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  • Immagine del redattoreAlessia Bronico

Nota di lettura a “La vita in dissolvenza” di Lucianna Argentino

Lucianna Argentino pubblica il suo La vita in dissolvenza (Samuele Editore 2022), collana Scilla, con prefazione di Sonia Caporossi; si tratta di un monologo in quattro atti, è l’autrice stessa a spiegarlo in un video girato in occasione dell’uscita, quattro monologhi dedicati alle donne, per onorare, in un certo modo, l’epigrafe di Helene Cixous scelta per aprire i versi: «Una donna non muore se da un’altra parte, un’altra donna riprende il suo respiro», un concetto valido per ogni essere umano al di là del genere. I testi, di origine decennale, prima di approdare sulla carta hanno girato teatri facendosi essenzialmente suono, di fatto i versi erano accompagnati da musiche scritte appositamente dal chitarrista classico Stefano Oliva.

Scrive Sonia Caporossi: «Si tratta, in effetti, di elaborazioni poetiche di quattro storie vere, rilette attraverso le lenti estetiche di una parola poetica delicata e gentile, che a sua volta tenta di indagare la natura naturante del dolore esistenziale come anamnesi morale del principio di autocoscienza». La parola di Argentino è musicale e profonda, precisa nel tratteggiare le emozioni e i risvolti psicologici dei personaggi scelti. Madre è il primo monologo in cui Rita Fredizzi racconta il dissidio interiore tra la maternità e la malattia: «Ma è già mio il mestiere di madre / e dunque perché in me qualcosa duole? /E non è come quando da bambina mi ammalavo / e mia madre teneva la stanza in penombra / e mi portava bamboline di carta con abiti da ritagliare». Gestazione dell’addio è il secondo monologo che racconta il trauma della violenza carnale subita da Valentina Cavalli: «C’era quella notte che era bella / e le stelle sì, quelle le ricordo / anche se poi ho chiuso gli occhi / li ho chiusi forte troppo forte forse / perché è sceso fitto il nero / e m’è rimasto dentro, non è più andato via / e la terra s’è aperta e sono sprofondata». 1941 è il terzo monologo in omaggio a Virginia Woolf e Marina Cvetaeva: «tutto è troppo umano, questa è la tragedia, / ora che mi esonda in petto la storia / e l’aria odora dell’irreparabile». Aurora/Sara è il quarto e ultimo monologo, una rilettura delle vicende personali di una compagna di classe della figlia dell’autrice: «L’infanzia è un regno immenso / senza fortificazioni senza grammatica / con la sintassi dell’erba e l’ortografia dell’acqua». I testi della raccolta fluiscono nonostante si salti da una donna all’altra, da una tragedia all’altra, di dolore in dolore, perché questa è parola che si avvicina alla musica e attira l’attenzione, pretende ascolto. È parola chiara che raggiunge il lettore senza strane variazioni di senso, senza camuffamenti, ma con la pura intenzione di dare vita all’indicibile.



È il crepuscolo del corvo

la terra s’acquieta impoverita ed esausta;

l’eco del vuoto è culla

per il suono che s’annulla

nella parola mancata;

la sconfinata resa dell’alfabeto

è assunta a orizzonte degli eventi.

La collina, di ritorno, punta gli occhi

sull’ora inerme e senza trasparenza

della vita in dissolvenza:

l’ora da compiere, l’unica possibile per noi

genitori e figli del provvisorio

nell’opera omnia del mondo.


*


La nascita è distacco,

la vita un maldestro rammendo

ma questo nuovo strappo

con che lo posso ricucire?


*


È il crepuscolo della colomba,

la luce si sveglia, sbadiglia stanca,

la collina, nuca della notte in ritirata,

non si volta all’impaziente gemere della terra.

Gli uccelli cercano un pertugio nell’oscurità,

ordiscono la trama aerea di questa offesa aurora

ora che eterna è la notte, contraffatta la vita

e il gallo non canta più.

Gli alberi sentinelle a guardia di trincee dove il respiro

tenta un innesto alle radici del bene per un più saldo andare,

osservano il vano rassettarsi del tempo

e i fili di fumo salire dai tetti: incenso offerto da un altare deserto.

L’aria benedice il mattino, lo asperge di rugiada,

deterge i gomiti sfiniti della luce

in preghiera sui banchi tarlati del mondo.

L’erba duratura del distacco insegue la pazienza.


Lucianna Argentino è nata a Roma nel 1962. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: “Gli argini del tempo” (ed. Totem, 1991) con la prefazione di Gianfranco Cotronei; “Biografia a margine” (Fermenti Editrice, 1994) con la prefazione di Dario Bellezza; “Mutamento” (Fermenti Editrice,1999) con la prefazione di Mariella Bettarini e postfazione di Plinio Perilli; “Verso Penuel” (edizioni dell’Oleandro 2003) con la prefazione di Dante Maffia; “Diario inverso” (Manni editori, 2006), con la prefazione di Marco Guzzi; “L'ospite indocile” (Passigli, 2012) con una nota di Anna Maria Farabbi; il poemetto “Abele” (Ed. Progetto Cultura, Le gemme 2015) con la prefazione di Alessandro Zaccuri; “Le stanze inquiete” (Edizioni La Vita Felice, 2016); “Il volo dell’allodola” (Edizioni Segno, 2019) con la prefazione di Gianni Maritati; “In canto a te” (Samuele Editore, 2019) con la prefazione di Gabriella Musetti. Il 29 settembre del 2019 le è stato assegnato il Premio Caro Poeta 2018 durante la quinta edizione di “La parola che non muore” Festival a cura di Massimo Arcangeli e Raffaello Palumbo Mosca.

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