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Immagine del redattoreValentina Demuro

Nota di lettura a "Macula" di Letizia Polini

Vedere con gli occhi, con le braccia, con tutto il corpo: questo è il tentativo compiuto da Letizia Polini nelle sezioni Macula, Visione centrale, Visione periferica e Piccoli atti di visione che compongono la raccolta Macula (Edizioni Ensamble, 2022). Si tratta di una fisicità che cerca il significato vero delle cose, quello che regge gli eventi e che non è sempre identificabile, comportando una dose di rischio e sacrificio («Le spine mi rigavano / le gambe, e i fiori / non li ho visti / non li vedo / non so ancora / dove guardare»).

Molto presente è la dimensione del buio, di una notte che richiede anche l’esercizio della memoria per riuscire a guardare e trovare una via, recuperare ciò che si vuol trattenere («Tracciarti il contorno / per ricordare la forma / e rifarla»). Ma l’ombra talvolta sa essere infida al punto da diventare un trabocchetto di luce («Nella luce sempre / sprofondano le cose») che mette a fuoco ciò che fa paura anche in modo drammaticamente semplice e quotidiano: «La domenica mattina dispiega / morti e vivi e rinfresca / le guance alla giornalaia / si è decisa e piange senza / dire, implora il marito / di non drammatizzare. / Io partecipavo alla / rivelazione domenicale / scegliendo il giornale».

Nelle visioni finali si cerca ancora, ma con piccole epifanie alla volta, si capisce che il nero che accompagna la verità dell’uomo, nella precarietà dei suoi tuffi nella vita («liquefarsi ancora / prima di sprofondare, / di quel tratto intravedo / tutta l’andatura dell’umano»), nella dimensione talvolta ambigua e misteriosa dell’infanzia, è elemento imprescindibile, compenetrante: «e fingo di non sapere che / si tesse lentamente / proprio ciò che non si vuole.»

Allora, ecco che se addentrarsi nel dolore, provare a sciogliere «questo doppio grumo» rimane la prova da tentare per sperare nella salvezza, riconoscere e accettare la finitudine ontologica e la sua frammentazione in qualche modo assolve l’essere umano pur condannato alla propria natura: «C’è liberazione in questi / esercizi di dolore / in questi abbandoni».




Con la schiena bruciata

apri e spunti

oggetti appuntiti,

a nervi infiammati

ammansisci l’asfalto,

sai disfarlo nel verde,

“si procede lo stesso”

farsi portare da questo,

rendere il petto capiente,

metterci i resti.


*


A dividersi gli organi si svuotano

e le braccia improvvisano

una collana di resti

stare così con ciò che rimane

e finire

la serie di separazioni a noi destinata

o essere come certi liquidi,

per natura a sé fedeli,

l’olio nell’acqua si fa calotta e non s’apre

neanche sprofonda,

la pioggia penetra la terra

gonfia brilla, poi evapora

ritorna.


*


Chi è venuto prima ha tagliato

tutti i rami, ha perduto tutti

gli effetti personali. Non c’è

ombra sotto rami mozzi.

Chi guida disorienta.

Seguire il corpo solo

quando sa andare

in fiamme.


Letizia Polini (Fermo, 1988) vive a Bologna, dove lavora come insegnante. Si è laureata in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo e in Scienze della Formazione Primaria con una tesi intitolata “Pensieri in-versi: la poesia come luogo del pensiero filosofico a partire dalla scuola dell'infanzia”. Alcune sue poesie sono presenti nel volume antologico edito da Gilgamesh Edizioni, in quanto finalista del Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio, nell'almanacco Ipoet 2019, nell'agenda 2020 Il segreto delle fragole (Lietocolle), nelle riviste online: Inverso Poesia, Poeti Oggi, Poesia del nostro tempo, Minima Poesia. Antonio Nazzaro, perIl Centro Cultural Tina Modotti, ha tradotto alcuni suoi testi. Ha ricevuto l'attestato di merito per la sezione inediti al Premio Montano 2022 e segnalata come meritevole al premio Lo Spazio Letterario 2022.


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