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Immagine del redattoreLuca Gamberini

Nota di lettura a "Rosette (quartiere cosmico)" di Daniele Beghè

Spesso accade di scegliere un libro a partire proprio dal titolo. Come pure l’esatto contrario. E quanto è difficile per un autore trovare quella o quelle parole, quel sintagma abbagliante in grado di raccontare per conto terzi. Dare i titoli ai libri. Forse un giorno a qualche docente verrà voglia di farci un corso universitario. Perché è difficile. Eppure Daniele Beghè ci riesce. Appieno. E non è un caso che questa nota di lettura, avviata ormai da qualche riga, sia ancora come focalizzata lì: sulla parola “Rosette”. Cercate su Google e badate bene: farete fatica a districarvi tra tutte le foto di piatti, di pani, di cibo. E invece no. Rosetta è un elemento decorativo. A Bologna, in Piazza Maggiore, le colonne del Palazzo del portico del Palazzo del Podestà ne sono decorate con grande dovizia. E proprio in una di queste, nascosta tra le altre, vi è istoriata la storia di un presunto muratore/operaio dell’epoca che per scherzo o gioco, probabilmente, volle variare dalla elegantissima monotonia delle altre rosette accanto.

Può sembrare una inutile divagazione questo perdersi tra i portici bolognesi. Ma non è così. Perché le poesie di Beghè partono proprio dal contesto emiliano, padano. Aggiungo: zavattiniano e ghirriano. Tenendo sempre ben stretto il portato poetico dal maestro Giovanni Raboni, presente in filigrana con il suo portato tonale.


Dirigendo ora lo sguardo al testo proposto, Beghè mostra una altissima capacità descrittiva in ciascuna delle rosette nelle quali ha suddiviso il testo. Artigianato poetico e meccanica ciclistica sono la cifra che lo distingue: una traduzione puntuale del reale circostante.

E può esistere forse qualcosa di maggiormente materico e concreto della casa? Di una abitazione? È questo infatti uno dei temi ricorrenti delle prime sezioni, Abitazione principale, Pertinenza dell’abitazione e Condominio.

Tra gli squarci provocati dalla pandemia nelle nostre vite, si snoda la dicotonomia sé-alterità. Sullo sfondo Parma, il tessuto sociale, rurale, dialettale, una bicicletta quale strumento di esplorazione circostante.

Lessico medico e lessico edilizio si intervallano con la parlata emiliana e con l’arte della riparazione, ovvero quell’artigianato bottegaio di una poesia tra le mani. Torna alla mente Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, di Pirsig, richiamato da un titolo molto emblematico: Arte della manutenzione del ciclista.

È chiaro che questa bicicletta sia una metafora fortissima. Torna. Onnipresente. Ma sta qui la forza di Beghè. Fornire strumenti concreti per andare poi altrove. In contesti ben più complessi.



Officina


Dietro questa bascula

sverniciata splende la mia officina.


Appesi al quadro sopra il banco

pinze, estrattori e chiavi a brugola,

un tiraraggi, un ferro

per smagliare la catena,

la foto di una tundra brulla

dove nulla manca.

(neppure il flash di un topinanbur giallo)


Se entri ti mostro l’arte della riparazione.


Con la sezione successiva, Quartiere, e con la seguente POV Bar Tabaccheria Galaxy, inizia lo studio antropologico-poetico che porta a viaggiare tra personaggi e paesaggi sempre più nitidi:


Apertura


Novembre sono le sei, buio in sala.

Arriva il capo alza la saracinesca

pulisce i becchi argentati,

si fa un caffè. Ecco il pensionato

ottantenne, fa le consegne per il forno,

ha il naso triste, beve un bianco.

Alle sei e un quarto, arriva il prof.

che va in stazione: saluta con gli occhi ,

non ordina, beve caffè senza zucchero,

lascia l’Euro. Preserva la voce e scappa.

Entra bionda sui tacchi la barista

russa, tocco esotico. Sorride, ammicca


Sono questi, in particolare, della luce zavattiniana, delle pose ghirriane e degli echi raboniani. Sono queste le pagine del lessico diretto, schietto, “saracinesca”, “ammicca”.

La parola di Beghè è rivolta direttamente al lettore che la prende come cibo all’apparenza ruvido, non limato, ma tuttavia così pieno di sapore e veridicità.

In Pianura la presenza di Cesare Zavattini è ormai dato di fatto, l’esergo lo chiama direttamente in campo. Il vedutismo emiliano romagnolo esce dal testo e diventa visibile. Paesaggio in divenire, in costruzione, metamorfosi sociale. Geografia della popolazione, densità del moderno e del post-moderno.


Cancello (omaggio a Luigi Ghirri)


Nella pianura di colpo ho visto

le forme del mondo dietro un cancello

aperto su cristalli umidi, tutti uguali,

microscopici. Si proietta un film

sulla pancia larga della nebbia: un uomo

avanza su una bici gialla in questo piano

che non inclina mai dalla parte della fine.


La decostruzione e la ricostruzione. Non soltanto visiva, fuori dal finestrino – sembra di viaggiare su un Frecciarossa che taglia la pianura. “Foraggio” e “sacre vacche” popolano questa sezione così intimamente ruggente, vibrante di tonalità coloristiche.

Con Oltre il margine ci avviamo verso quella che potrebbe essere definita la seconda parte; persistono colori e paesaggi, luoghi che si fanno densi di significato. Il lessico insiste spesso sulla realtà circostante. Di fatto l’autore è un esploratore-conoscitore che destrutturando la realtà la offre piena dei suoi valori – diremmo così – nutrizionali, che altrimenti al lettore non sarebbero edibili, commestibili. Topografia emiliana si sussegue per arrivare poi alle ultime sezioni: La Vistola ciclabile, Quartiere cosmico.


Nella prima, che è un reportage di viaggio in Polonia, – di qui il richiamo al fiume Vistola – trova spazio la dicotomia passato/presente, mutamento, evoluzione, globalizzazione. Da notare sempre il contesto cittadino, urbanizzato, antropomorfo.


Ritorno a Cracovia


Al netto del pessimismo dei poeti

il tempo va e viene senza direzione.

Torno a Cracovia vent’anni dopo.

La ricordo trasandata e splendida

con la polverosa civetteria di una vecchia

risparmiata dalla guerra. La ritrovo,

io invecchiato di vent’anni, lei ringiovanita,

tirata a lucido con il trucco dei quattro

MC Donald’s vicino alla piazza del mercato.


E chissà se in questi anni, passati

attraverso di me senza ritegno,

quel ricordo mi avrà donato un po’

di quella civetteria nell’invecchiare.


La chiusa della raccolta è allora affidata al ritorno metafisico – in chiave vegetale – di quell’equilibrio geometrico che ogni singola rosetta ha sin qui rappresentato. Siamo partiti dal cosmo e torniamo alla terra, al vegetale, al corpo umano: in questo e di questo si caratterizza Quartiere cosmico.


Frattali


Ho sentito alla radio un’astrofisica

parlare del nostro quartiere

cosmico ed ho pensato


a queste quattro strade a perpendicolo

alla cima di un broccolo romano

alla geometria dei frattali.

Lei che osserva col telescopio starways (to heaven ?)

e buchi neri ed io che tasto toponomastica

e buche nere d’asfalto.

in un gioco

grande/piccolo - chiaro/scuro

che si ripete come un otto rovesciato


in un gioco

grande/piccolo - chiaro/scuro

che si ripete come un otto rovesciato.


...............

.......................................

.................................................



In Ultima rosetta troviamo infine la preghiera laica che il poeta affida ai lettori:


Che strada sceglieranno queste parole

per allontanarsi da me? Forse andranno

a rintanarsi su una libreria polverosa

o alla biblioteca comunale, fra mille

altre scartoffie. Se saranno belle

e fortunate un colto signore,

ogni tanto, le riesumerà.

A me piacerebbe vederle surfare

sulle onde del lago, coi piedi nudi

correre su aiuole fiorite,

saltare allo stadio fra la folla

e finire la serata al pub

con gli amici. Davanti ad una birra

attaccare pezze agli sconosciuti.


Abbiamo viaggiato, attraversato equilibri e spazi dissimili, ma alla fine l’auspicio che Beghè si lascia quasi scappare, come dopo una serata con gli amici al pub, è proprio questo: la normalità e il senso del transito, del che cosa, l’archetipo che unisce tutta l’umanità da sempre. Con “pezze agli sconosciuti” si chiude anche l’immaginario emiliano di quel vocabolario attinto così a piene mani dal quotidiano, dal reale, dal prossimo. Una poesia di prossimità e di metafisica.


Daniele Beghè è nato a Parma, dove vive. Ha frequentato il liceo scientifico e poi si è laureato in Economia e Commercio. Dopo alcuni anni di lavoro alle dipendenze di un’azienda privata, dal 1994 è attivo nell’ambito della formazione professionale in campo economico e giuridico. Le sue poesie sono presenti in diverse antologie. Nel 2016 ha pubblicato la sua opera prima Galateo dell’abbandono, come premio in seguito alla vittoria del concorso per sillogi inedite indetto dall’Associa-zione culturale Tapirulan di Cremona. Ha vinto il “Premio Speciale del Presidente della Giuria” al con-corso INTERFERENZE del festival BOLOGNA IN LETTERE. Nel 2018 ha pubblicato il libro di poesie Quindici quadri di quartiere ed altri versi (edizioni Consulta libri e progetti di Reggio Emilia). La pubblicazione è il premio riportato per la vittoria del concorso per inediti dedicato all’intellettuale e poeta reggiano Luciano Ser-ra. Alcune poesie da Galateo dell’abbandono sono state tradotte dal-la poetessa francese Marilyne Bertoncini e pubblicate in Francia sulla rivista “Recours au poéme”. Nel 2020, la sua silloge breve Boomerang è stata pubblicata nel Quarto repertorio di poesia italiana contemporanea, edito da Arcipelago Itaca.

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