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Immagine del redattoreLoredana Magazzeni

Nota di lettura a "Cronache di fine Occidente – La collina del Dingh" di Antonio Alleva

Aggiornamento: 17 mag

Alleva mette in atto nelle sue raccolte una poetica dell’allontanamento dal caos contemporaneo attraverso la sottrazione. Il suo è un tentativo di sottrarsi al rumore e alla violenza sistemica cercando la vita vera nei luoghi e nei personaggi del suo paese natale, quello che lui denomina spesso come “villaggio”.

Nocella di Campli (TE) è per lui tana amorosa, culla e buen retiro, in cui trovare silenzio e scrittura, ma anche dialogo con l'altro, perché il tema centrale della sua poesia è che la marginalità, vissuta da persone e dagli stessi luoghi, è invece condizione privilegiata di lettura e ascolto del mondo.

Come sottolinea il titolo, Cronache di fine occidente (Puntoacapo Editrice, 2023), uno dei temi principali di queste due ultime raccolte è il tramonto della civiltà occidentale, la perdita dei valori dell’umanità, lo straniamento che si può contrastare solo restando nel proprio cuore un puer dagli occhiali d’oro e riconoscendo allo stesso modo la bellezza nei piccoli, nella natura, negli animali ma soprattutto nella relazione con gli altri, i vivi e i morti, e quelli che chiama fratelli e sorelle, ovvero i poeti.

Nelle poesie il mondo della provincia abruzzese, attraversato da echi lontani, è percorso da un doppio movimento, verso il centro (con la lingua che il poeta indaga, con incursioni e riflessioni sul dialetto) e verso altre geografie, altre contemporaneità, nel tempo e nello spazio, all’insegna, come nella raccolta precedente, della “corrispondenza” tra qui altrove, e tra chi vive e chi non c’è più.

Le poesie di Alleva hanno il desiderio di farsi ponte verso l’altrove, di realizzare un attraversamento, di luoghi, di tempi, e di persone. Coltivano dunque una dimensione locale e globale, di respiro internazionale.

Mentre scrive che “l’iperliberismo è arrivato al capolinea”, e condanna ogni forma di violenza e di guerra, la pratica delle dediche, dei pensieri verso amici scomparsi, come l’amico poeta Raymond André, è per Alleva un gettare ancore nel mondo, boe, punti di riferimento per non soccombere a quel vento che lo attraversa.


Antonio Alleva, Copertina, Alma Poesia

Torna inoltre il tema della fatica di vivere, tra immobilità e fervore, assimilando la propria esistenza a un lungo esilio e riscoprendo quella sacralità dei luoghi, quasi rupestre, che lo fa sentire parte di un moto perpetuo che ritorna nelle voci dei vivi e dei morti.

Marco Munaro scrive che «questa gioia minima, questo colloquio con gli altri, conservato e custodito sempre dentro una scrittura commossa e però sorvegliata, testimonia il valore dell’uomo, attraversa la terra e il cielo, interroga e ama ogni singola cosa». 

Anche in La collina del Dingh il poeta vede la tragedia di un occidente che si scava un inferno di guerre, di lotte, di dimenticanza dentro il quale sprofonda sempre di più. Ma nella ricorrente domanda di un senso che appare sempre più lontano, lo raggiunge la grazia di una certezza semplice che lo investe, dopo le parole dei poeti, con la faccia, la voce e i gesti delle persone che lo accompagnano nella sua avventura.

Ad aprire il libro è il tema dell’amicizia, della fratellanza poetica (e in primis appare una poesia dedicata all’amico fraterno e poeta Raymond André, morto prematuramente), ma è la struttura stessa del libro che viene dedicata ad amici e compagni di scrittura: Lorenzo Gattoni, Marco Munaro, Umberto Simone, poeta recentemente scomparso e me.

L’omaggio è attraversato da invettive contro le tragedie del presente (Alma, Bataclan) o del passato, a commemorazioni come quella del giorno della memoria nella poesia a Sami (Tutto davanti a questi occhi) o all’assenza di dio dagli orrori nazisti, agli attentati terroristici nel mondo (Cayman), alla morte di Falcone e Borsellino, al rifuggire di dio dall’orrore della guerra.

Ma esistono per il poeta momenti di pace e serenità, epifanie del quotidiano da cui ascoltare e leggere il mondo. Come, ad esempio, nella poesia sulla tomba di Giovanni Pavan con una scultura di Fausto Cheng, uno dei suoi cuori neri e oro. Una poesia, quella di Alleva, fatta di giorni presenti e di riflessioni su ciò che ci attraversa e modella come uomini e donne. Persone e fatti realmente accaduti costituiscono così la “cronaca” della storia e del nostro esservi immersi, e la poesia lo strumento dell’utopia e del cambiamento.

 


Antonio Alleva, nato a Nocella di Campli, ha vissuto a Giulianova e ora a S. Atto nel teramano. Scrive Antonio che “L’urgenza di scrivere, sempre anteposta agli aspetti pratici dell’esistenza, ha ineluttabilmente determinato la rinuncia a più comode carriere lavorative e il ripiegamento su quelle che lui chiama “gimcane per il pane”. Ha pubblicato Le farfalle di Bartleby (Tracce 1998, Camaiore Proposta 1999), Reportages dal villaggio in 7 poeti del Premio Montale 2000 (Crocetti 2001), La tana e il microfono (Joker 2006), Ultime corrispondenze dal villaggio (Il Ponte del Sale 2016) e recentemente le sillogi Cronache di fine Occidente. La Collina del Dingh, con l’editore puntoacapo.

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