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Immagine del redattoreSara Vergari

Nota di lettura a "Silenzio armato" di Franco Castellani

Silenzio armato (Marco Saya, 2022) di Franco Castellani comunica, come ci suggerisce il titolo, un dolore che nel tempo si cementifica in silenzio, scavando un solco dentro di noi, rendendoci un calco di quella stessa sofferenza. Eppure, questo silenzio, chiuso nel suo fortino, ha una possibilità di esternazione, ed è il canale della poesia, che con le sue mani alate lo strappa all’incancrenirsi e permette all’Io di compiere un viaggio di attraversamento, quale saranno le tre sezioni del libro. Non a caso ho citato le mani, immagine con cui Castellani tiene ancora a sé ciò che ha perso, dispositivo che lega la dimensione reale a quella allegorica, simbolo forse della poesia stessa: «Mi dici con le mani / che il mare porta sulla costa», «Ho sentito il tuo cuore / stringermi le mani», «le mani / disordinate, le anime scomposte». Nella prima sezione, “A filo di pietà”, a filo di montaliana memoria già nel titolo ma anche per stile e sistema fonico, la presente assenza della donna perduta si riverbera in ogni cosa ed è forte il senso dell’abbandono definitivo Stanto da creare un canto di assonanze, di sguardi, di movimenti atmosferici e di luce. La seconda sezione compie un passo avanti, è la possibilità di raccogliere ciò che il dolore concede, di compiere un’analisi, di lasciarsi andare entrando in dialogo con il sé: «La nuda verità ho cercato in fondo / alle parole per scovare un’altra / notte, e non si può». Si passa la colpa, il perdono, l’assoluzione (sono titoli di singoli componimenti), la riappropriazione del proprio Io se pur deformato dal dolore, la scelta di guardare avanti: «Quarant’anni per sillabare tutto / il silenzio: un verbo o l’altro adesso, / purché sia tutto». L’ultima sezione, “Quel che resta”, contiene i testi di maggiore tensione, dove la parola ora ha un senso più grave, più pesante da pronunciare. Come la pietà, che entra in questi testi finali, ha una forza allo stesso tempo centripeta e centrifuga ed ha il senso di una tregua, come nella poesia finale “Indulgenze”: «E adesso puoi calare sulla notte / il sipario e diramare ogni palpito / verso il tempo, porre fine al silenzio / e rinascere pallido e addormentato».



A un filo di pietà


È nata buia la mia strada

ma tu l’hai riscaldata

con la luce naturale e con le ombre,

una gettata di colori che dirada


Anche i cani si fermeranno,

anche i treni ma dove

andrò adesso che è inverno

e lo stupore è spento?


L’acqua dei rovai ci unirà a un filo di pietà

mentre dormi, mentre porti la notte

a compimento (il sonno è mareggiato

se tu passi e trattieni tra le dita

il filo della strada)


Anche il sole ci unirà, anche il tempo,

ma presto il vuoto brucerà nelle nostre mani

e sarà pieno tutto quello che sai

Quando m’alzerò di notte


e guarderò le strade senza nome

i muri saranno freddi al vento

e i fiumi addormentati

saranno un cielo aperto senza te


*


Non ti voltare adesso


Anche la notte ha il suo pudore di stelle


Accogli l’alba

con la sua pietà di luce

come risarcimento

e dagli un respiro


Accogli la pietà con la sua giusta luce


Togli lo stupore al peccato

che ha rovistato inutilmente

ogni notte


Non affastellare più errori su errori


È richiesto il dominio, quello vero,

adesso


Che sappia guardare al tempo

senza più accuse o recriminazioni


Che sappia trovare l’uomo

in ogni sguardo ferito


Non cedere più al dolore di un verbo inutile


E adesso voltati, finalmente



Indulgenze

a Fabio


E adesso puoi calare sulla notte

il sipario e diramare ogni palpito

verso il tempo, porre fine al silenzio

e rinascere pallido e addormentato


La pioggia che l’arcobaleno umido

innesca sulla Greve ti assomiglia,

sarà così anche la storia domani

e il pescatore sulla chiglia

riversa la sua rete

e non aspetta niente


Adora il tempo adesso

con la giusta pietà che non perdona

alla tua voce il silenzio e rimetti

verso te stesso la calda innocenza

per la crudeltà commessa


La vendetta sarà senza peccato


Franco Castellani è nato a Firenze. Nel 2015 ha pubblicato la raccolta poetica Niente mai (Marco Saya Edizioni) con prefazione di Natascia Tonelli, recensita su «La lettura - Corriere della Sera» e su «Avvenire». Ha ottenuto riconoscimenti in diversi premi letterari. Suoi testi sono apparsi su riviste («L’immaginazione», «Semicerchio», «Paragone») e antologie. Ha pubblicato articoli di natura filologica e di critica letteraria.

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