione o la morte «La morte non è / campo che si secca / ma cervo / che al termine della sua corsa / si ritira dentro il grande cespuglio» (La morte non è p. 64), è altresì vero che tra i nontiscordardimé, i pastelli, i muretti e le rose c'è tutta la lucida consapevolezza del non-ritorno, del tempus fugit. Per questo, uscire ancora a raccogliere un mazzetto di margherite o accendere un falò in spiaggia non sono gesti infantili, ma un'invocazione alla bellezza, un richiamo rituale a quelle età che, seppur anagraficamente superate, continuano ad abitarci e ci lasciano perennemente all’inizio di qualcosa, sempre un po’ impreparati. “In erba”, appunto.

Per questo la poesia della raccolta deve essere letta quasi come una preghiera di ringraziamento per il bello vissuto e di speranza per il bello che verrà: perché Ziarelli canta proprio questa della vita, il bello, e lo fa nel migliore dei modi: con grazia e con coraggio.


Federica Ziarelli (1980) vive a Perugia. Scrittrice, saggista, poetessa, ha esordito con il romanzo Sono venuto a portare il fuoco (Porzi editoriali, 2010). Ha pubblicato nel 2016 la raccolta di racconti e poesie Aspettando l'aurora (Midgard Editrice) e nello stesso anno la silloge poetica Gli occhi dei fiori (Premio Midgard Poesia). Del settembre 2019 è il saggio Un'oscura capacità di volo, poete e poetiche nell'Umbria di oggi (Edizioni Era Nuova). Coordina eventi artistici. Sue poesie sono apparse su antologie, blog e riviste di letteratura come «Atelier» e «Clandestino» .






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