Nota di lettura a "Paradiso" di Stefano Dal Bianco
Paradiso di Stefano Dal Bianco (Garzanti, 2024), che ha da poco vinto il Premio Strega Poesia, segna con piccoli passi il cammino di colpa e di consapevolezza che porta il personaggio narrante a spostare l’attenzione dall’egoismo del sé agli infiniti altri linguaggi con cui il circostante ci parla. Anche solo guardando fuori dalla stessa finestra di casa si può allora vedere che “tutto si trasforma grandemente”, molto più di quanto non faccia l’essere umano. Il cammino per i boschi e i borghi delle colline senesi dove abita l’autore viene condotto insieme al cane Tito che, in quanto specie animale, ha inconsapevolmente molto da insegnare. La sua vicinanza alla terra e alla natura non è solo fisica ma anche morale, così come la sua connessione e il suo soddisfacimento. Per Tito il paradiso è lì dove già è, dove si può giocare, correre e annusare, a differenza dell’uomo, che cerca il suo eden in un altrove sempre più lontano: «e Tito ha il naso rasoterra / tutto il tempo perché tutto / profuma di qualcosa / e io ho il naso per aria / perché il profumo è altrove, / perché niente mi basta sulla terra». Abbandonarsi al cielo, al movimento del giorno e della notte, alle sorprese che la natura ci riserva se a lei ci affidiamo sembra la strada suggerita per stare al passo con un tempo fuori da questo tempo ma autentico, se pur non privo di domande e di misteri. In questo stare non è più il linguaggio della parola a dominare, che infatti non mira al lirismo ma rimane descrittivo di quanto succede durante le giornate di passeggio ora che si susseguono le stagioni dell’anno. Ciò che di salvifico si dispiega tra le semplici parole di questi testi ha a che fare con un’immedesimazione che porta il lettore stesso a lasciarsi andare al sentire della natura.
Il cielo è completamente vuoto questa notte
perché la luna di febbraio è abbagliante
e cancella le stelle
mentre qui sulla terra
gli alberi e le siepi e l’asfalto della strada
si stagliano potenti
e ci chiedono di stare
a occupare lo spazio che incombe
come se fosse un’orbita possibile
questo girare e camminare senza firmamento.
*
Andavo per stradine e per sentieri
con il mio cane Tito stamattina
e gli tiravo i sassi,
che è il suo gioco preferito
quando siamo nel bosco:
li cerca e li trova con l’olfatto soltanto
e poi li lascia dove sono, senza
riportarli e mi guarda
e attende un altro lancio.
Così per così tante volte
che il mio braccio si stanca e io lo imploro
di non guardarmi più così,
di esentarmi da quella fiducia
che mi inchioda in un ruolo
tanto difficile da sopportare.
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