Nota di lettura a "W.W. (ovvero Dama meravigliosa) di Henry Ariemma
Nella postfazione alla raccolta di Henry Ariemma, W.W. (ovvero Dama meravigliosa) edita da Kolibris edizioni, Plinio Perilli definisce l’autore come moderno elegiaco.
«In tempi frettolosi e digitali – oltretutto pandemici, drammatici e imperiosi – di diniego all’elegia, di dissidio con l’elegia – arriva ora questa balda, ispirata e ipersensibile memoria in progress di Henry Ariemma, a riconsacrarla, onorarla nello spartito e nell’ordito di un poemetto amoroso […] nostalgico rito ma anche ondeggiante, sommossa Recherche di un Tempo Perduto, e infine Ritrovato, col suo giovane, trafelato ma impavido affanno».
W.W. ovvero Dama meravigliosa è un libro breve ma denso, di quelli che colpiscono alla prima lettura. Ariemma, “moderno” elegiaco, riesce a non rinunciare alla possibilità del ‘cantare’ l’amore, o ciò che ne resta, ma lo fonde tra cosmo e linguaggio, tra eredità storica e cronache esistenziali. L’io poetico si fonde con la propria odissea emotiva, si erge a cantore del proprio amore non ricambiato, calandosi nella fitta trama della costruzione del discorso amoroso.
Una dichiarazione d’amore a tutto tondo che non rende l’oggetto desiderato il fulcro di una moderna sindrome di Pigmalione, ma ne esalta il suo essere Musa e insieme donna, ritraendo i due amanti in frame quotidiani e spesso in movimento. […] Un giorno dici: / “con te mi sento sicura, /non ho paura a camminare con te” ... /– E per quale amore o non amore? –/Un altro dici: “che non sono tutti come me, /che ai più manca coraggio /a parlare apertamente, /ad essere...” […] (p.22)
Quello di Ariemma è un approdo dell’Io al rispecchiamento d’ogni altro da sé, a cominciare dalla dedizione per chi interpreta il ruolo di Musa. W.W. è ogni sua (o egualmente nostra) Musa Inquietante, profondamente umana: E fino al giorno/che tu scuota e dica: / “non sono così santa/come credi, ho deciso sette /aborti... Dei tanti liberi amori /ho raschiato colpe dal profondo /mio corpo...” […] (p.40)
Non siamo davanti a una poesia nuova. Al contrario, sembra che molti stilemi e formule siano recuperate (quella del cavaliere su tutte); messe sotto una campana di vetro come per proteggere la gentilezza di sguardo, le formule di un gioco andato perso. Ed erano gli occhi tuoi/quelli parlanti e dell’amica /interessati, il giusto gioco/ a perdere tutto. (p.12)
Se la poesia contemporanea spesso guarda con sospetto a questo tipo di confessione, ad impennate amorose di pieno lirismo, qui il significato arriva a sublimarsi in un denudante punto di arrivo consacrato all’amore.
La cesellatura è evidente: l’agilità del verso poggia in modo efficace sull’alternarsi di novenario e settenario, con un gioco di rimandi a una tradizione elegiaca e di cui, però, si cerca di salvare la possibilità di un reale contatto con l’altro. Anche in mezzo ai rumori della contemporaneità, alle distrazioni continue, ai continui lapsus sentimentali: Andiamo a villa Torlonia, dici/ vicina ai nostri studi e nel camminare/senti le ambulanze d’un incidente /stradale vicino l’ospedale e chiedi:/ “ma cosa è successo?” e fai/per fermarti e ti dico non ci interessa/a dimostrare che non volevo nulla/frapporsi tra noi, pensando: voglio /sbranarti a baci e pensi ad altro?... (p.31)
Quel sì era grande come un mare
aspettando gesti tangibili.
E se ti chiedo andiamo alla villa
vicina e vieni, è tangibile?
Direi come il mare, tranne se
si aspetta mare dal faro.
Andiamo a villa Torlonia, dici
vicina ai nostri studi e nel camminare
senti le ambulanze d’un incidente
stradale vicino l’ospedale e chiedi:
“ma cosa è successo?” e fai
per fermarti e ti dico non ci interessa
a dimostrare che non volevo nulla
frapporsi tra noi, pensando: voglio
sbranarti a baci e pensi ad altro?...
Quel gesto tangibile aspettavamo
tonti al parlare, quando ero io
gesto a far diventare paradiso
i giardini legati alla tua bellezza
perché la fonte rispettavo codice:
dammi il segno tuo
come tua amica la mano...
I
Con un vento sempre lieve
accompagnava un presente sole:
si era come sul mare sopra
le rocce in quelle montagne
bianche scolpite tutte
a respirare esalati d’erbe
tagliate al profumo di fiori
e tu a leggere sulle scale
come sopra ai dieci elefanti
d’avorio per salire e chiederti
– beffardo destino – chissà cosa
che non ricordo più, e hai detto:
“hai il pranzo con te, allora siediti”.
IV
Ma sei stata tu l’amazzone
scintillante d’aquila al bordo
dei seni primo amore
avvicinando di stelle vestiti
rosso fiore al celeste degli occhi:
ogni movenza in fascino e forza
è salto d’onda al bruno dei capelli,
ballo al sorriso nel laccio che avvinghia
l’aspettare il tirare d’avvicinare a te
per verità d’amore a cui non sei pronta…
E fino al giorno
che tu scuota e dica:
“non sono così santa
come credi, ho deciso sette
aborti... Dei tanti liberi amori
ho raschiato colpe dal profondo
mio corpo...”
– Quindi un figlio non nato
è la colpa del tuo amore?...
“dai, non fare come mia madre,
a ogni uomo che vedo mi chiede
se voglio fare un altro figlio...”
Henry Ariemma è nato a Los Angeles nel 1971 e vive a Roma. Suoi componimenti sono apparsi su riviste e litblog specializzati. Per Ladolfi pubblicato le raccolte di poesie Aruspice nelle viscere (2016) e Arimane (2017). Con Un gallone di kerosene è risultato finalista (2020) al Premio Int. Gradiva, Anterem, Carver.
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