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"I Fumetti di Alma" (XIII Appuntamento)

Immagine del redattore: Andrea BraminiAndrea Bramini

TRACCE DI POESIA IN SUPERMAN E BATMAN

 

Analizziamo “Kryptonite”, di Darwyn Cooke e Tim Sale, e “Cos’è successo al Cavaliere Oscuro?”, di Neil Gaiman e Andy Kubert, per cogliere gli spunti poetici nelle figure di Superman e Batman.



Quando si pensa al connubio tra fumetto e poesia, il pensiero corre quasi immediatamente a certe graphic novel intimiste o in qualche modo ricercate, opere perlopiù autoconclusive nelle quali l’autore inietta in una vicenda e in personaggi creati per l’occasione elementi in grado di “elevare” pensieri e dialoghi.

Difficilmente si pensa ai fumetti di supereroi, visti di contro come intrattenimento “cheap”, di pura azione e nei quali ben poco spazio possono trovare soluzioni più eleganti e una pur generica ricerca di profondità; scazzottate e battute, insomma.

 

Tale visione è però decisamente fuori fuoco e anacronistica: da ormai quarant’anni il linguaggio fumettistico si è evoluto in maniera irrequieta e curiosa, dimostrando che una suddivisione così manichea non corrisponde al vero e che anche i comic book con protagonisti tizi in calzamaglia possono essere un felice tramite per esporre concetti di un certo peso in ambito filosofico, etico e perfino poetico.

In DC Comics, in particolare, non mancano avventure che hanno avuto modo di sfruttare strumenti propri della poesia per mostrare gli eroi protagonisti sotto una luce diversa: concentrandoci sulle due icone più note della casa editrice, vale a dire Superman e Batman, c’è a ben vedere buon gioco nel poter impostare delle trame sulla natura aliena del primo, per molti versi più umana di molti terrestri, e sulla totale abnegazione alla sua missione del secondo, e diversi fumettisti hanno provato a collocare questi due miti della narrativa popolare all’interno di vicende che esaltassero questi aspetti.

 

Kryptonite: l’estrema umanità dell’alieno

“È quasi perverso. Comprendere che qualcosa può farmi del male e forse persino uccidermi dovrebbe terrorizzarmi.

Invece, penso solo a quanto il mondo sia splendido.

Mi prenderebbero per matto. Voglio scendere giù a dire a tutti: ‘Io sono come voi! Sono mortale! Sono umano!

Non sono un diverso, non sono un superuomo. Sono solo un uomo’.”

 

Questi pensieri di Superman – che assumono quasi la forma di un’ode - riassumono efficacemente quello che è il cuore tematico di Kryptonite, storia in cinque parti scritta da Darwyn Cooke e disegnata da Tim Sale, uscita nel 2007 per la collana Superman Confidential.

Attraverso il filo rosso condotto - apparentemente - dai monologhi di un grosso blocco di kryptonite verde, materiale in grado di indebolire fatalmente il protagonista, lo sceneggiatore svolge una trama ambientata nel primo periodo di attività del supereroe, contesto perfetto per mostrare un Clark Kent già a Metropolis ma ancora legato alla placida Smallville in cui è cresciuto, fotografando quindi un momento di passaggio nel quale è sostanzialmente alla ricerca di sé stesso.

Ha già scoperto le sue origini extraterrestri, il suo nome kryptoniano e la natura dei suoi incredibili poteri; ha già deciso di usare questi doni per fare del bene al mondo indossando un costume per celare la propria identità e compiere le proprie imprese; ma deve capire come si colloca nella sua realtà, quanto il suo retaggio alieno lo distingua dai terrestri e quanto invece possa essere addirittura “più umano degli umani”, incarnando alcuni dei valori più alti della nostra civiltà, diventandone un distillato purissimo.

 

Negli anni queste caratteristiche da boyscout hanno fatto apparire l’Azzurrone meno interessante agli occhi di una certa fetta di lettori, alla ricerca di eroi più ambigui e meno positivi a tutti i costi, ma opere come Kryptonite possono riappacificare il pubblico con il personaggio: tutt’altro che perfetto, Superman appare qui come una figura tormentata, non del tutto a suo agio nel ruolo che si è scelto, scisso tra il desiderio di passare del tempo con la donna che ama e l’obbligo morale di intervenire dove c’è bisogno delle sue capacità.

Al tempo stesso, come un adolescente, è impegnato a testare i propri limiti, fisici e mentali, in una sorta di gara con sé stesso che serve a definire l’uomo che verrà. L’uomo, non il superuomo.

In questo senso Superman, più di altri, ha una forte componente poetica nelle sue motivazioni: se c'è qualcosa in lui di poco umano è proprio la nobiltà che lo contraddistingue, oltre alla totale assenza di complessi di superiorità (che sarebbero perfettamente giustificabili dai suoi superpoteri, semidivini) e la completa disponibilità verso il prossimo.Non è un eroe perché deve, ma perché può.

 

Attraverso il confronto con Lois Lane, con i suoi genitori adottivi, con il suo giovane amico Jimmy Olsen, con il suo avversario Lex Luthor e infine con l’eredità del suo passato, filtrata dall’incontro con la kryptonite del titolo, il protagonista costruisce la sua individualità e abbraccia entrambe le sue nature:

“Dite quello che volete sulle debolezze. Sono loro a rendermi umano.”

 

La resa di questa amalgama di sensazioni viene trasmessa in una storia che non lesina sugli elementi tipici di un racconto supereroistico, tra battaglie, strani villain e un pizzico di retorica squisitamente americana, ma veicolata attraverso dialoghi molto sentiti e dotati di una loro musicalità. Le parole sembrano essere soppesate attentamente da Cooke, conscio della delicatezza dei discorsi affidati ai personaggi in scena, che toccano determinate corde emotive.

In queste atmosfere eteree è sensibilmente aiutato dai disegni di Tim Sale: lo stile dell’artista è immediatamente riconoscibile per la sua linea morbida, per una resa quasi caricaturale di volti e fisicità umane e in sostanza per una sintesi nel segno voluta ed esasperata, che dona un’eleganza unica ai suoi lavori. Il risultato è un’estetica deliziosamente retrò, carezzevole e capace di settarsi su diverse inflessioni a seconda dei vari passaggi della storia: in questo caso i flashback con il racconto in prima persona del blocco di kryptonite sono raffigurati quasi con un filtro che rende le linee meno definite e che colora di un grigio malaticcio la palette cromatica di quelle pagine.

Lo studio dei personaggi in quest’ottica è fortemente evocativo: concentrandoci su Superman, possiamo notare per esempio come l’eroe appare “gonfio”, in un ingombro delle vignette che non lo rende imponente quanto piuttosto fuori posto, addirittura goffo nei panni del suo alter ego Clark Kent, trasmettendo una sensazione perfettamente coerente con quanto raccontato.

 

Per chiudere, tornando alla scrittura di Cooke è bene soffermarsi su quei soliloqui provenienti dalla kryptonite a cui si alludeva poco sopra: l’autore dona infatti a quelle considerazioni una forma molto letteraria se non propriamente poetica, esito aiutato anche dalla scansione delle didascalie in cui vengono articolati i testi e che possono ricordare la struttura a versi di una poesia:

 

“Galassie di esperienza e informazione mi portano a una comunione assoluta con tutti gli esseri senzienti.

Il controllo è un’illusione.

Potere e gloria sono effimeri.

Vengono spesso abbattuti dai giusti.

Ma la rivelazione non è la salvezza.

[...]

Amore. Potere. Vendetta.

Follia.

… nient’altro che note discordanti nella sinfonia dei cicli del carbonio.”

 

Cos’è successo al Cavaliere Oscuro? Un’esperienza pre-morte per Batman

Se la poesia, tra le altre cose, è anche un mezzo con cui indagare meglio noi stessi e i grandi temi della nostra vita, un fumetto in cui il protagonista deve confrontarsi con il concetto della morte può facilmente diventare un buon connubio tra i due linguaggi.

 

Tra il 2008 e il 2009 lo scozzese Grant Morrison stava scrivendo una lunga gestione sulla testata Batman che raggiunse il proprio climax con la - presunta - morte dell’Uomo Pipistrello.

La DC Comics ne approfittò per commissionare allo scrittore e sceneggiatore inglese Neil Gaiman una storia “immaginaria” incentrata proprio sulla scomparsa dell’eroe di Gotham City.

L’autore, noto per la sua propensione a toni dark e per una certa profondità di temi e linguaggio, affronta la sfida scrivendo un fumetto fuori dal tempo e mettendo in scena una specie di farsa, nella quale sfilano i principali comprimari e nemici di Batman per ricordarlo durante il suo funerale, al quale il defunto assiste da qualche luogo metafisico in compagnia di una donna misteriosa.

Ciascuno di loro racconta però una diversa versione della sua morte: spesso contraddittorie, spesso improbabili, a volte decisamente impossibili, ma tutte in grado di dire qualcosa su chi le racconta e soprattutto sul protagonista.

 

“Ho imparato che non importa quale sia la storia, alcune cose non cambiano mai.

Perché anche quando non stanno parlando di me, lo fanno comunque.

Perché stanno parlando di Batman.

Batman non accetta compromessi.

Rendo questa città più sicura…

dovesse anche esserlo per una sola persona…

E mai

Mai

Rinuncio

O mi arrendo.

A volte cado in battaglia.

A volte muoio in grande stile, coraggiosamente, nel salvare la città da qualcosa che vorrebbe distruggerla.

A volte è una morte piccola, paradossale, che passa inosservata… Muoio salvando un bambino da un incendio, o affrontando un borseggiatore spaventato.

Tutto cambia. Nulla resta uguale.

Ogni amico mi tradisce, prima o poi, e ogni nemico diventa un’amante o un amico, ma c’è una cosa che non cambia:

non mi arrendo mai.

Non posso.

Io sono Batman. Proteggo questa città. Salvo la gente. Indago sui crimini. Veglio sugli innocenti. Punisco i colpevoli.

E lo capisco.

Cioè, lo capisco davvero.

La fine della storia di Batman è che è morto. Perché, alla fine, Batman muore. Cos’altro dovrei fare? Ritirarmi e mettermi a giocare a golf? Non funziona così. Non posso. Combatto finché non cado. E un giorno, cadrò.

Ma fino ad allora, combatto.”

 

Questa lunga riflessione si pone non solo come una summa più che condivisibile sull’essenza di Batman, ma anche come un’ottima prova autoriale da parte di Gaiman, il quale nel dosare le pause, gli “a capo”, le ripetizioni, la punteggiatura e la posizione sulla pagina delle didascalie che contengono queste frasi, compie un’operazione a tutti gli effetti poetica, nella quale la sua prosa fa uno scarto verso una vera e propria narrazione in versi.

 

La suggestione poetica prosegue poi nella risoluzione dell’intreccio, quando viene data una spiegazione all’impossibile messo in scena dall’autore ma soprattutto viene esplicitata la sua visione del Cavaliere Oscuro: senza rivelare i dettagli dell’idea gaimaniana, basti dire che si potrebbe parlare di un “eterno ritorno” alla Nietzsche, un’espressione al contempo narrativa e metanarrativa del personaggio e della sua eternità intrinseca che eleva quest’opera, soprattutto nell’ultima decina di pagine in cui la narrazione si fa particolarmente intensa.

 

Merito certamente anche dei disegni di Andy Kubert: l’artista compie un lavoro eccezionale, decidendo di contaminare il proprio stile con quello dei più grandi disegnatori che si sono avvicendati sul personaggio nel corso dei decenni. I dettagli dell’aspetto di Batman possono quindi cambiare anche di vignetta in vignetta, rimandando a varie fasi della vita editoriale del personaggio: fogge diverse del costume, orecchie a punta che diventano più lunghe o appena accennate, simbolo sul petto di varie forme, così come il modo di scolpirne la fisicità. Operazione che viene estesa anche ad altre figure del pantheon batmaniano, come Catwoman, Joker o Due Facce.

Altri passaggi degni di nota sono rappresentati dalla griglia: piuttosto regolare nei primi tre quarti del volume, conosce nella parte finale una buona fantasia nella composizione, che può racchiudere le vignette all’interno dell’ala di un pipistrello o nella silhouette del cappuccio del Cavaliere Oscuro, soluzioni suggestive e di un certo impatto.

Nelle ultimissime tavole la cornice diventano le pagine di un libro tenuto in mano dal Bruce Wayne bambino, che porta il lettore alla conclusione del fumetto: il tomo in questione è infatti il “Libro della buonanotte”, classico volume di filastrocche per la nanna dei più piccoli che in questa esperienza pre-morte si amplia a tutti gli elementi che caratterizzano la vita di Batman, dove la buonanotte assume il sapore di un addio.

 

“Buonanotte, casa.

Buonanotte, batcaverna.

Buonanotte, dinosauro meccanico.

Buonanotte, penny gigante.

Buonanotte, batmobile.

Buonanotte, Alfred.

Buonanotte, Ragazzo Meraviglia.

Buonanotte, Joker.

Buonanotte a tutti voi,

Buonanotte, Jim Gordon.

Buonanotte, Gotham.

Buonanotte, batsegnale.

Buonanotte, stelle nel grande cielo notturno.

Buonanotte.

A presto.

Buonanotte.”

 

Neil Gaiman ricalca efficacemente la litania di questo tipo di produzioni e gioca sul fascino della ripetizione che, se nelle intenzioni originarie dovrebbe conciliare il sonno dei bimbi, in questo caso assume un ritmo quasi ipnotico e carico di malinconia.

Interessante anche la scelta di porre il “Buonanotte a tutti voi” non come ultimo verso ma in mezzo alla declamazione, seguito da altri ulteriori saluti non meno importanti: l’effetto è dissonante ma chiaramente voluto, come se ci si trovasse in un flusso di coscienza privo quindi di una vera e propria direzione compiuta e preparata.

Un’operazione di mimesi con l’anima di Batman che colpisce nel segno e che mantiene una sua cadenza poetica, tanto nella forma quanto nella sostanza.

 

Figure apparentemente leggere e “chiassose” come i supereroi possono quindi riservare sorprese in un pubblico pronto ad affrontarne la lettura solo in un’ottica disimpegnata; la realtà è che la differenza la fanno gli autori che se ne occupano e che questi personaggi possono comunicare una gamma di emozioni molto più ampia di quanto si creda, portatori di tematiche importanti anche in forma di poesia.

















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