Nota di lettura a "Il Generale Inverno" di Gabriella Grasso
Se l’estate è la stagione dell’-issimo, qualsiasi sia la radice che accompagna questo suffisso, nella quale è possibile incontrare a passeggio la felicità esplosiva a braccetto del dolore più atroce, in inverno tutto si placa, finisce ovattato in un silenzio che sa di freddo e di gelo. Dentro la fine delle cose, quando la natura per prima sbianca e si irrigidisce, viene posta la conditio sine qua non del nuovo inizio, della ripartenza. Verrebbe da chiedersi, allora, se la morte appartenga più all’estate o all’inverno o se è propria di tutte le stagioni; ma non si vuole qui farle combattere a duello, bensì parlare di una raccolta che nell’inverno sceglie di porre il suo focus privilegiato di osservazione. Perché in Il Generale Inverno (Il Convivio, 2021) Gabriella Grasso, attraverso una poesia che è prima di tutto aptica, cerca l’incontro con l’Altro nel momento in cui tutto parrebbe invece essere fermo e chiuso su sé stesso. È un inverno totalizzante quello del quale Grasso ci parla oppure generico, che ci investe senza destare particolare clamore; o ancora, è personificazione di una forza imperante, che ci travolge a prescindere dalla nostra volontà: qualsiasi interpretazione venga formulata intorno alla titolazione, ciò che è certo è la collocazione in uno spazio-tempo ciclico e ben presente dell’immaginario di ogni lettore, in cui l’io lirico si muove senza movimento, facendo della riflessione le proprie gambe al momento statiche.
Con una scrittura volutamente non intellettuale, volta non a farsi comunicazione quanto a mettersi in comunione, Grasso tematizza, con variazioni, il tema dell’incontro, dove l’appiattimento delle diversità in nome di un’uguaglianza fittizia viene rigettato a favore del riconoscimento di una somiglianza all’interno della diversità che, per l’autrice è sempre generativa e generatrice, esattamente come la poesia, chiamata a farsi ponte e non muro, dato sottolineato anche da Dario Talarico nella prefazione.
L’io di Gabriella Grasso, come efficacemente sostenuto da Pietro Russo, è l’Altro, senza il quale nulla potrebbe esistere, nemmeno il sé; tuttavia, in questa apertura autentica e prolifera, qualcosa deve essere preservato, tenuto in uno scrigno o dentro un guscio, taciuto al pari di un segreto, dal momento che nella relazione sempre si procede per rivelazioni e nascondimenti.
Grasso, con questa raccolta, ci invita a ripensare l’importanza e la necessità del rispetto e lo fa con i toni caldi e viscerali propri della sua terra d’origine, quella Sicilia che le appartiene tanto quanto la capacità di ridensificicare la parola di un significato di comunanza e altruismo sincero.
Incontro
Ai tuoi occhi, a te che mi parli
vorrei chiedere
hai toccato anche tu
quella faglia dischiusa
nel cuore della terra
diventata ferita
a cielo aperto
strappo
straripante di lava
con i bordi di sciara
taglienti?
E a che punto sei del cammino
hai compiuto dei passi
oltre a quelli che conosco anche io
ti sei spinto oltre?
E che hai visto?
Sei disposto a svelare il segreto
del guscio di noce che si apre
del duro ghiacciaio che si spezza
della pelle scalfita che rivela il suo sangue
dell’insetto che cambia colore
del mollusco che pare che muoia?
Ma in fondo io
non lo voglio sentire
Nelle crepe
del viso e della tua voce
mio interlocutore
non mi voglio addentrare
fino a quando i miei occhi
non avranno il colore
(difficile da definire)
dei tuoi
Il Generale Inverno
Il freddo ci colse
impazienti
di lasciarcelo presto alle spalle
Poca voglia di accendere fuochi
o di allestire ponti
barricate
per difendere il niente
che eravamo riusciti a tenere
tra le dita, della sabbia d’estate
L’inverno non volle insinuarsi
tra le rose rotonde
che splendevano di pace perfetta
nel silenzio degli orti
abbrutiti
dal gelo imminente
Lui ci invase di colpo
di giorno
non ci chiese un parere
o il perdono
Ci costrinse, lui, a guardarlo in faccia
non mostrava sembianze di uomo
ma affrontandolo
come in uno specchio
noi trovammo un’immagine nuova
di noi
stupefatta straniata
interdetta
benedetta dalla scoperta
della nostra vulnerabilità
Scomparti
Io davvero
non vorrei perdere me
proprio me perché sento
che scivola tutto
in un piano che ha
un piano più sotto
e poi ancora chissà
quanti scomparti
angusti e nascosti
di scatole quasi cinesi
in cui giacciono o vagano
resti
di quel che credevo di avere
Sono lì
io non riesco
a recuperarli
ma lo sento che sono nascosti
forse chiamano
forse sono scomparsi
forse sono confusi con gli altri
coi brandelli di vita degli altri
Io non voglio più perdere parti
di me
perché
non so più reinventarmi
Gabriella Grasso è nata a Catania nel 1971 e vive ad Acireale, dove insegna lettere nella scuola secondaria. Si è occupata di linguistica e di LIS, Lingua dei Segni Italiana, su cui ha pubblicato alcuni contributi (Zanichelli, 1998, Edizioni Del Cerro, 1999). Cura la rubrica Limoni, all’interno del blog letterario «Bibliovorax», con note di lettura a testi poetici; ha collaborato con il blog «Letteratitudine» e con la rivista «Lunarionuovo». La sua opera prima, Quale confine, pubblicata nel dicembre 2019 per le Edizioni Kolibris (Ferrara), ha ricevuto un attestato di merito al Premio Montano 2020 e il premio della critica all’Etnabook 2020; è stata inoltre oggetto di recensioni e di note di lettura in vari spazi letterari («Poetarum silva», «Provincia letteraria», «Le Parole di P.Tricomi», «Almerighi wordpress», «The Book Advisor», «Scrittura Viva», «Poeti del Parco» e «Iris News»). Due poesie del libro, tradotte in spagnolo e in inglese, sono inserite nell’antologia digitale In Canto. Un suo inedito ha vinto il primo premio al Sonetto d’argento-Premio Jacopo da Lentini 2020.
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