Nota di lettura a "Dissociazione elementare" di Silvia Gelosi
Silvia Gelosi arriva in libreria con la raccolta d'esordio Dissociazione elementare edita per i tipi di Arpelago Itaca (2022), 93 pagg. L'introduzione all'opera è affidata a Gian Mario Villalta che subito instrada il lettore sul sentiero della decodifica del titolo attraverso l'osservazione della forma grafica, della distribuzione dei versi sulla pagina; scrive: «si alterna qui un dire tra parentesi quadre, giustificato a destra, quasi inabissato in una dimensione più interiore, a un più aperto e tradizionale esprimere in versi la propria condizione. Un dentro e un fuori». Dissociazione vuol dire "separazione" e Silvia Gelosi sembra disunire un io da sé stessa, lo fa ponendo in un dialogo pirandelliano le due figure che sono generate da comune matrice. Gelosi definisce il libro come un «quaderno di appunti di guerra», una «maglia sfatta» senza più orlo. Il vocabolo dissociazione è accompagnato dall'aggettivo elementare che potrebbe stare a indicare l'assoluta semplicità della separazione dell'io, il semplificarsi nelle difficoltà della vita per cercare di non soccombere, e al tempo stesso l'inevitabilità della sua assenza, elementare come caratteristica propria delle presenze essenziali al proseguimento di qualsiasi esistenza. Dissociazione è anche specchio, ambivalenza, luce e buio, corsa e rallentamento, traguardo e errore. Sembra che la poetessa si riconosca negli avanzi, nei ritagli, nei cocci, nelle soluzioni, appunto, piccole, nelle apparizioni elementari di un percorso faticoso, di una vita che cambia forma per urto e distruzione. Leggendo rimane la sensazione che abbia attraversato i dolori con le sue complicanze malgrado sé stessa, insomma non proprio per scelta e l'unico modo possibile alla vita è stato rimanere, poi attraversare. È evidente una disgiunzione tra ciò che si era e ciò che si è, il prima viene cancellato dall'arrivo di altri elementi che siano persone o avvenimenti, Gelosi scrive: «la sagoma bucata al centro / per vedermi cancellata / lentamente [e] sul bordo / tutto il peso del silenzio». Buio e silenzio sono certamente i leitmotiv dell'intero libro. E ancora: «Non si torna mai allo stesso modo, non mi vedo più / nel riflesso, non mi riconosco neanche nelle foto. / Mi dico guarda, non si vede niente dentro agli occhi vero?». Non esiste verità alla fine di tutti i versi, non una a portata di mano ma quella che si assorbe lentamente, che crea uno spazio di senso, una realtà possibile.
Guardo lo spigolo vivo dell’ombra
taglia il muro nero a parete di passi di altri,
l’aria netta conta gli ultimi spazi chiari
è dicembre ogni volta e fisso lo sguardo verso est,
il peso è una coperta bagnata addosso.
Siamo solo più stanchi eppure
aspettiamo un giro d’estate senza il ritorno
senza quel rigo ingrato d’errore
che torni a salvarci.
*
Si sfilacciano le nuvole di settembre.
Raccatto le frane della memoria i fili intrecciati
l’inconsistenza delle cose, adesso.
È ancora presto per le foglie, misuro
il silenzio tra le parole allora, il buio intorno
non custodisce, c’è rumore qui nel pozzo.
Dal bordo nessuno che s’affacci, solo
un cerchio azzurro – le pareti lisce –
e un disarmo che mi piove.
*
Ecco adesso lo so, mi abita un grido, l’urlo
che vibra ogni giorno mentre copro la pelle dalle scuse.
Rovescia il presente mi dici ed è un crollo,
le ombre vive mi camminano dentro
mi tengo muta, sempre un passo indietro
un intralcio che torna utile io, dove
si sono fatti spazio, gli altri.
Divento resistenza, una rimanenza
la fatica e quel che resta come figli d’altri
per giunta, una coppia di contrari
come il sale con lo zucchero nello stesso impasto.
*
È tornato il grigio, l’assenza bianca dal vetro
della finestra, resistono le foglie sugli alberi, le querce
piene a braccia aperte. Io ho le mani fredde, la luce
spenta e il solito disordine nelle stanze. Il confine
ha cambiato verso, tutto il cielo somiglia alla caduta
alla fatica, allo schiocco delle ore lunghe.
È troppo inverno per capire una scrittura forse,
leggo allora La Viola che «per naturale accento frana»
e anche a me fa temere il sangue la ferita, scoperta
non guarita. No, non risponde questo luogo, mi rinchiude
a casa loro, mentre la metà del tempo sbalza e io, io torno
ogni volta a raccogliermi le ossa.
Silvia Gelosi è nata a Recanati nel 1977. Ha vissuto e lavorato tra Macerata e Ancona fino al 2010. Attualmente risiede a Sarnano con il marito e i loro tre bambini. Fa parte dei volontari NpL e ogni tanto miscela drink. Dal 2014 frequenta la scuola di cultura e scrittura poetica “Sibilla Aleramo” diretta dal professor Umberto Piersanti. Scrive poesie e racconti brevi. Le sue poesie e i suoi racconti sono apparsi in diverse antologie. Nel 2016 ha pubblicato una raccolta di versi brevi intitolata Frammenti. Per Arcipelago Itaca Edizioni ha pubblicato la raccolta poetica Dissociazione Elementare, con una nota di Gian Mario Villalta. Suo il blog www.lascrittoressa.it
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