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  • Immagine del redattoreAlessia Bronico

Nota di lettura a "Fiori estinti" di Mattia Tarantino

La raccolta Fiori estinti (Terra d'Ulivi 2019) di Mattia Tarantino, ricca di testi quasi a procurare esondazione di parole nelle pagine, è una stanza. La stanza è arredata dal poeta con tanta luce che è «starnuto di ogni angelo perverso», croci che non salvano, ossa, vene e muscoli, parole che si declinano in gerundi, «vocali malaticce» e «sillaba che gonfia le ossa dei morti». Dalla stanza illuminata, come a rifuggire lo sconforto e la disperazione della vita, guardiamo l’esterno, consideriamo il passare di ogni stagione. Ci appare lo spazio esteso dalla terra al cielo in cui la neve brucia, gli uccelli sono gazze in volo, foglie incerte, i fiori sono mancanti, ordinati, stremati o dati in dono, morti e lanciati nella stanza, bucaneve corrotti. Qualcuno laggiù, fuori, raccoglie solo «fiori estinti». C’è acqua, tanta acqua, che collassa, che assorbe, che accoglie, «diluvio che morde le vocali». Nel racconto di sangue, pietre e crepe, di uomini cavi, di una madre che «non ricorda il nome dei fiori», il poeta si affida ai bambini che «torneranno a inventare nuove storie». L’antidoto al dolore s’intravede nel saper riconoscere la vita, in qualche modo andare alla riscossa, dare fede allo stelo di un fiore.



Fiorire

Dolore di fiorire questo cardo

che collassa nella luce.

L’avvenire

Offritemi del latte, un focolare,

e un angelo timido venga

a spezzare il mio pane:

elemosina e stupore l’avvenire.

Epifania

Trovo la parola burla

un’epifania. Così come

le pesche nell’altra infanzia:

è il comando antico del grafema

Nuovamente al mondo

Non è certo nuova l’acqua

ostinata in cui amo:

annegheremo nel sangue posto

tra noi alla prima iride; verremo

nuovamente al mondo, nuovamente

alla parola, e recheremo

il nome e la sciagura al nostro inverno.

Il fanciullo e il dolore

Da bambino tagliavo gli occhi ai pesci;

credevo all’inganno

che ha nome di madre, credevo

alla sorte e alla luna. Eppure

abitavo gli arrembaggi del nascere,

cucivo le vertebre astute

dei morti, rendevo

tutto il mio canto all’inverno.

Quando fui testimone del corpo

compresi la prima menzogna:

solo l’acqua è crocifissa; solo

l’acqua adesca

il fanciullo e il dolore.

La stanza

Si ammala la parola, le mie

vertebre si curvano in silenzio.

Non piove che acqua sporca,

e questa stanza è troppo bianca:

morirò nel singhiozzo delle allodole.

Nulla brucia

Non conosco la parola

che stravolga questa stanza:

infuriano le sillabe, si piegano

gli accenti, eppure

nulla brucia, nulla ustiona.

E ora capovolgi questi versi,

comanda sia al contrario, la mia voce:

vieni a offrirmi questa luna che rovina

e fa che con la bocca la circondi.

Ossa di latte

Ho ossa di latte: le stacco

a una a una e le chiudo

nelle grotte del cielo.

Se un fiore spunterà

ne rideranno gli angeli.

Ancora l’autunno

Oggi ogni cosa prepara

l’autunno: il cielo

è spezzato e annerisce

le ore. Mia madre

non ricorda i nomi dei fiori.

Però lo sappiamo:

quando un corvo tossisce

le foglie si curvano.


Mattia Tarantino è nato a Napoli nel 2001. Dirige «Inverso – Giornale di poesia»; collabora con «YAWP – Giornale di letterature e filosofie» e «Menabò – Quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letterari»a; come traduttore con «Iris News – Rivista internazionale di poesia». È apparso in diversi quotidiani, riviste e antologie, italiani e internazionali (tra cui «Il Corriere della Sera», «La Repubblica», «Il Manifesto»). I suoi versi sono stati tradotti in sette lingue. Ha pubblicato Tra l’angelo e la sillaba (Terra d’ulivi, 2017) e Fiori estinti (Terra d’ulivi, 2019). Ha curato la traduzione di Poema della fine (Terra d’ulivi, 2020) di Vasilisk Gnedov.


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