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  • Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Nota di lettura a "Il Generale Inverno" di Gabriella Grasso

Se l’estate è la stagione dell’-issimo, qualsiasi sia la radice che accompagna questo suffisso, nella quale è possibile incontrare a passeggio la felicità esplosiva a braccetto del dolore più atroce, in inverno tutto si placa, finisce ovattato in un silenzio che sa di freddo e di gelo. Dentro la fine delle cose, quando la natura per prima sbianca e si irrigidisce, viene posta la conditio sine qua non del nuovo inizio, della ripartenza. Verrebbe da chiedersi, allora, se la morte appartenga più all’estate o all’inverno o se è propria di tutte le stagioni; ma non si vuole qui farle combattere a duello, bensì parlare di una raccolta che nell’inverno sceglie di porre il suo focus privilegiato di osservazione. Perché in Il Generale Inverno (Il Convivio, 2021) Gabriella Grasso, attraverso una poesia che è prima di tutto aptica, cerca l’incontro con l’Altro nel momento in cui tutto parrebbe invece essere fermo e chiuso su sé stesso. È un inverno totalizzante quello del quale Grasso ci parla oppure generico, che ci investe senza destare particolare clamore; o ancora, è personificazione di una forza imperante, che ci travolge a prescindere dalla nostra volontà: qualsiasi interpretazione venga formulata intorno alla titolazione, ciò che è certo è la collocazione in uno spazio-tempo ciclico e ben presente dell’immaginario di ogni lettore, in cui l’io lirico si muove senza movimento, facendo della riflessione le proprie gambe al momento statiche.

Con una scrittura volutamente non intellettuale, volta non a farsi comunicazione quanto a mettersi in comunione, Grasso tematizza, con variazioni, il tema dell’incontro, dove l’appiattimento delle diversità in nome di un’uguaglianza fittizia viene rigettato a favore del riconoscimento di una somiglianza all’interno della diversità che, per l’autrice è sempre generativa e generatrice, esattamente come la poesia, chiamata a farsi ponte e non muro, dato sottolineato anche da Dario Talarico nella prefazione.

L’io di Gabriella Grasso, come efficacemente sostenuto da Pietro Russo, è l’Altro, senza il quale nulla potrebbe esistere, nemmeno il sé; tuttavia, in questa apertura autentica e prolifera, qualcosa deve essere preservato, tenuto in uno scrigno o dentro un guscio, taciuto al pari di un segreto, dal momento che nella relazione sempre si procede per rivelazioni e nascondimenti.

Grasso, con questa raccolta, ci invita a ripensare l’importanza e la necessità del rispetto e lo fa con i toni caldi e viscerali propri della sua terra d’origine, quella Sicilia che le appartiene tanto quanto la capacità di ridensificicare la parola di un significato di comunanza e altruismo sincero.



Incontro


Ai tuoi occhi, a te che mi parli

vorrei chiedere

hai toccato anche tu

quella faglia dischiusa

nel cuore della terra

diventata ferita

a cielo aperto

strappo

straripante di lava

con i bordi di sciara

taglienti?

E a che punto sei del cammino

hai compiuto dei passi

oltre a quelli che conosco anche io

ti sei spinto oltre?

E che hai visto?


Sei disposto a svelare il segreto

del guscio di noce che si apre

del duro ghiacciaio che si spezza

della pelle scalfita che rivela il suo sangue

dell’insetto che cambia colore

del mollusco che pare che muoia?


Ma in fondo io

non lo voglio sentire

Nelle crepe

del viso e della tua voce

mio interlocutore

non mi voglio addentrare

fino a quando i miei occhi

non avranno il colore

(difficile da definire)

dei tuoi



Il Generale Inverno


Il freddo ci colse

impazienti

di lasciarcelo presto alle spalle

Poca voglia di accendere fuochi

o di allestire ponti

barricate

per difendere il niente

che eravamo riusciti a tenere

tra le dita, della sabbia d’estate

L’inverno non volle insinuarsi

tra le rose rotonde

che splendevano di pace perfetta

nel silenzio degli orti

abbrutiti

dal gelo imminente

Lui ci invase di colpo

di giorno

non ci chiese un parere

o il perdono

Ci costrinse, lui, a guardarlo in faccia

non mostrava sembianze di uomo

ma affrontandolo

come in uno specchio

noi trovammo un’immagine nuova

di noi

stupefatta straniata

interdetta

benedetta dalla scoperta

della nostra vulnerabilità


Scomparti


Io davvero

non vorrei perdere me

proprio me perché sento

che scivola tutto

in un piano che ha

un piano più sotto

e poi ancora chissà

quanti scomparti

angusti e nascosti

di scatole quasi cinesi

in cui giacciono o vagano

resti

di quel che credevo di avere

Sono lì

io non riesco

a recuperarli

ma lo sento che sono nascosti

forse chiamano

forse sono scomparsi

forse sono confusi con gli altri

coi brandelli di vita degli altri

Io non voglio più perdere parti

di me

perché

non so più reinventarmi


Gabriella Grasso è nata a Catania nel 1971 e vive ad Acireale, dove insegna lettere nella scuola secondaria. Si è occupata di linguistica e di LIS, Lingua dei Segni Italiana, su cui ha pubblicato alcuni contributi (Zanichelli, 1998, Edizioni Del Cerro, 1999). Cura la rubrica Limoni, all’interno del blog letterario «Bibliovorax», con note di lettura a testi poetici; ha collaborato con il blog «Letteratitudine» e con la rivista «Lunarionuovo». La sua opera prima, Quale confine, pubblicata nel dicembre 2019 per le Edizioni Kolibris (Ferrara), ha ricevuto un attestato di merito al Premio Montano 2020 e il premio della critica all’Etnabook 2020; è stata inoltre oggetto di recensioni e di note di lettura in vari spazi letterari («Poetarum silva», «Provincia letteraria», «Le Parole di P.Tricomi», «Almerighi wordpress», «The Book Advisor», «Scrittura Viva», «Poeti del Parco» e «Iris News»). Due poesie del libro, tradotte in spagnolo e in inglese, sono inserite nell’antologia digitale In Canto. Un suo inedito ha vinto il primo premio al Sonetto d’argento-Premio Jacopo da Lentini 2020.


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