Valentina Demuro
Nota di lettura a "La grazia degli invisibili" di Maria Grazia Nappa
Già dalla nota introduttiva, La grazia degli invisibili di Mari Grazia Nappa (Capire Edizioni 2021) si presenta come un tentativo di esprimere l’ineffabile, raccogliere la testimonianza dei simboli, dei resti che la vita lascia del corso della sua deflagrazione perpetua e questa dare voce e significato con la poesia. Ciò avviene anche attraverso il ricordo e, soprattutto, la parola della poetessa Caudia Ruggeri, recuperata, custodita e rievocata in molti modi nel corso della silloge. Come indicato da Flaminia Colella nella prefazione, qui non c’è il timore di attraversare i sentimenti, i dolori e le esperienze, bensì si rompono gli argini, si accolgono i contrasti e si guardano negli occhi le emozioni, con un verso che dice tutto il necessario, adoperando un linguaggio netto, spesso impreziosito, forse proprio sulla scia dell’eredità della Ruggeri.
La poesia riesce nell’intento di vivificare e a decorare, è la fonte a cui l’anima attinge per germogliare in parole, impulso che non si arresta («Quest’anima sventurata è acqua corrente / mossa dai ghiacciai»), ma è anche rifugio, tentativo di una forma quasi preghiera nel limite umano che ci caratterizza e rende difficile guardare le più grandi altezze («Dammi mille modi per esplodere / affinché io possa coltivare la solitudine. / Assorbo il peso del silenzio con rassegnazione, / e risulta comodo accettare la poesia.»).
La manifesta necessità di espressione non lascia spazio a prediche o al tempo per essere clementi, questa è la dimensione dell’agire consapevole delle declinazioni che ci è concesso sperimentare, «D’altronde, persino la Stella incontra le ombre; / che gli uomini imparino tutti a rassegnarsi alla vita». In questo senso, la poesia Ama si propone quasi come un inno alla vita, portando nell’ultima strofa una parola chiave: «Qualora dovessi morire / ai tuoi vasti occhi / augurerei un lutto gentile, / affinché tutto di te / rifiorisse dal mare.»; è il verbo fiorire che racchiude in sé molto del senso della silloge. Lo sbocciare abbraccia proprio quella piccola dimensione in divenire in cui si trova la magia di ciò che accade, il senso del possibile, il coraggio luminoso che pulsa ogni creatura nel momento in cui decide di varcare l’uscio della porta.
Stanza
L’abitudine alla clemenza
non mi fa retrocedere:
resto qui a recuperare lo splendore.
A prepararmi all’indomani randagio
dentro i campi dello stupore.
Arriverà. Il destino illuminerà i giorni bui.
E farà del verbo la parola prima:
trasformare, incarnare.
Talvolta, restare.
Ama
Qualora dovessi partire,
andare, sparire,
tu scegliti sempre
sorprenditi sempre.
Sii straordinaria come la stella alpina
varca la riva degli anni sui ponticelli di legno,
esagera come una regina.
Qualora dovessi morire
ai tuoi vasti occhi
augurerei un lutto gentile,
affinché tutto di te
rifiorisse dal mare.
Mezzogiorno di maggio
Sono destinata a minuscoli pezzi di cielo.
Durerei quanto una pagliuzza nella poltiglia
se mi ostinassi a spegnere l’incendio
– il mio stomaco è un nido di rondine –
orticello da cui segretamente
sporge una finestra.
Segretamente, dalle creature del cielo
imparo a conoscere il vento:
la terra incoraggia le nuvole longeve a tingersi magenta,
a pulsare come un bocciolo di tulipano nella pupilla.
Sarà questa forse la gioia effimera, diurna:
una croce che si fa gratitudine.
D’altronde, persino la Stella incontra le ombre;
che gli uomini imparino tutti a rassegnarsi alla vita.
Maria Grazia Nappa (Caserta, 1985) ha esordito con la raccolta poetica Le brutture dei cuori scalzi. Nel 2019 ha pubblicato Nata Intera con Edizioni la gru. Suoi componimenti sono apparsi su varie riviste tra cui ClanDestino, 900 letterario e La lettura. Ha organizzato con altri poeti eventi culturali a Caserta e partecipato a letture nelle città di Napoli, Milano e Firenze. Diversi componimenti sono stati tradotti in lingua spagnola.
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