Nota di lettura a "Ufficio del sole" di Giusi Busceti
Tra tanta poesia che tutta si somiglia fino a rendere indistinguibile la voce dell’autore, Giusi Busceti, come evidenzia anche Maurizio Cucchi nella prefazione a questa raccolta, resta riconoscibilissima nel suo modo di stare nella poesia e di scriverla. Ne è dimostrazione anche Ufficio del sole (Stampa 2009, 2022), suo ultimo lavoro poetico, dove a spiccare è anzitutto un’ottima padronanza del verso e una capacità immaginifica non usuale, poiché Busceti, senza rinunciare mai alla musicalità delle parole, riesce a creare nel lettore un costante effetto di straniamento, accostando situazioni domestiche a scene astratte e associando a ricordi familiari condivisibili e universali moti del cuore personalissimi e profondi, quasi insondabili, resi dicibili solo dalla poesia stessa.
La compattezza dell’opera, suddivisa in sei sezioni (Fisica; Spazio di croce arcana; Orlo a giorno; Ufficio del sole; I ciliegi; Noi risorti) è data anche dal rimando continuo al colore giallo, nominato direttamente o attraverso gli oggetti che ne sono caratterizzati, simbolo di energia, di calore, di luce e, qui, anche di forza; una forza spirituale e, al contempo, materica, esattamente come è lo scrivere di Busceti, che si muove di moto ondivago toccando gli alti e i bassi dell’esistenza umana nei suoi aspetti più apollinei e anche in quelli dionisiaci, dentro un discorso volutamente frammentato, in omaggio alla migliore poesia del Novecento, che pure non impedisce una lettura continuativa e ripetuta.
Se sul titolo ha già detto tutto e bene Paolo Giovannetti, voglio insistere sulla consapevolezza di scrittura di Busceti, dato oggi sempre meno riscontrabile in chi fa poesia, data dalle letture, dai confronti con i maestri (in primis il compianto Giancarlo Majorino), dai dialoghi, dallo studio costante, che in Ufficio del sole, ma già nella sua opera di esordio Sestile (1991), diventano cifra distintiva di un’autrice a cui dobbiamo guardare con ammirazione, anche per l’impegno profuso nella diffusione e nella divulgazione di quest’arte povera e ricchissima allo stesso tempo.
Ed è bene sottolineare che anche in questo lavoro Busceti non si esime dal suo impegno civile, che si fa evidente soprattutto in alcuni testi come Corsia dei Servi o Lamento del Mediterraneo, a testimonianza, ancora una volta, che la poesia degna di questo nome è sempre poesia che sta nel mondo, in uno spazio fisico rintracciabile sulla cartina o in altrove non ben definito, ma comunque in azione centrifuga, e non solo centripeta, rispetto all’io.
La bellezza di quest’opera di Busceti ci ricorda tutto questo, e noi non possiamo che essergliene grati.

Se l’estate non ci viene incontro
fra breve
ci ritroveranno decimati
su questa punta di mezzanotte
dove animali dalle pelli ignote passano
badando a non toccarci. Passano
anche gli elicotteri e si allontanano
di poco, per riflettere. Chi
crederebbe ai nostri occhi?
Per cinquanta minuti una galleria del vento,
disse anche l’ultimo dei sopravvissuti;
ed io, scampata
perché scivolo meglio sui crepacci
sul cuscino immateriale che si gonfia
e si sgonfia nel cuore
e mi solleva, ho in nodo
una spalla slogata: afferrare
per sempre treni e navi fuori tempo, allargare
lo spazio per le vertebre spezzate.
E il cielo?
che da tempo ci copre con dolcezza, questo,
radar sull’arcipelago che trema, è lo stesso
che toglieva il respiro, in altalena.
ATLETICA
1.
Gli asciugamani
non sono danneggiati, giallo i colori
così mia madre con la voce alle porte
con la radio agli albori: io sono dedicata
al millenovecentocinquantanove,
col rapido pulviscolo nel sole
e se un mondo parla allora scrivo,
se lei crede che possiamo irrigare.
2.
Solo questo dolore che mi tengo
uno qualsiasi per tutti
ha il ritmo di poesia
quella bellissima parola
inutile, la panchina
verde degli sguardi
che strinsero e distinsero, io sola
ora dei mari aboliti.
Scegliendo ovest sulla mappa
seguo il cielo, non posso
navigare controsole.
3.
Giovedì mattina con le cose
viene semplicemente, è il momento
di esserci.
Alle cinque in punto
si apriranno, non resta
che cullare il timore con sé,
portarlo in campo.
NUBIFRAGIO
L’ultimo giorno d’innamoramento
ricordo, i bar deserti sul battello
feriale, il primo
della stagione di navigazione.
Niente di qui d’estate si discosta
dai freschi interni, i cassettoni a specchio
dei corridoi, a sud. Ore come
intervallo, solamente, solstizio.
Melograni hanno acceso le giornate
più fredde, ed arance. Ora è
ora, in niente può ingannarmi
il volto che ha
scolpito sulla schiuma della riva
orientale, i capelli
ricadono sul collo, nascondono
la fronte, proiezioni
sulle elezioni, primi raffronti col 2008.
Più crudele dei mesi è questo senza
tempo d’acqua e di pietra.
Infuria un nubifragio il parabrezza.
a Mara C.
sta per sparire questo file, tu avessi
una segreteria, magari tu l’avessi oggi, tu fossi
in un qualunque luogo simile a te, il tuo
mio amore di far crescere cercando
te ho trovato, materia
tra le svolte di questa finecittà d’agosto
che liquefa che liquida da una vetrina all’altra
fra le gonne di nuovo guardaroba smantellare
e valigia da fare, come un
orto ti vedo tra le pieghe
come ringrazio adesso questo pianto in cui
ti trovo piccola isola nell’ora
guarda cuore questa roba
che noi siamo tra le case
solo base per altezza fin da piccole
io credo che tu sappia
cosa ti voglio ti direi se tu
una segreteria telefonica avessi
mentre torna dal vuoto senza di te la tessera,
di tela come mia sorella biondavergine
ora senza preavviso
la sera viene incontro tredicenne, meno male,
la luce riconosco, quei progetti
tra le foglie che presente avvenire
giocondi solo mani come le tue vere
sorreggere alle malesvolte possono,
agli inciampi
che la puntina di zaffiro tenta
su un consunto comunque testo leggere,
non sono più la stessa
e solo per l’estate
che tredicenne mi ha sorpresa
in bella solitudine a cercare, come se ancora
mille futuri fossero a svelare
come in case andaluse cuore di giardino
ti trovo e in questo file
che da qui col mio nome ora scompare
ti salvo, è una memoria
di come sai che mai più sarà stato
tu sai che può cambiare anche il passato
CORSIA DEI SERVI
nel giorno della Liberazione
I.
Al più invisibile dei complici il gaudio
che folla del secondo pomeriggio
riversa al largo della Corsia dei Servi
transita aprile esultante a sollevare
tramontanella giù dal cielo gotico
che staglia sole ] e su! sole alle guglie
e giù strisce di corpi scoperti
dalle maglie che dicono: s'impazza
questa primavera, è nostra, qui, si
scorre dall'aperto lucente per virtù
della pioggia trascorsa tra fontane e
piazza duecentomila per sessanta
volte dal Venticinque di Milano,
gelati sgocciolanti e rose
tessute nell'arcobaleno, era il trionfo
del vento, pianto il pianto, di pace
in vespro sul corteo delle nuvole.
II.
Alle spalle il Portale, qui nell'ombra
staffette scambiano messaggi
col più non visto dei complici, è
un balenìo d'intesa a fondo campo,
raddoppio, è questione di vita, qui
e ora per allora, ma trattiene
e alza a campanile, ora perché?
Gioco fermo, sospendo e la consegna
affido al ponentino: incredule due mani
superstiti e semplici persino
e già sera si fa come ogni sera
sotto il glicine, fiorito sia o sfiorito.
III.
Alle spalle il Portale
tra una persona e l'altra solo luce.
Ma l'azione sospesa che non so
inciampa nei cartoni sui gradini
smessi, o città della notte!
mescola cuori ai portici occidente
maleodori edicole rabarbaro:
dolenti in questo tempo
opulento degli adorni migranti
o caduti invisibili dai nidi
o mirabile ola d'ogni tinta,
stupore a prima luce su ogni ramo
aroma ora di ogni ieri deserto
offro al mio complice angelico che
guizza a sorpresa, è il via, aggancia, stoppa
e in rovesciata il contropiede scaglia
in profondità, filtrata la difesa, acrobazia:
il lontano è prossimo adesso, assist, è qui,
gettano insieme figli rampicanti
l'unica lingua dei colori balza
di testa, occhi, amore è mischia in area,
volteggia nello specchio della porta
è la rosa improvvisa il sempre nostro
primo tempo di clima spazza giorni.

Giusi Busceti è nata e vive a Milano. Si è laureata in Scienze Sociali all’Università Cattolica di Milano e specializzata in psicoterapia. Ha pubblicato le raccolte poetiche Sestile (1991), A nucleo perso (2007), Buio selvatico (2017). Suoi testi sono apparsi su varie riviste e antologie, tra cui Italian Poetry 1950-1990 (Dante Univ. Press, Boston 1996) Vertigine e Misura (2008), Chi ha paura della Bellezza, a cura di T. Kemeny (2010), Perturbamento (2017), OmbraLuce (2019). Ha collaborato con le Edizioni Corpo 10 di M. Coviello, alla collana di poesia Niebo diretta da M. de Angelis e alla rivista «Manocomete» di G. Majorino. È ideatrice e curatrice di numerose rassegne e manifestazioni realizzate dalla Casa della Poesia al parco Trotter di Milano, di cui è presidente.
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