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  • Immagine del redattoreElena Verzì

Nota di lettura a "Quasi madre" di Rita Pacilio

«Dimmi sono degna?» in questo verso è contenuta la struggente difficoltà di raccontare un rapporto complicato come quello tra madre e figlia. Quasi madre di Rita Pacilio, pubblicato per peQuod nel 2022, è un libro denso, colmo di dolore: «spalmo sul viso / la tristezza per tremare ogni mutilazione» «stringendo tra le mani ogni lamento». È un libro senza limiti né filtri. C’è la durezza della vita che sconvolge le esistenze di chi assiste alla tragedia di quel processo di degenerazione al quale può andare incontro la mente: «Potessi smettere di sentire l’odio / che agiti nella testa vecchia, / mi chiami tre volte, mai con il mio nome», « ti lamenti e mi fa male il cuore».

Il costante tu poetico, rappresentato dalla figura della madre, si appropria delle poesie prendendo spesso la parola, pur non aspettando risposte, pertanto questo dialogo intimo e profondo trova un muro e la comunicazione si ferma di fronte alla malattia: «Mi vorrei uccidere e maledico la morte!».

Quasi madre non è una raccolta personale di poesia confessionale, Pacilio si fa portavoce della condizione di «figlia del vero» e dell’influenza della figura materna nel percorso di crescita dei figli. Tra i versi compaiono anche ricordi felici e di speranza: «Benedirò con ogni benedizione / le betulle di mio padre / i cristallini riflessi sulla pioggia soleggiata / la speranza in continua trasformazione / tra il bianco latte del tronco e la libertà», e il senso di accudimento e protezione verso l’involuzione della genitrice: «ti stringerei forte!». In Quasi madre Pacilio affronta questo tema senza timore e usa uno stile colloquiale, volendo usare le parole di Piero Marelli nella postfazione compone «una poesia della parola quotidiana, una sabiana poesia onesta», riuscendo a donare all’universalità del dolore la voce che tutti vorremmo far ascoltare: «Se fossi qualcosa da amare / entrerei nelle parole della gente».



Ha nascosto i panni in una busta

l’infermiera si ferma più avanti

e la lascia fare: Portali a casa,

qui non devono stare!

Si sente l’eco cristallina verso l’alto

qualcuno chiede la bambola per dormire

piega il colletto della camicia

come una vena rotta e mi guarda

quasi madre

disabitata con la testa curva, aspra

disperata.

Dunque tocca a me tornare all’origine

affrontare la barriera dell’orgoglio

scongiurare che lo squalo mesto e sordo

possa ingoiarmi intera.


*


Per venirti a trovare scommetto

con la strada e con le curve

di non segnare limiti, non frenare

quindi dico a me stessa di andare piano

perché in fondo sei ferma lì davanti

alla veranda: Vieni più vicino fatti toccare.

Si squarcia il corpo anche se nessuno parla

tu hai coltelli al posto delle mani:

Hai rovinato tutto, hai rovinato tutto

mentre nel vialetto un’altra figlia piange.


*


Io stava come quei che ‘n sé repreme*


Se fossi qualcosa da amare

entrerei nelle parole della gente

stordita dall’invocazione dei beati

patirei l’efferatezza dei tramonti

il grido e l’intimità dei monti

sollevando il fregio dei sogni sommersi.

Alla testa calva dell’anima dei monaci:

dimmi, sono degna?

Se cadessi direttamente dal cielo

resterei fragile e invisibile nell’aria

mezza rotta, senza armonia

e attraccherei il mio nome

a ciò che resta del tuo seno santo

all’aurora rischiarata dalle stelle.


* (Dante Alighieri, Paradiso Canto XXII v. 25)


Rita Pacilio è nata nel 1963 a Benevento e vive tra le colline sannite. Si è formata presso l’Università degli Studi di Napoli con specializzazione in Mediazione familiare e conflitti interpersonali. Si dedica alla scrittura poetica, alla narrativa, alla letteratura per l’infanzia, alla saggistica e alla musica. Direttrice del marchio editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. Rita Pacilio è ideatrice e curatrice di numerosi Festival dedicati alla poesia. Con Giuseppe Vetromile cura il Festival della poesia lungo la via… un altro modo di dire poesia.

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